Dal no alla protezione per l'autore di Gomorra alle regole per trattare con i camorristi: ora la sua carriera è a un bivio
di GIUSEPPE D'AVANZO
di GIUSEPPE D'AVANZO
DUNQUE, non è vero niente. Il capo della Polizia, Antonio Manganelli, dice che ci sono molte buone ragioni per proteggere Roberto Saviano e non le dimentica: "Nessun timore. Confermo le misure di protezione per Saviano; anzi valuterò se rafforzarle".
Come non dimentica l'impegno a mettere in ginocchio i Casalesi, pubblicamente assunto il 18 maggio a Casal di Principe. Sono queste le parole di Manganelli: "Abbiamo ottenuto risultati straordinari e senza precedenti, ma non è finita. I Casalesi restano un'assoluta priorità del ministero e delle forze di polizie".
C'è solo da tirare un sospiro di sollievo, allora, fare punto e passare ad altro? Sarebbe una irresponsabile leggerezza, credo. Bisogna chiedersi che cosa accade e perché. Perché un poliziotto competente come Vittorio Pisani, capo della squadra mobile di Napoli, si dà da fare per screditare in pubblico la credibilità dell'autore di Gomorra, perché lo fa in quel modo scaltro tra insinuazioni e notizie monche. Pisani dice al Magazine del Corriere della sera: "A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sull'assegnazione della scorta".
Fuffa, aria fritta, gli avvertimenti? Saviano non corre alcun pericolo, non lo ha mai corso? È un visionario o peggio un furbastro? Al poliziotto non può sfuggire (è troppo sapiente e ha buona memoria) che le sue conclusioni furono, tre anni fa, anche le conclusioni di Roberto Saviano. Interrogato, lo scrittore detta a verbale, più o meno: non voglio alcuna protezione, questi segnali sono insufficienti. Pisani non può ignorare che in questi tre anni (tre anni nel giorno delle sue dichiarazioni) è accaduto altro. La presenza di uomini dei Casalesi alle conversazioni pubbliche dello scrittore; le confessioni della moglie di un camorrista sulla volontà del clan di zittire quella voce; le minacce in aula - dirette, esplicite - durante il processo "Spartacus"; il rinvio a giudizio di due capintesta dei Casalesi (Bidognetti e Iovine) per minaccia aggravata; le parole di Carmine Schiavone (zio di "Sandokan", il boss) che potete ascoltare oggi su Repubblica.it: "Saviano, sei condannato a morte e morirai quando intorno a te calerà l'attenzione". Sono circostanze che, nel tempo, elevano la qualità della protezione dello scrittore fino al terzo livello (il capo dello Stato ha il quarto) e sollecitano l'allarme, nell'ordine, del capo della polizia (Manganelli), di due ministri dell'Interno (Amato e Maroni), del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E tuttavia Pisani non si cura né delle gerarchie né dei fatti. Li nasconde. Tira avanti e lascia cadere un'allusione maligna: "Bisognerebbe avere il coraggio di andare a cercare la giusta causa della minaccia". Non la ragione della minaccia, attenzione, ma la giusta ragione della minaccia, come se una minaccia della camorra a uno scrittore - tre anni fa, ventiseienne - possa avere un adeguato, condivisibile movente. Pisani è indifferente al destino di Saviano. Non si cura dei pericoli a cui lo consegna, delegittimandolo, isolandolo.
I conti non tornano più, a questo punto, perché chi diffonde quel veleno non è un avventato chiacchierone. Pisani è un poliziotto prudente, non è un uomo istintivo. Centellina le parole e quando apre bocca sa che cosa dice e che cosa vuole far sapere. È un funzionario dello Stato di grande reputazione, destinato a una luminosa carriera nel prossimo decennio. Perché, incurante delle decisioni dell'intera catena di comando (questore, prefetto, capo della polizia) e delle convinzioni dei più alti rappresentanti delle istituzioni (ministro, capo dello Stato), l'accorto Pisani demolisce la reputazione di Roberto Saviano?
Confesso subito un cattivo pensiero in tempo di bastonature per i non conformi. Appena dieci giorni, in piazza del Popolo, Saviano ha detto: "Quello che sta accadendo dimostra una vecchia verità e cioè che verità e potere non coincidono mai. La libertà di stampa che vogliamo difendere è la serenità di lavorare, la possibilità di raccontare senza doversi aspettare ritorsioni".
Ritorsione. Ecco, è la parola giusta. Il cattivo pensiero è proprio questo: le parole del poliziotto possono essere la rappresaglia per la presa di posizione di Saviano, di cui si può tollerare il denudamento del potere camorristico, ma non le critiche al potere politico e all'azione del governo?
È una suggestione che va abbandonata, se si legge per intero l'intervista del poliziotto. Pisani sostiene che Gomorra "ha avuto un eccessivo peso mediatico", come se illuminare quel network criminale, conosciuto agli addetti, ma ignorato dall'opinione pubblica sia stato un errore. Pisani sostiene che "per rapportarsi alla criminalità organizzata ci sono regole deontologiche che, come il rispetto della dignità umana, vanno rispettate". Come se un romanzo che racconta la morte di un prete - don Peppino Diana - possa umiliare la dignità umana. E di chi poi? Degli assassini? Pisani sostiene con vanto: "Quando io vado a testimoniare, gli imputati mi salutano dalle celle". Che dire, contento lui. Pisani sostiene di essere stato in contatto con "un latitante, un confidente leale". A maggior chiarezza, aggiunge che sono "falsi moralismi" i rilievi di chi critica "l'eccessiva vicinanza di alcuni agenti ai confidenti dei clan". Pisani si autocelebra: sono i suoi metodi che hanno consentito addirittura di "pacificare" Napoli, dove oggi ci sono "soltanto" settanta omicidi all'anno.
Lette le opinioni del poliziotto, la faccenda si fa più chiara. Pisani - per conto di chi lo sa chi - non vuole punire Saviano per le sue parole sulle ritorsioni del potere contro chi prende la parola e cerca la verità. Il poliziotto vuole censurare l'ostinata intransigenza dello scrittore; la convinzione che lo induce a credere che "la legalità deve essere la premessa di un lavoro e non il risultato"; il rifiuto di ogni compromesso e mediazione con chi fa della violenza e della morte lo strumento del suo potere.
Cade l'umore ad ascoltare - oggi, nel 2009 - le opinioni di Vittorio Pisani, a trent'anni giusti dall'assassinio di Boris Giuliano. Boris Giuliano era il capo della squadra mobile di Palermo, lo ammazzò Leoluca Bagarella il 21 luglio del 1979, sparandogli alle spalle in un bar. Fu il primo poliziotto, in quella melmosa Palermo, a non accettare le seduzioni del "quieto vivere" imposte, a Roma, dai governi democristiani e, a Palermo, da Cosa Nostra.
A saperla valutare, la cultura professionale di Pisani ci precipita con una capriola all'indietro a quegli anni bui quando Stato e potere criminale si danno di gomito. E chi non ci sta, finisce accoppato perché, nelle istruzioni dei governi, Stato e Mafie devono allegramente convivere e assicurarsi un reciproco sostegno. Poco rumore e delitti ridotti al necessario soddisfano lo Stato; libertà di manovra e opportune distrazioni ingrassano il crimine organizzato; tutti vivono felici e contenti.
È la cultura poliziesca che ha dannato Bruno Contrada, capo della squadra mobile di Palermo nel 1973. È la filosofia che ancora oggi si intravede nelle manovre del generale del Ros, Mario Mori, quando nel 1992 "tratta" con Vito Ciancimino una tregua con Cosa Nostra. È una strada che pensavamo fosse stata chiusa per sempre perché corrompe lo Stato e potenzia le Mafie. Ora delle due, l'una: o quella via è ancora aperta e Pisani può restare a fare il suo lavoro a Napoli o, dopo le catastrofi degli anni ottanta e le tragedie dei novanta, quel metodo è stato definitivamente abbandonato e Pisani non può più restare a Napoli.
(15 ottobre 2009)
4 commenti:
A MIO GIUDIZIO, QUESTO 'POLIZIOTTO' ALLA 'MINZOLINI' NON SARA' SPOSTATO, RESTERA' A NAPOLI. SPERIAMO CHE NON SE NE APPREZZINO LE CONSEGUENZE, ALMENO PER ROBERTO SAVIANO.
Si, sarà così. Saviano ha rotto la catena di Sant'Antonio. Speriamo che si mobiliti qualcuno di più responsabile per proteggere questo giovane uomo che si è giocato la libertà per "denunciare".
QUESTA SERA ANNOZERO, RAI DUE, ORE 21,05: NON MANCATE!
e chi manca? sto aspettando...trepidante, ogni tanto onoro la TV anch'io :)
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