Lo ha capito anche lui, il Capo. Così “non si può più andare avanti”. Il Pdl è ormai franato sotto i suoi piedi e le questioni della giustizia hanno definitivamente rotto il rapporto con Fini che ha rispedito al mittente tutte le diavolerie studiate da Ghedini per metterlo al riparo dai processi. Tira aria pesante tra i banchi del governo e le allegre stanze di palazzo Grazioli. Quel patto che solo qualche settimana fa sembrava aver rinsaldato l’antica complicità tra B. e F., siglato nel salone di casa Letta, all’ombra dei pini della Camilluccia, è andato rumorosamente in frantumi facendo ritornare sul tavolo l’idea di elezioni anticipate. Il premier è furibondo. Le prossime mosse sul governo, tanto per dirne una, le ha decise con i suoi e con Vittorio Feltri. Che non a caso ha poi fatto partire un potente siluro contro Fini: “E’ l’ora di uscire dall’ambiguità”. Il distillato del Berlusconi pensiero, in queste ore, è riassumibile in una formula: un predellino due ed elezioni anticipate. “Mi devo liberare una volta per tutte di queste zavorre”. Fini gli rema contro. Persino su Letta. Non vede affatto la necessità di una sua nomina a vicepremier cosa che, invece, è assolutamente impellente per B. “Gianni è l’unico di cui mi posso fidare, deve guardarmi le spalle”. Dai magistrati e subito dopo sempre da lui, il “compagno” Fini. Il Pdl non c'è più. Ma a Berlusconi ora preme la riforma della giustizia. E chi ci sta ci sta e che nessuno parli di trovare accordi con il Pd. Quello mai. I fantasmi che turbano i sogni del Cavaliere, però, non sono solo quelli con la toga addosso. C’è anche - e soprattutto - quello che vede formarsi in parlamento una maggioranza diversa intorno ad un altro leader, casomai proprio a Fini se non Tremonti. Per questo da settimane ormai i suoi più fedeli sherpa stanno facendo i conti per blindare intorno a lui una maggioranza che non solo lo metta al riparo dagli scherzi ma lo segua comunque, ciecamente. Fini, si dice, controlla da solo cinquanta parlamentari, ma gli azzurri pensano anche meno. “Eppoi - si sostiene nell’ex quartier generale di Forza Italia - secondo i nostri calcoli, se Fini dovesse andare alle urne da solo non arriverebbe al 4%”. E siamo già a fare i conti su tavoli separati. Come se il Pdl davvero non ci fosse più. E loro lo sanno perfettamente.
sabato 7 novembre 2009
B. ha paura che il Pdl non ci sia più
Lo ha capito anche lui, il Capo. Così “non si può più andare avanti”. Il Pdl è ormai franato sotto i suoi piedi e le questioni della giustizia hanno definitivamente rotto il rapporto con Fini che ha rispedito al mittente tutte le diavolerie studiate da Ghedini per metterlo al riparo dai processi. Tira aria pesante tra i banchi del governo e le allegre stanze di palazzo Grazioli. Quel patto che solo qualche settimana fa sembrava aver rinsaldato l’antica complicità tra B. e F., siglato nel salone di casa Letta, all’ombra dei pini della Camilluccia, è andato rumorosamente in frantumi facendo ritornare sul tavolo l’idea di elezioni anticipate. Il premier è furibondo. Le prossime mosse sul governo, tanto per dirne una, le ha decise con i suoi e con Vittorio Feltri. Che non a caso ha poi fatto partire un potente siluro contro Fini: “E’ l’ora di uscire dall’ambiguità”. Il distillato del Berlusconi pensiero, in queste ore, è riassumibile in una formula: un predellino due ed elezioni anticipate. “Mi devo liberare una volta per tutte di queste zavorre”. Fini gli rema contro. Persino su Letta. Non vede affatto la necessità di una sua nomina a vicepremier cosa che, invece, è assolutamente impellente per B. “Gianni è l’unico di cui mi posso fidare, deve guardarmi le spalle”. Dai magistrati e subito dopo sempre da lui, il “compagno” Fini. Il Pdl non c'è più. Ma a Berlusconi ora preme la riforma della giustizia. E chi ci sta ci sta e che nessuno parli di trovare accordi con il Pd. Quello mai. I fantasmi che turbano i sogni del Cavaliere, però, non sono solo quelli con la toga addosso. C’è anche - e soprattutto - quello che vede formarsi in parlamento una maggioranza diversa intorno ad un altro leader, casomai proprio a Fini se non Tremonti. Per questo da settimane ormai i suoi più fedeli sherpa stanno facendo i conti per blindare intorno a lui una maggioranza che non solo lo metta al riparo dagli scherzi ma lo segua comunque, ciecamente. Fini, si dice, controlla da solo cinquanta parlamentari, ma gli azzurri pensano anche meno. “Eppoi - si sostiene nell’ex quartier generale di Forza Italia - secondo i nostri calcoli, se Fini dovesse andare alle urne da solo non arriverebbe al 4%”. E siamo già a fare i conti su tavoli separati. Come se il Pdl davvero non ci fosse più. E loro lo sanno perfettamente.
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