Ha definito «una porcheria» il ddl sul processo breve, si oppone a leggi ad personam che squassano il sistema giudiziario, ha perfino presentato una mozione di sfiducia individuale contro il sottosegretario Cosentino. Eppure è stato proprio lui, Pier Ferdinando Casini, a spiegare ad amici ed avversari che una soluzione c’è per Silvio Berlusconi: una leggina di poche righe che farebbe da scudo al premier — e solo al premier — contro procedimenti fondati o fantasiosi. Un mini-lodo, da approvarsi con legge ordinaria, che blocca i procedimenti a carico del presidente del Consiglio per «legittimo impedimento», per tutta la durata del mandato.
Scusi, ma lei Berlusconi lo vuole affossare o salvare?
«Io lo vorrei battere con le armi della politica, senza sfasciare questo Paese. E non vorrei che l’appello del capo dello Stato per una riforma istituzionalmente equilibrata cada nel vuoto. Per evitarlo non servono generiche affermazioni di disponibilità, ma fatti. Per questo bisogna aprire un confronto sulle riforme istituzionali e alcune intese sono a portata di mano, penso alla riduzione del numero dei parlamentari, alla fine del bicameralismo perfetto, alla modifica di una legge elettorale assurda che impone liste bloccate, ma bisogna anche affrontare il nodo della giustizia».
Il Pd dice che è disponibile a sedersi al tavolo, ma aggiunge che non si riforma la giustizia per risolvere i problemi di Berlusconi.
«Eh no, è troppo semplicistico e cozza contro la realtà considerare questo tema 'un problema di Berlusconi'. Così come è irresponsabile agire come sta facendo il centrodestra, allungando o accorciando di volta in volta i processi, muovendosi a strappi solo per salvaguardare Berlusconi: così si sfascia il sistema giudiziario e si fa una sola vittima, il cittadino».
Pensa davvero che esista una «terza via »?
«Sì, se si ha il coraggio di dire la verità, senza ipocrisie. Imboccare la strada del legittimo impedimento ci sembra una buona soluzione, onesta e corretta. È ovvio che spetta alla maggioranza, e non certo a noi, assumersi la responsabilità politica di dire chiaramente ai cittadini che, poiché il problema è Berlusconi, si fa una legge per Berlusconi. Può essere impopolare, ma io lavoro per evitare il crollo del sistema giudiziario, perché condivido le previsioni funeree dell’Anm sull’impatto che il processo breve avrebbe su migliaia di procedimenti».
Non si rischia l’incostituzionalità sostenendo che un cittadino è diverso da tutti gli altri?
«Non facciamo gli ipocriti: già adesso il signor Casini, o il signor Di Pietro, non possono essere né perquisiti né arrestati, mentre lei che mi sta intervistando sì...».
Ma perché l’opposizione dovrebbe farsi carico di un problema che divide al suo interno perfino la maggioranza?
«Perché un’opposizione seria dovrebbe cercare di ridurre il danno che una maggioranza sconsiderata vorrebbe fare al Paese, e non limitarsi a salvarsi la coscienza strepitando contro il processo breve e manifestando nelle piazze. E perché i no-B day o come si chiamano, sono solo un favore a Berlusconi: non gli creano un problema, ma gli forniscono un alibi per continuare a governare male senza assumersene la responsabilità, ripetendo lo stanco ritornello del 'non posso lavorare perché le vicende giudiziarie sempre aperte me lo impediscono'».
Lei crede che per rendere il Paese più «normale» serva una riforma complessiva della giustizia?
«Sicuramente sì. Aggrovigliati come siamo stati sui processi di Berlusconi, negli ultimi anni abbiamo perso di vista un problema che è reale: nella nostra Costituzione non c’è più l’articolo 68, che garantiva l’immunità per i parlamentari, che gli stessi padri costituenti avevano voluto e che è un principio vigente anche nel Parlamento europeo. E c’è da ritrovare un equilibrio tra il potere legislativo e quello giudiziario, differenziando il ruolo dei pm e quello dei magistrati giudicanti, rivedendo gli assetti attuali del Csm».
I magistrati temono che il fine sia quello di legare loro le mani.
«No, il fine è di uscire dalla paralisi di un sistema diventato un alibi per i corruttori, che ormai si atteggiano tutti a vittime anche quando non lo sono».
Allude al caso Cosentino?
«Su Cosentino dico solo che, vista la gravità delle accuse che gli vengono mosse, ritengo doverose le dimissioni dal governo».
Lo sa che i maligni potrebbero pensare che il vostro vero obiettivo è di tornare nel centrodestra dalla porta principale?
«Ma il centrodestra sta perdendo! Sul piano politico il Pdl non esiste, è sempre più ostaggio della Lega e la rissa tra Berlusconi e Fini dà ragione a noi che ci rifiutammo di salire sul predellino. Da allora non ci siamo avvicinati, ma allontanati dalla maggioranza».
Paola Di Caro
22 novembre 2009
Scusi, ma lei Berlusconi lo vuole affossare o salvare?
«Io lo vorrei battere con le armi della politica, senza sfasciare questo Paese. E non vorrei che l’appello del capo dello Stato per una riforma istituzionalmente equilibrata cada nel vuoto. Per evitarlo non servono generiche affermazioni di disponibilità, ma fatti. Per questo bisogna aprire un confronto sulle riforme istituzionali e alcune intese sono a portata di mano, penso alla riduzione del numero dei parlamentari, alla fine del bicameralismo perfetto, alla modifica di una legge elettorale assurda che impone liste bloccate, ma bisogna anche affrontare il nodo della giustizia».
Il Pd dice che è disponibile a sedersi al tavolo, ma aggiunge che non si riforma la giustizia per risolvere i problemi di Berlusconi.
«Eh no, è troppo semplicistico e cozza contro la realtà considerare questo tema 'un problema di Berlusconi'. Così come è irresponsabile agire come sta facendo il centrodestra, allungando o accorciando di volta in volta i processi, muovendosi a strappi solo per salvaguardare Berlusconi: così si sfascia il sistema giudiziario e si fa una sola vittima, il cittadino».
Pensa davvero che esista una «terza via »?
«Sì, se si ha il coraggio di dire la verità, senza ipocrisie. Imboccare la strada del legittimo impedimento ci sembra una buona soluzione, onesta e corretta. È ovvio che spetta alla maggioranza, e non certo a noi, assumersi la responsabilità politica di dire chiaramente ai cittadini che, poiché il problema è Berlusconi, si fa una legge per Berlusconi. Può essere impopolare, ma io lavoro per evitare il crollo del sistema giudiziario, perché condivido le previsioni funeree dell’Anm sull’impatto che il processo breve avrebbe su migliaia di procedimenti».
Non si rischia l’incostituzionalità sostenendo che un cittadino è diverso da tutti gli altri?
«Non facciamo gli ipocriti: già adesso il signor Casini, o il signor Di Pietro, non possono essere né perquisiti né arrestati, mentre lei che mi sta intervistando sì...».
Ma perché l’opposizione dovrebbe farsi carico di un problema che divide al suo interno perfino la maggioranza?
«Perché un’opposizione seria dovrebbe cercare di ridurre il danno che una maggioranza sconsiderata vorrebbe fare al Paese, e non limitarsi a salvarsi la coscienza strepitando contro il processo breve e manifestando nelle piazze. E perché i no-B day o come si chiamano, sono solo un favore a Berlusconi: non gli creano un problema, ma gli forniscono un alibi per continuare a governare male senza assumersene la responsabilità, ripetendo lo stanco ritornello del 'non posso lavorare perché le vicende giudiziarie sempre aperte me lo impediscono'».
Lei crede che per rendere il Paese più «normale» serva una riforma complessiva della giustizia?
«Sicuramente sì. Aggrovigliati come siamo stati sui processi di Berlusconi, negli ultimi anni abbiamo perso di vista un problema che è reale: nella nostra Costituzione non c’è più l’articolo 68, che garantiva l’immunità per i parlamentari, che gli stessi padri costituenti avevano voluto e che è un principio vigente anche nel Parlamento europeo. E c’è da ritrovare un equilibrio tra il potere legislativo e quello giudiziario, differenziando il ruolo dei pm e quello dei magistrati giudicanti, rivedendo gli assetti attuali del Csm».
I magistrati temono che il fine sia quello di legare loro le mani.
«No, il fine è di uscire dalla paralisi di un sistema diventato un alibi per i corruttori, che ormai si atteggiano tutti a vittime anche quando non lo sono».
Allude al caso Cosentino?
«Su Cosentino dico solo che, vista la gravità delle accuse che gli vengono mosse, ritengo doverose le dimissioni dal governo».
Lo sa che i maligni potrebbero pensare che il vostro vero obiettivo è di tornare nel centrodestra dalla porta principale?
«Ma il centrodestra sta perdendo! Sul piano politico il Pdl non esiste, è sempre più ostaggio della Lega e la rissa tra Berlusconi e Fini dà ragione a noi che ci rifiutammo di salire sul predellino. Da allora non ci siamo avvicinati, ma allontanati dalla maggioranza».
Paola Di Caro
22 novembre 2009
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