L’art.10: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” consente l’ingresso “automatico” nel nostro sistema delle norme internazionali consuetudinarie, regole giuridiche a formazione spontanea che vincolano lo Stato nei confronti di altri soggetti dell’ordinamento internazionale. La consuetudine internazionale entra a livello costituzionale ed è dunque in grado di prevalere sulle stesse disposizioni della Costituzione, con un limite indicato nella sent. n. 48 del 1979: mai si può “consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale”. Di fronte a questi principi la consuetudine recede, la barriera è insuperabile. E’ un limite sul quale la Corte costituzionale ritorna in più occasioni a proposito di norme poste al livello più alto del sistema (ad esempio, i Patti Lateranensi fra Stato e Chiesa regolati all’art. 7 Cost.), e meglio chiarirà in una famosa sentenza del 1988 indicando nei diritti fondamentali e nei “principi supremi” i limiti assoluti che nemmeno con il procedimento di revisione dell’art. 138 è possibile superare.
Adattamento automatico significa che non è necessaria una legge apposita perché una norma consuetudinaria sia parte del nostro sistema, com’è invece richiesto per i trattati internazionali fra l’Italia e uno o più Stati. Numerosi questi ultimi, assai poche invece le norme internazionali consuetudinarie in grado di avere applicazione all’interno dello Stato; le quali tuttavia (lo si vedrà parlando dell’art. 11) possono avere grande rilievo.
L’art. 10, 2°: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”, attribuisce alla “legge”, non a regolamenti o circolari, la competenza in materia: non al governo, ai ministri o ad altre autorità amministrative, ma solo Parlamento. La legge non può essere in contrasto con un accordo internazionale di cui l’Italia è parte; altrimenti, sottoposta al giudizio della Corte, sarà dichiarata illegittima.
Dai lavori preparatori della Costituzione risulta che questa disposizione fu introdotta anche per superare “le condizioni di reciprocità” di cui parla l’art. 16 ma non tutti ritengono che la norma (degli anni Trenta) sia stata implicitamente abrogata dall’art. 10. Va comunque ricordato che varie disposizioni della Costituzione relative ai diritti si applicano anche agli stranieri, ai quali si estende il fondamentale principio di eguaglianza , anche se l’art. 3 parla di “cittadini”: lo ha affermato la Corte costituzionale fin dal 1967 (sent. n. 120).
L’art. 10, 3° e 4° comma: “Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. L’asilo politico è un vero e proprio diritto soggettivo d’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in qualunque situazione si presenti. I respingimenti indiscriminati devono fare i conti con questo diritto costituzionalmente attribuito. Anche se è un diritto a un soggiorno temporaneo e provvisorio, alle autorità italiane è impedito di adottare qualsiasi provvedimento di allontanamento che possa risolversi, di fatto, nella consegna al paese dal quale lo straniero è fuggito.
Spesso si confonde l’asilo con la condizione di “rifugiato” per la quale la Convenzione di Ginevra (1951) pone condizioni diverse (il fondato timore di essere perseguitato per razza, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinioni politiche): per l’asilo basta l’impossibilità di esercitare “effettivamente” nel proprio paese le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
L’art. 10 vieta infine l’estradizione dello straniero per reati politici, come lo vieta per il cittadino l’art. 26; la connessione con l’asilo è evidente: senza questo divieto la protezione offerta all’esule verrebbe meno in seguito alla richiesta di estradizione dello Stato di provenienza.
La legge costituzionale n.1/1967, integrando l’art. 10, stabilisce che il divieto di estradizione non si applica ai delitti di genocidio. E, inoltre, poiché la Costituzione non definisce il “reato politico”, si ritiene valgano a definirlo anche norme internazionali, in particolare la Convenzione sul terrorismo del 1977 che considera “non politici” atti delittuosi eseguiti in modo crudele, contro vita e libertà di persone estranee a movimenti politici. Forse però sarebbe stata necessaria, come per il genocidio, una legge costituzionale. Ma non è l’opinione vincente.
Adattamento automatico significa che non è necessaria una legge apposita perché una norma consuetudinaria sia parte del nostro sistema, com’è invece richiesto per i trattati internazionali fra l’Italia e uno o più Stati. Numerosi questi ultimi, assai poche invece le norme internazionali consuetudinarie in grado di avere applicazione all’interno dello Stato; le quali tuttavia (lo si vedrà parlando dell’art. 11) possono avere grande rilievo.
L’art. 10, 2°: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”, attribuisce alla “legge”, non a regolamenti o circolari, la competenza in materia: non al governo, ai ministri o ad altre autorità amministrative, ma solo Parlamento. La legge non può essere in contrasto con un accordo internazionale di cui l’Italia è parte; altrimenti, sottoposta al giudizio della Corte, sarà dichiarata illegittima.
Dai lavori preparatori della Costituzione risulta che questa disposizione fu introdotta anche per superare “le condizioni di reciprocità” di cui parla l’art. 16 ma non tutti ritengono che la norma (degli anni Trenta) sia stata implicitamente abrogata dall’art. 10. Va comunque ricordato che varie disposizioni della Costituzione relative ai diritti si applicano anche agli stranieri, ai quali si estende il fondamentale principio di eguaglianza , anche se l’art. 3 parla di “cittadini”: lo ha affermato la Corte costituzionale fin dal 1967 (sent. n. 120).
L’art. 10, 3° e 4° comma: “Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. L’asilo politico è un vero e proprio diritto soggettivo d’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in qualunque situazione si presenti. I respingimenti indiscriminati devono fare i conti con questo diritto costituzionalmente attribuito. Anche se è un diritto a un soggiorno temporaneo e provvisorio, alle autorità italiane è impedito di adottare qualsiasi provvedimento di allontanamento che possa risolversi, di fatto, nella consegna al paese dal quale lo straniero è fuggito.
Spesso si confonde l’asilo con la condizione di “rifugiato” per la quale la Convenzione di Ginevra (1951) pone condizioni diverse (il fondato timore di essere perseguitato per razza, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinioni politiche): per l’asilo basta l’impossibilità di esercitare “effettivamente” nel proprio paese le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
L’art. 10 vieta infine l’estradizione dello straniero per reati politici, come lo vieta per il cittadino l’art. 26; la connessione con l’asilo è evidente: senza questo divieto la protezione offerta all’esule verrebbe meno in seguito alla richiesta di estradizione dello Stato di provenienza.
La legge costituzionale n.1/1967, integrando l’art. 10, stabilisce che il divieto di estradizione non si applica ai delitti di genocidio. E, inoltre, poiché la Costituzione non definisce il “reato politico”, si ritiene valgano a definirlo anche norme internazionali, in particolare la Convenzione sul terrorismo del 1977 che considera “non politici” atti delittuosi eseguiti in modo crudele, contro vita e libertà di persone estranee a movimenti politici. Forse però sarebbe stata necessaria, come per il genocidio, una legge costituzionale. Ma non è l’opinione vincente.
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