IL caso Orlandi riparte tirando un sottile filo sopravvissuto a un tempo ormai lunghissimo, un quarto di secolo. Da una telefonata ? l'unica di cui si è conservata la registrazione ? ricevuta dalla famiglia di Emanuela il 28 giugno 1983, sei giorni dopo la scomparsa.
Dall'uomo che, in quella circostanza, disse di chiamarsi "Mario", che offrì dettagli tutt'altro che eccentrici sul conto di quella ragazza, e che oggi, la Procura ne è convinta, si può concludere fosse "la voce della Banda della Magliana".
A "Mario", mercoledì notte, Sabrina Minardi, la donna che tra l'82 e l'84 fu l'amante di Enrico De Pedis ("Renatino", il capo della Banda), ha dato un nome e un cognome. Che per altro ai due pubblici ministeri che la ascoltavano non era del tutto sconosciuto. Perché già indicato nell'ultima delle informative della Squadra Mobile sulla "compatibilità" tra la voce di quella telefonata del giugno '83 e le identità di alcuni uomini della Banda oggetto di indagine in questo ultimo anno e mezzo. Chi è dunque "Mario"? E perché quella telefonata diventa oggi la chiave per venire a capo di uno dei più resistenti misteri italiani?
"Tutto quello che si può dire in questo momento ? dice una fonte inquirente - è che "Mario" era una figura di terza fila della Banda, un ragazzino, un gregario. Che "Mario" è vivo. Che il suo nome non è stato sin qui "bruciato" dalla cronaca. E che porta a De Pedis". Quando si fa vivo con gli Orlandi il 28 giugno 1983, dice di avere 35 anni e di chiamare da un bar all'altezza di ponte Vittorio, tra il Vaticano e la scuola di musica dove Emanuela era stata vista per l'ultima volta. Parla con un forte accento romano e spiega di aver visto nel suo locale un tipo con due ragazze che vendono cosmetici "Avon", una delle quali dice di chiamarsi "Barbara" e di essere scappata di casa, dove pure ha deciso di tornare per il matrimonio della sorella. Ma alla domanda sull'altezza di quella "Barbara" incespica, chiede consiglio a un secondo uomo, la cui voce si sente in sottofondo.
Sembrano informazioni confuse e depistanti (o almeno tali verranno ritenute per 25 anni), ma che si incastrano con quelle che, nei tre giorni precedenti, sempre al telefono, sempre con gli Orlandi, ha fornito un'altra voce (di cui non esiste alcuna registrazione). Quella di un tale "Pierluigi". Il 25 giugno chiama due volte. Il 26, una terza e ultima volta. A differenza di "Mario" non ha un intercalare dialettale. Sostiene di avere 16 anni e che la sua fidanzata ha conosciuto a Campo dè Fiori due ragazze che vendono cosmetici. Una di loro ? dice - "si chiama Barbara", ha con sé il flauto, ma si rifiuta di suonarlo perché dovrebbe indossare gli occhiali, e se ne vergogna. Quindi aggiunge: "Occhiali a goccia e per astigmatici". E ancora: "Barbara tornerà a casa per suonare il flauto al matrimonio della sorella".
"Barbara", gli occhiali per astigmatici, la vendita di cosmetici, il flauto, il matrimonio della sorella. Questi dettagli cruciali che "Pierluigi" e "Mario" spendono con la famiglia Orlandi nell'arco dei primi sette giorni dalla scomparsa hanno una loro concretezza, ma dove e a chi portino è domanda che chi allora indaga decide di non coltivare. Né l'uno né l'altro hanno fatto cenno a una richiesta di riscatto, dunque ? è la conclusione ? quelle due voci maschili fanno perdere solo del tempo.
Del resto, lo scenario iperbolico che l'indagine sulla Orlandi comincerà a disegnare già nell'estate dell'83, contribuirà per almeno vent'anni a dimenticare sia "Pierluigi" che "Mario". Almeno fino a quando, nel 2006, Antonio Mancini, pentito della Banda della Magliana, non indica nella voce di "Mario" ? dopo che la trasmissione "Chi lo ha visto" ha reso pubblica la registrazione della telefonata del 28 giugno 1983 - "un killer di De Pedis". Mancini crede di riconoscere nell'uomo che parla un tale "Rufetto", che pure esce rapidamente di scena, perché escluso dalle prime perizie foniche disposte allora dalla squadra Mobile.
È un fatto però che proprio a partire da quel momento, il proscenio del caso Orlandi cominci ad essere occupato stabilmente dalla Banda della Magliana. Che in quella direzione indichi l'anonimo che invita a scoprire chi è sepolto nella cappella di Sant'Apollinare (Enrico De Pedis) e "per quale motivo". Detto altrimenti, quale sia "il favore" che la Banda ha reso al Vaticano per meritare che le spoglie del suo Capo riposino nel territorio della Santa Sede.
Comincia insomma un'altra storia, che nel giugno del 2008, come è noto, trova in Sabrina Minardi, ex moglie di Bruno Giordano e amante di De Pedis, la sua problematica testimone. Capace con il suo racconto (indica la prigione di Emanuela in una casa di Monteverde e nelle fondamenta di un cantiere di Torvaianica la sua tomba) non solo di stabilire un nesso tra De Pedis e monsignor Marcinkus, ex direttore dello Ior. Ma anche di svelarne la sostanza, indicando proprio in De Pedis l'uomo che del potente monsignore conosceva le debolezze sessuali e dunque l'unico in grado di risolvere il "problema Emanuela Orlandi", che di quelle "debolezze" sarebbe stato parte.
In cambio di cosa Emanuela sarebbe stata eliminata dalla Banda per conto di Marcinkus, la Procura, oggi, non è ancora in grado di dirlo. Forte però di una certezza. La fine di Emanuela Orlandi è cosa di "Renatino" e di quelli della Magliana. E "Mario" ne è la chiave.
(20 novembre 2009)
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