Il filmato parte dalla camera da letto. Si vede un uomo che indossa soltanto una camicia, accanto ha un transessuale seminudo. «Favorite i documenti» intima una voce fuori campo. L’uomo sgrana gli occhi. «Non mi rovinate, non mi fate del male» risponde. Poi va verso un tavolino. Poco dopo vengono inquadrate alcune strisce di cocaina e una piccola cannula per aspirarla. Accanto c’è un tesserino della Regione Lazio che viene «zoomato » per captarne i dettagli. È intestato a Piero Marrazzo. È lui l’uomo ripreso con un telefonino all’interno dell’appartamento che si trova in via Gradoli, zona nord di Roma.
Il video dura un minuto e mezzo ed è servito a tenerlo poi sotto ricatto. Perché in quel momento il Governatore, minacciato e per questo preso dal panico, consegna ai due militari che hanno compiuto l’irruzione tre assegni per un totale di 20.000 euro. Titoli che non risultano incassati, ma che da quel momento lo hanno messo in scacco. Sono i primi di luglio. Marrazzo lascia l’appartamento e decide di non denunciare quanto è successo. Probabilmente non sa che sarà costretto a incontrare nuovamente queste persone, a soddisfare alcune loro richieste. Non può neanche immaginare che cosa accadrà in seguito.
Per le immagini 140.000 euro - Circa un mese dopo la vicenda finisce al centro di un’inchiesta. La versione ufficiale accredita l’ipotesi che gli accertamenti siano cominciati captando casualmente una conversazione durante la quale si parlava di vendere a un giornale o a una tv «il video di un politico molto noto con un trans». Ma non è escluso che sia stata invece una «soffiata» a mettere gli investigatori del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma, sulla pista giusta. Nelle carte processuali sin qui raccolte si rintraccia comunque il filo di una storia che ha ancora molti punti oscuri, soprattutto per le versioni discordanti dei protagonisti.
La persona che al telefono offre il materiale si chiama Antonio Tamburrino è un giovane carabiniere in servizio alla Compagnia Trionfale. Le sue parole forniscono la traccia per individuare i tre complici: Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Testini. Si scopre che pure loro sono carabinieri. Si attivano così altre intercettazioni, i quattro vengono pedinati. Le conversazioni registrate dimostrano che i tentativi per piazzare il filmato sono continui. Si parte da una richiesta iniziale di 140.000 euro, ma poi le pretese sono sempre più modeste. Ad aiutarli c’è Max Scarfone. È il paparazzo diventato noto per aver immortalato il portavoce del governo Prodi Silvio Sircana mentre si avvicinava con l’auto a un transessuale. Agli inizi di luglio viene contattata la direzione del settimanale Oggi. Un inviato esamina il filmato, ma dopo qualche giorno comunica di non essere interessato. Si prova con alcuni quotidiani, ancora una volta senza successo.
Il 5 ottobre scorso Tamburrino parte per Milano. Il biglietto del treno è stato acquistato via internet dalla società Photo Masi. Gli accertamenti entrano nella fase finale. Qualche giorno dopo Scarfone viene convocato per un interrogatorio. Conferma il viaggio dell’amico. «Altre copie del video — dichiara — sono state consegnate ad alcune testate e gruppi editoriali». Il 20 ottobre scattano le perquisizioni. Nella sede della Photo Masi il Ros rintraccia un dvd che contiene le immagini. Nulla viene invece trovato invece a casa dei carabinieri indagati, alimentando il sospetto che l’originale duri molto più a lungo e per questo sia stato nascosto.
«Il festino con la cocaina»- I carabinieri negano. La loro versione dei fatti viene ricostruita dal pubblico ministero nell’ordinanza di fermo: «Gli indagati hanno sostenuto che il video sarebbe stato loro consegnato da Gianguarino Cafasso, soggetto a contatto con alcuni transessuali, deceduto per cause naturali nel settembre scorso. Tagliente fornisce un particolare ulteriore: nei primi giorni del mese di luglio, egli e Simeone furono avvisati da Cafasso che presso un’abitazione romana era in corso un festino con alcuni transessuali. Entrarono nell’appartamento, si qualificarono come carabinieri e riconobbero Marrazzo che gli chiese di mantenere riserbo sull’accaduto. Poi andarono via e soltanto dopo ricevettero da Cafasso il filmato realizzato in una occasione diversa rispetto a quella del loro intervento». A questa ricostruzione i magistrati non danno alcun credito. Il giorno dopo viene ascoltato il presidente della Regione.
Così il magistrato nel provvedimento sintetizza il suo interrogatorio: «In un giorno ai primi di luglio scorso, mentre Marrazzo si tratteneva all’interno di un appartamento in compagnia di tale Natalie, fecero ingresso due uomini che si presentarono come carabinieri. Gli stessi, con modi palesemente intimidatori, si fecero consegnare dalla parte lesa il portafoglio contenente, oltre a una somma di denaro, i documenti di identità e chiesero una somma ingente, lasciando intendere, in caso di rifiuto, gravi conseguenze. La vittima rifiutò di versare denaro contante, ma rilasciò tre assegni dell’importo complessivo di 20.000 euro. Prima di andare via i due lasciarono un numero di cellulare chiedendo di essere contattati in quanto volevano altri soldi». Il Governatore ammette dunque di aver pagato, cedendo così al ricatto. Scrive ancora il magistrato: «Marrazzo aggiunge che una volta recuperato il proprio portafogli, mancava la somma di 2.000 euro che vi custodiva. Inoltre Natalie appariva contrariata, come se i due si erano impadroniti anche di una somma di ulteriori 3.000 euro (il prezzo della prestazione ndr ) che era stata lasciata su un tavolino. Sempre secondo tali dichiarazioni, nella stanza era presente anche polvere bianca che il teste ( Marrazzo ndr ) identifica come cocaina, pur non avendone fatto uso. Riferisce poi che non fu lui a collocare il suo tesserino nella posizione che si vede nel video e deve pertanto ritenersi che il documento fu asportato dai militari, collocato accanto alla polvere e intenzionalmente filmato».
«Ho pagato per paura dell’arresto» - Alla fine Marrazzo dichiara: «C’era la cocaina, ho pagato perché avevo paura di essere arrestato». Alle 15 del giorno successivo gli investigatori si presentano nella caserma del Trionfale e ammanettano i loro quattro colleghi. Agli atti ci sono già le tracce degli altri contatti con il presidente della Regione per chiedere alcuni favori. Gli accertamenti dovranno adesso stabilire se Marazzo gli abbia versato anche soldi in contanti. I militari finiti in carcere non hanno mai messo all’incasso gli assegni, dunque è possibile che li abbiano utilizzati come strumento di pressione per ottenere altro ed è su questo che si concentrano le verifiche. Del resto è stato lo stesso Scarfone a raccontare che «hanno a disposizione ingenti risorse patrimoniali». Il governatore ha detto di aver presentato una denuncia di smarrimento di quei titoli pochi giorni dopo la consegna. Finora questa sua affermazione non ha però trovato riscontro.
Fiorenza Sarzanini
24 ottobre 2009
Il video dura un minuto e mezzo ed è servito a tenerlo poi sotto ricatto. Perché in quel momento il Governatore, minacciato e per questo preso dal panico, consegna ai due militari che hanno compiuto l’irruzione tre assegni per un totale di 20.000 euro. Titoli che non risultano incassati, ma che da quel momento lo hanno messo in scacco. Sono i primi di luglio. Marrazzo lascia l’appartamento e decide di non denunciare quanto è successo. Probabilmente non sa che sarà costretto a incontrare nuovamente queste persone, a soddisfare alcune loro richieste. Non può neanche immaginare che cosa accadrà in seguito.
Per le immagini 140.000 euro - Circa un mese dopo la vicenda finisce al centro di un’inchiesta. La versione ufficiale accredita l’ipotesi che gli accertamenti siano cominciati captando casualmente una conversazione durante la quale si parlava di vendere a un giornale o a una tv «il video di un politico molto noto con un trans». Ma non è escluso che sia stata invece una «soffiata» a mettere gli investigatori del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma, sulla pista giusta. Nelle carte processuali sin qui raccolte si rintraccia comunque il filo di una storia che ha ancora molti punti oscuri, soprattutto per le versioni discordanti dei protagonisti.
La persona che al telefono offre il materiale si chiama Antonio Tamburrino è un giovane carabiniere in servizio alla Compagnia Trionfale. Le sue parole forniscono la traccia per individuare i tre complici: Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Testini. Si scopre che pure loro sono carabinieri. Si attivano così altre intercettazioni, i quattro vengono pedinati. Le conversazioni registrate dimostrano che i tentativi per piazzare il filmato sono continui. Si parte da una richiesta iniziale di 140.000 euro, ma poi le pretese sono sempre più modeste. Ad aiutarli c’è Max Scarfone. È il paparazzo diventato noto per aver immortalato il portavoce del governo Prodi Silvio Sircana mentre si avvicinava con l’auto a un transessuale. Agli inizi di luglio viene contattata la direzione del settimanale Oggi. Un inviato esamina il filmato, ma dopo qualche giorno comunica di non essere interessato. Si prova con alcuni quotidiani, ancora una volta senza successo.
Il 5 ottobre scorso Tamburrino parte per Milano. Il biglietto del treno è stato acquistato via internet dalla società Photo Masi. Gli accertamenti entrano nella fase finale. Qualche giorno dopo Scarfone viene convocato per un interrogatorio. Conferma il viaggio dell’amico. «Altre copie del video — dichiara — sono state consegnate ad alcune testate e gruppi editoriali». Il 20 ottobre scattano le perquisizioni. Nella sede della Photo Masi il Ros rintraccia un dvd che contiene le immagini. Nulla viene invece trovato invece a casa dei carabinieri indagati, alimentando il sospetto che l’originale duri molto più a lungo e per questo sia stato nascosto.
«Il festino con la cocaina»- I carabinieri negano. La loro versione dei fatti viene ricostruita dal pubblico ministero nell’ordinanza di fermo: «Gli indagati hanno sostenuto che il video sarebbe stato loro consegnato da Gianguarino Cafasso, soggetto a contatto con alcuni transessuali, deceduto per cause naturali nel settembre scorso. Tagliente fornisce un particolare ulteriore: nei primi giorni del mese di luglio, egli e Simeone furono avvisati da Cafasso che presso un’abitazione romana era in corso un festino con alcuni transessuali. Entrarono nell’appartamento, si qualificarono come carabinieri e riconobbero Marrazzo che gli chiese di mantenere riserbo sull’accaduto. Poi andarono via e soltanto dopo ricevettero da Cafasso il filmato realizzato in una occasione diversa rispetto a quella del loro intervento». A questa ricostruzione i magistrati non danno alcun credito. Il giorno dopo viene ascoltato il presidente della Regione.
Così il magistrato nel provvedimento sintetizza il suo interrogatorio: «In un giorno ai primi di luglio scorso, mentre Marrazzo si tratteneva all’interno di un appartamento in compagnia di tale Natalie, fecero ingresso due uomini che si presentarono come carabinieri. Gli stessi, con modi palesemente intimidatori, si fecero consegnare dalla parte lesa il portafoglio contenente, oltre a una somma di denaro, i documenti di identità e chiesero una somma ingente, lasciando intendere, in caso di rifiuto, gravi conseguenze. La vittima rifiutò di versare denaro contante, ma rilasciò tre assegni dell’importo complessivo di 20.000 euro. Prima di andare via i due lasciarono un numero di cellulare chiedendo di essere contattati in quanto volevano altri soldi». Il Governatore ammette dunque di aver pagato, cedendo così al ricatto. Scrive ancora il magistrato: «Marrazzo aggiunge che una volta recuperato il proprio portafogli, mancava la somma di 2.000 euro che vi custodiva. Inoltre Natalie appariva contrariata, come se i due si erano impadroniti anche di una somma di ulteriori 3.000 euro (il prezzo della prestazione ndr ) che era stata lasciata su un tavolino. Sempre secondo tali dichiarazioni, nella stanza era presente anche polvere bianca che il teste ( Marrazzo ndr ) identifica come cocaina, pur non avendone fatto uso. Riferisce poi che non fu lui a collocare il suo tesserino nella posizione che si vede nel video e deve pertanto ritenersi che il documento fu asportato dai militari, collocato accanto alla polvere e intenzionalmente filmato».
«Ho pagato per paura dell’arresto» - Alla fine Marrazzo dichiara: «C’era la cocaina, ho pagato perché avevo paura di essere arrestato». Alle 15 del giorno successivo gli investigatori si presentano nella caserma del Trionfale e ammanettano i loro quattro colleghi. Agli atti ci sono già le tracce degli altri contatti con il presidente della Regione per chiedere alcuni favori. Gli accertamenti dovranno adesso stabilire se Marazzo gli abbia versato anche soldi in contanti. I militari finiti in carcere non hanno mai messo all’incasso gli assegni, dunque è possibile che li abbiano utilizzati come strumento di pressione per ottenere altro ed è su questo che si concentrano le verifiche. Del resto è stato lo stesso Scarfone a raccontare che «hanno a disposizione ingenti risorse patrimoniali». Il governatore ha detto di aver presentato una denuncia di smarrimento di quei titoli pochi giorni dopo la consegna. Finora questa sua affermazione non ha però trovato riscontro.
Fiorenza Sarzanini
24 ottobre 2009
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