Graviano era esultante: mi disse ‘abbiamo avuto quello che volevamo, abbiamo il Paese in mano perchè abbiamo persone serie, come Berlusconi e il nostro ’paesano’, non come quei ‘crastazzi’ dei socialisti”. E chi è il ‘paesano’? “Dell’Utri”. Parola di Gaspare Spatuzza, stragista fedelissimo dei boss Graviano di Brancaccio, e neo-pentito che, dopo avere messo in dubbio la dinamica della strage in cui morì Borsellino, alza il tiro delle sue rivelazioni che irrompono nel processo d’appello a Marcello Dell’Utri condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E dall’archivio segreto di Massimo Ciancimino salta fuori un’altra lettera, questa volta scritta probabilmente da suo padre, don Vito, indirizzata “per conoscenza” al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e datata quindi 1994, con cui l’ex sindaco mafioso ribadisce la richiesta per conto dei corleonesi di “una rete televisiva”, minacciando di “uscire dal mio riserbo che dura da anni”, e alludendo ad un evento che potrebbe verificarsi “sia in sede giudiziaria che altrove”.
Con un colpo di scena è il pg Nino Gatto, autore di una requisitoria in fase già avanzata, a chiedere la sospensione del dibattimento per interrogare in aula Spatuzza, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e Cosimo Lo Nigro, altro boss stragista di Brancaccio, presente al colloquio, dopo avere depositato una settantina di pagine di un verbale redatto il 6 ottobre scorso nel quale Spatuzza fa i nomi del presidente del Consiglio e del senatore palermitano. Presente tra i banchi, Dell’Utri la prende ironicamente “sono tutte cazzate, è un teatrino che mi fa divertire, i Graviano non li ho mai conosciuti”. Accanto a lui esplode la reazione dei suoi difensori: “È stata una forzatura della Procura - ha detto l’avvocato Pino Di Peri - posso anticipare che ci opporremo alle citazioni”; e da Roma si mobilita anche Niccolò Ghedini: “Dichiarazioni prive di fondamento e di riscontro per le quali si procederà in ogni sede”. Ma che dice Spatuzza? Il pentito racconta due incontri con Giuseppe Graviano, uno a Campofelice di Roccella, nel palermitano, dopo le stragi del ’93, l’altro a Roma, al caffè Doney in via Veneto, nel gennaio del ’94: lì Spatuzza capì che il capomafia stava trattando con la “politica”, trattativa durata, secondo Spatuzza, sino al 2004. “Voglio precisare - racconta il pentito - che quell'incontro (il primo, ndr) doveva essere finalizzato a programmare un attentato ai carabinieri da fare a Roma. Noi avevamo perplessità perché si trattava di fare morti fuori dalla Sicilia. Graviano per rassicurarci ci disse che da quei morti avremmo tratto tutti benefici, a partire dai carcerati. In quel momento io compresi che c’era una trattativa e lo capii perché Graviano disse a me e a Lo Nigro se noi capivamo qualcosa di politica e ci disse che lui ne capiva”. “Questa affermazione - ha aggiunto - mi fece intendere che c’era una trattativa che riguardava anche la politica. Da quel momento io dovevo organizzare l’attentato ai carabinieri ed in questo senso mi mossi e individuai quale obiettivo lo stadio Olimpico”. Sulla fallita strage dell’Olimpico (100 chili di tritolo contro un pullmann dei carabinieri) ha indagato a lungo la Procura di Firenze con il pm Gabriele Chelazzi, che ha datato quell’evento al 31 ottobre del 1993. Spatuzza adesso lo sposta più avanti raccontando l’incontro in via Veneto: “Graviano - dice il pentito - era molto felice, disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei quattro ‘cristi’ dei socialisti. La persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c’era di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri”.“Io non conoscevo Berlusconi - aggiunge - e chiesi se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse sì. Del nostro paesano mi venne fatto solo il cognome, Dell'Utri, non il nome. In sostanza Graviano mi disse che grazie alla serietà di queste persone noi avevamo ottenuto quello che cercavamo. Usò l’espressione ‘ci siamo messi il Paese nelle mani’”. Dopo l’incontro Spatuzza ebbe il via libera per l’attentato all'Olimpico che avrebbe dovuto riscaldare il clima della trattativa. L’attentato poi fallì e non si riprogrammò perché i Graviano vennero arrestati. Ma la trattativa, secondo Spatuzza, durò fino al 2004, come apprese da Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, nel carcere di Tolmezzo: “Graviano mi disse che si stava parlando di dissociazione, ma che noi non eravamo interessati. Nel 2004 ebbi un colloquio investigativo con Vigna, finalizzato alla mia collaborazione che, però, io esclusi. Tornato a Tolmezzo ne parlai con Graviano che mi disse: ‘se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”.
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