UN manifesto in bianco e nero, con la foto di una ragazza bruna, una fascetta nera un po' da hippy sulla fronte e la scritta "Scomparsa" seguita da una descrizione di poche righe e da un numero telefonico di sette cifre.
Pochissimi se ne accorsero, nessun giornale pubblicò più di qualche riga. I grandi gialli, di solito, iniziano in modo clamoroso. Quello di Emanuela, il mistero infinito su cui perse il sonno una generazione intera di investigatori, su cui si sono cimentati servizi segreti nazionali e d'importazione, poliziotti, magistrati, confidenti, spioni, scrittori, giornalisti e decine di figure "border line" più o meno in malafede, invece, cominciò in sordina. In una capitale dilaniata dal terrorismo, spaventata da una mala sempre più sanguinaria, irrigidita da tremende tensioni politiche la storia di una quindicenne in jeans, camicia bianca e scarpe da ginnastica, uscita dalla scuola di musica il 22 giugno 83, salita su una Bmw verde e svanita nel nulla sembrava destinata a essere sepolta per sempre nelle brevi di nera. "Sapete quante adolescenti scappano tutti i giorni?" fu la risposta tranchant della questura ai pochi cronisti che cominciarono a far domande.
Quasi tutti si accontentarono.
La famiglia di Emanuela, nel frattempo, era già precipitata in un incubo che dura da 26 anni. Un incubo ancora lontano dalla conclusione perché le ultime rivelazioni, la (probabile) identificazione di uno dei tanti telefonisti che si avvicendarono nell'alimentare speranze, angosce e delusioni sembra l'inizio di una traccia più che una pista vera e propria. La verità è che nessuno, dalle 19,30 di quel 22 giugno, ha mai fornito una sola prova convincente che la quindicenne sia stata tenuta in ostaggio, non sia stata uccisa poche ore dopo il sequestro. I rapimenti, allora, erano routine e seguivano una trafila consolidata: alla famiglia, alla polizia o ai carabinieri arrivava una foto dell'ostaggio con un giornale in mano, o qualche lettera se non, nei casi più agghiaccianti, un dito o un orecchio. Di Emanuela si sono ritrovati solo un nastro registrato (che potrebbe essere stato inciso in qualunque momento) e una fotocopia dei documenti. Nessuna certezza.
Fu l'appello del Papa, durante l'Angelus del 3 luglio, a scaraventare la piccola storia della quindicenne sparita in prima pagina e a rendere ufficiale l'ipotesi su cui la squadra mobile di Nicola Cavaliere stava già lavorando in sordina: quella del rapimento. Nel frattempo, al telefono di casa Orlandi (intercettato con l'arcaica tecnologia di allora) si erano già dati il cambio "Pierluigi" e "Mario", quel "Mario" che Sabrina Minardi (altra figura piena di ombre), ex moglie del calciatore Bruno Giordano e poi compagna del boss Enrico "Renatino" De Pedis avrebbe identificato in uno dei componenti della Banda della Magliana che in quegli anni stava consolidando il suo dominio su Roma a colpi di calibro 9 e raffiche di mitra.
Due giorni dopo entrò in scena l'"Amerikano", una voce con spiccato accento straniero che mostrava di sapere parecchio e che fu il primo, vero, indizio per gli inquirenti sempre più disorientati. L'"Amerikano" chiamò in causa, per la prima volta, Mehmet Alì Agca, il "Lupo grigio" che due anni prima aveva sparato a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro (e che in seguito contribuì ad arricchire il giallo di una vena sovrannaturale citando il Terzo Mistero di Fatima). Sedici telefonate, tutte da cabine telefoniche diverse, poi anche la voce con l'accento straniero tacque per sempre. Una nota del Sisde di Vincenzo Parisi, rimasta segreta fino al 1995 identificava l'Amerikano nel presidente dello Ior, la Banca Vaticana, Paul Marcinkus. La pista dei fondi neri d'oltretevere e dei collegamenti con il "suicidio" del banchiere Roberto Calvi, sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, non ha portato da nessuna parte. Come le altre, almeno fino a ieri.
Sulla scena, successivamente, comparve un'altra ragazza: Mirella Gregori, 15 anni come Emanuela, scomparsa il 7 maggio dello stesso anno. Fu un grande avvocato intenazionalista, Gennaro Egidio, a sostenere fino alla morte che le due storie erano collegate (anche se le adolescenti non si conoscevano affatto). Nessuna prova, nessun risultato. Nel nulla, dopo anni di indagini oltreconfine e note top secret dei servizi segreti, finirono anche la "Pista bulgara", quella turca e le innumerevoli segnalazioni secondo cui Emanuela era viva, madre di un bambino, prigioniera in un harem o addirittura che era tornata, da anni, a Roma. E perfino il ritrovamento di un cranio umano nel confessionale di una chiesa di via Gregorio VII (a due passi dal Vaticano) che fu fatto analizzare nella vaga ipotesi che fosse proprio quello di Emanuela.
Col passare degli anni, i servizi cominciarono a perdere interesse nel mistero, i giornali a ricordarsene solo nell'anniversario della scomparsa o in occasione di qualche clamorosa quanto strampalata rivelazione dell'ultima ora, gli investigatori a passare ad altri incarichi. Fino al luglio del 2005, quando una telefonata anonima a "Chi l'ha visto" riaprì il caso e riaccese l'interesse su una vicenda ormai etichettata come uno dei tanti misteri made in Vaticano.
Lo sconosciuto parlava di "Renatino", uno dei boss della Magliana freddato a colpi di pistola durante la faida coi Testaccini e suggeriva di indagare "sul favore che aveva fatto al cardinal Poletti". Quale favore? Mistero. Ma una cosa è certa: il boss malavitoso era stato sepolto nella Basilica di Sant'Apollinare, nella stessa piazza dove si trovava la scuola di musica di Emanuela. Indagini a vuoto.
Tre anni dopo, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa, entra in scena Sabrina, l'ex donna del boss. Personaggio da prendere con le molle, spesso strafatta di cocaina, che entra ed esce dai domiciliari. Dice di aver visto il cadavere a Torvaianica, buttato in una betoniera da "Renatino" De Pedis assieme a quello del piccolo Domenico Nicitra, chiama in causa Danilo Abbruciati (il killer freddato nell'attentato a Roberto Rosone), Marcinkus e Andreotti. "O delira o vuole soldi" pensarono in molti. Ma quando dietro sua indicazione fu ritrovata una Bmw intestata prima a Flavio Carboni e poi a un boss della Magliana parecchi, anche in procura, cambiarono idea e fu tutto uno scartabellare vecchi fascicoli ingialliti. Ora Sabrina avrebbe fatto identificare "Mario". Il giallo torna ai primi giorni, al punto di partenza. Con una nuova, labile pista e il dolore immutato della madre che non ha mai smesso di sperare.
(20 novembre 2009)
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