BOCCIATO COME CANDIDATO A MINISTRO DEGLI ESTERI EUROPEO NELLA GUERRA TRA L’ASSE PARIGI-BERLINO E LONDRA
di Gianni Marsilli
di Gianni Marsilli
Dunque, stando a quanto ha proposto la presidenza svedese nella prima serata di ieri, a dirigere la politica estera europea non sarà Massimo D’Alema, ma la britannica Katherine Ashton (“Ma chi è?” si è chiesto un esterrefatto Romano Prodi), laburista, attuale commissaria al Commercio. Così hanno deciso i capi di governo socialisti, che si sono riuniti a Bruxelles ieri pomeriggio, qualche ora prima dell’inizio del Vertice. In quella sede Gordon Brown ha messo sul tavolo la testa di Tony Blair: ritiro la sua candidatura alla presidenza dell’Unione – ha detto – però chiedo la poltrona di Alto rappresentante. Più che il profilo “professionale” della Ashton (che con la politica estera non si è mai cimentata e dovrà dirigere un servizio diplomatico di quattromila funzionari), ha giocato a questo punto un’esigenza prepotentemente emersa in questi ultimi giorni: quella di femminilizzare i vertici europei. La Ashton ha riempito due caselle nello stesso tempo: quella di candidato unico del Pse, e quella di rappresentante femminile, che difficilmente il Ppe avrebbe potuto rifiutare. Anche perché i popolari hanno il loro campione nel belga Herman van Rompuy, che sarà presumibilmente il presidente dell’Unione.
La situazione si è dunque sbloccata, ma per sfociare in un’Europa classicamente “intergovernativa”. Hanno vinto, se cosi’ si puo’ dire, le tre grandi capitali. Van Rompuy è infatti il candidato di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy: un uomo indubbiamente capace, almeno nel difficile ruolo di primo ministro di un Belgio diviso tra valloni e fiamminghi, ma che non farà certamente ombra al binomio franco-tedesco. E’ quello che il presidente francese e il cancelliere tedesco volevano: ristabilire la primazia dell’asse Parigi-Berlino. Nel Dna politico di Sarkozy c’è sempre una buona dose di geni neogollisti, in quello della Merkel una tendenza al ripiego nazionale, soprattutto dopo l’esito delle elezioni di fine settembre e la fine della grande coalizione con i socialdemocratici. Con il malleabile Barroso alla testa della Commissione e un presidente dell’Unione sotto tutela (la carica è rinnovabile dopo due anni e mezzo, se il prescelto ci tiene avrà tutto l’interesse di non dispiacere ai suoi due grandi elettori) Sarkozy e Merkel avranno tutto l’agio di sviluppare la loro speciale cooperazione. Che è una garanzia per l’Europa, ma con il rischio perenne di trasformarsi in “direttorio”.
Londra, da parte sua, non poteva restare a bocca asciutta. Gordon Brown è in partenza, il Labour si appresta a passare all’opposizione, ma il primo ministro britannico un anno fa ha giocato un ruolo fondamentale nella gestione della crisi economica. La Gran Bretagna, inoltre, è l’unico paese a poter seriamente controbilanciare il potere franco-tedesco. Tutto lascia pensare che il risultato finale del complicato psicodramma europeo sia stata di sconcertante semplicità: se la sono giocata i soliti tre, sulla base del solito “do ut des”, e gli altri a seguire, Italia compresa. Restano molti dubbi sulla cifra democratica di questa barocca procedura, e su che razza di politica estera metterà in atto la baronessa Katherine Ashton, alla quale sono già andati i “migliori auguri” di Massimo D’Alema.
2 commenti:
Bene, cari italiani comincia il tempo dei bilanci, o si cambia o questi ci sbattono fuori dall'Europa e forse non vedono l'ora, perchè Berlusconi non lo digeriscono più e dubito che vorranno trovarselo di fronte ad ogni riunione europea. Ora se baila
SBATTERCI FUORI NO, SAREBBE IL FALLIMENTO DELL'INTERA UE, MA QUANTO A DISCREDITO NE ABBIAMO IN ABBONDANZA.
Posta un commento