sabato 28 novembre 2009

Come evitare la bolla-bis

Paul Volcker

di Massimo Riva


La crisi, nata in banca, si è presto trasferita all'economia reale e ora offre il suo volto peggiore traducendosi in paralisi della politica


A oltre due anni dai primi lampi della tempesta finanziaria che ha sconvolto l'economia mondiale, nulla di sostanziale è cambiato nelle regole che guidano la vita dei mercati, quello creditizio innanzi tutto. Chi più, chi meno, chi moltissimo come quello americano, tutti i governi hanno messo grandi quantità di denaro a disposizione delle banche in difficoltà. Un'imponente mobilitazione di risorse pubbliche che è stata spiegata con una ragione di tenore economico, ma accompagnata da un preciso impegno d'ordine politico.

La ragione economica è che si trattava di impedire un collasso generale del sistema creditizio, i cui effetti sarebbero stati esiziali per il benessere collettivo. Mentre l'impegno politico, contratto in parallelo agli esborsi, assicurava ai cittadini che, superata l'emergenza, nuove e più stringenti regole sarebbero state calate sui mercati finanziari per impedire il ripetersi degli abusi e delle malversazioni che avevano prodotto il disastro.

L'inadempienza dei governi su questo punto è oggi sotto gli occhi di tutti, tanto in Europa quanto negli Usa, epicentro della crisi. Né vale a nasconderla il miserevole tentativo di gettare fumo negli occhi della pubblica opinione con efferate dichiarazioni o anche con qualche misura contenitiva contro gli scandalosi premi in denaro o azioni che i boss del mondo bancario si sono assegnati e in parte continuano ad assegnarsi con scandalosa protervia. Che il tema dei bonus sia di sicura presa demagogica è un fatto. Ma è altrettanto un fatto che si tratta di una questione di dettaglio che neppure sfiora quei problemi di sostanza di fronte ai quali governi, parlamenti e banche centrali per ora balbettano senza costrutto. E balbettano soltanto perché non trovano il coraggio di riconoscere che il primo e fondamentale passo da compiere riguarda anche un più severo esercizio della vigilanza sul mercato, ma soprattutto una revisione dell'impianto strutturale del sistema bancario. Riforma che si può condensare con l'abbandono del modello della cosiddetta banca tuttofare e con un ritorno al regime creditizio, nato dopo il 'Big crash' del 1929, nel quale vigeva la separazione rigida fra banche di credito ordinario e banche d'investimento.

Al riguardo va reso merito a un vecchio saggio come Paul Volcker (a capo della Fed dal 1979 al 1987) e all'attuale governatore della Bank of England, Mervyn King, di aver indicato con fermezza questa soluzione come la vera strada maestra per scongiurare nuovi guai come quelli recenti. Il punto è che l'obiettivo indicato da Volcker e King, non difficile da tradurre in legge - in Usa c'è il precedente del Glass-Steagall Act negli anni Trenta - comporta in concreto una rivoluzione nella geografia del potere bancario a livello mondiale, Italia compresa. E, dunque, postula la volontà dei governi di sfidare le reazioni dell'arrogante establishment finanziario dominante sui mercati. Volontà che non è dato cogliere né di qua né di là dell'Atlantico. A conferma di un singolare paradosso per cui la crisi, nata in banca, si è presto trasferita all'economia reale e ora offre il suo volto peggiore traducendosi in paralisi della politica.


(27 novembre 2009)

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