E intanto su fondi neri Mediaset scappa dai giudici
di Peter Gomez
di Peter Gomez
Tutto come previsto. Silvio Berlusconi, per non presentarsi in aula il 16 novembre davanti ai giudici del dibattimento per i presunti fondi neri di Mediaset, gioca la carta del legittimo impedimento. Tenta di far saltare l’udienza, spiegando che proprio quel giorno dovrà parlare di fame nel mondo davanti alla Fao, e prende tempo in attesa che dal cilindro dei suoi avvocati parlamentari spunti fuori l’ennesima legge che lo allontani dai suoi processi.
Niccolò Ghedini, in queste ore sempre più ospite fisso del Cavaliere ad Arcore e a Palazzo Grazioli, si muove però su una strada strettissima. L’avvocato-deputato sta studiando due norme dal sapore antico: abbreviare ulteriormente i termini di prescrizione, come era già accaduto nel 2005 con la legge ex Cirielli, o stabilire che tutti i processi contro le alte cariche dello Stato si tengano nel palazzo di Giustizia di Roma, evidentemente ritenuto un nuovo porto delle nebbie.
Ma i problemi sono molti. Bisogna convincere gli alleati e soprattutto evitare al ministro della Giustizia una brutta figura. “Non stiamo pensando a nessuna norma per accelerare la prescrizione in relazione al processo Mills”, aveva detto solo il 27 ottobre, Angelino Alfano, davanti alle telecamere di Ballarò. Smentirlo subito sembra davvero troppo. E allora? Più fonti all’interno del Pdl concordano nel dire che il duo Ghedini-Berlusconi stia facendo pretattica. E che si prepari, semplicemente, a una replica di quanto già fatto in occasione dell’approvazione del Lodo Alfano. Allora era stata proposta per iniziativa parlamentare una norma che sospendeva per un anno tutti i processi - ad esclusione di quelli per la mafia e il terrorismo - riguardanti reati commessi (anche dal premier) prima del 30 giugno 2002 e puniti con meno di dieci anni di reclusione. Si trattava di una sorta di amnistia mascherata che, secondo l’Associazione nazionale magistrati avrebbe mandato in fumo 100.000 dibattimenti (fermarli e farli ripartire equivaleva dire prescriverli). Un colpo di spugna generalizzato che aveva provocato la rivolta di avvocati, giudici e parti lese. In questo modo Berlusconi aveva avuto vita facile nel proporre e far approvare l’alternativa: il lodo che portava il nome del suo ministro.
Oggi la storia si ripete. Da una parte c’è la legge sulla prescrizione breve (o in subordine quella per obbligare i tribunali a esaminare tutte le prove e tutti i testimoni proposti dalle difese, con conseguenti enormi perdite di tempo) . Dall’altra c’è la norma per spostare i processi contro Berlusconi nella Capitale. Se la prima legge venisse approvata il limite tassativo per chiudere un dibattimento verrebbe fissato in sei anni: 3 in primo grado, 2 in appello e uno in Cassazione. Troppo pochi per sperare di arrivare a una sentenza defintiva nei casi che coinvolgono colletti bianchi come, ad esempio, il patron della Parmalat Calisto Tanzi, i “furbetti del quartierino” protagonisti delle scalate bancarie dell’estate 2005 o i tanti componenti di quelle organizzazioni criminali che truffano l’Unione Europea e truccano gli appalti pubblici. Sei anni invece sarebbero sufficienti per continuare a processare e condannare i poveracci. Proprio Alfano ha spiegato che in Italia nel 2008 i processi in corso erano più di un milione 260mila. E che in media per arrivare a una sentenza di primo grado ci volevano 430 giorni che salivano a 730 in appello. A tenere bassa la media (si fa per dire) ci pensano però decine di migliaia direttissime e i processi per i reati da strada. E tutto questo non basta per evitare che ogni anno si prescrivano oltre 150mila reati. Ecco allora perché le norme sulla “prescrizione breve”, sostengono in privato gli uomini del premier, finiranno per essere un grimaldello. Una sorta di pistola, messa sul tavolo prima della trattiva con i finiani e la Lega, che punta un bersaglio preciso: i processi celebrati a Roma.
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