mercoledì 4 novembre 2009

E Ghedini ha già scritto la legge che cancella i tre processi milanesi


di LIANA MILELLA


L'offensiva di Berlusconi per liberarsi definitivamente dei suoi tre processi milanesi (Mills, Mediaset e Mediatrade) è pronta. Sarà messa a segno a giorni al Senato ed è già stato scelto il senatore che ne porterà il nome, l'ex forzista Lucio Malan. L'avvocato del premier Niccolò Ghedini ha già definito il testo. Non lo conoscono ancora, e sono in grande allarme, né i finiani né la Lega. E per questo Giulia Bongiorno a metà pomeriggio s'incontra, nella sua stanza di presidente della commissione Giustizia della Camera, con Roberto Calderoli. Ed entrambi concordano sui timori per le centinaia di processi che rischiano di finire al macero con un impatto gravissimo sulla sicurezza. Tutto per cassare i tre del Cavaliere.

Il meccanismo ideato da Ghedini è semplice: una prescrizione del processo, anziché del reato, che in futuro sarà scandito in tre termini di fase ciascuna di due anni. Due legislature fa, con ben altro intento, l'avevano ipotizzata i diessini Elvio Fassone e Guido Calvi, ma senza alcun successo e con più di una critica nel partito. Ma ora è giusto quello che serve per i casi giudiziari di Berlusconi perché, fatti i calcoli, gli inquirenti milanesi si sono subito resi conto che, se la legge dovesse passare, le tre indagini salterebbero d'un colpo. Berlusconi sarebbe libero.

Al Quirinale l'apprensione è alle stelle, non solo per la maxi amnistia in vista (ma senza la necessaria maggioranza dei due terzi) che di sicuro scatenerà l'ira di Csm e Anm, ma per l'inevitabile scontro che già si profila proprio come ai tempi della norma blocca processi. Per questo il Guardasigilli Angelino Alfano, che stavolta non si è voluto prendere la responsabilità del provvedimento, sta correndo almeno ai ripari sul piano dei numeri: i suoi uffici, che pure non lavorano alla legge, stanno però già calcolando che impatto potrebbe avere il futuro lodo Malan.

E non basta ancora. Perché nell'ansia di favorire in ogni modo le aziende del premier, la Mondadori nel caso di specie e il suo debito di 200 milioni di euro con l'Agenzia delle entrate, rispunta al Senato, con la Finanziaria in aula, la possibilità di chiudere con una transazione del 5% i processi tributari che si sono chiusi in primo e in secondo grado con una pronuncia favorevole all'imputato.

Stoppata in commissione dal relatore finiano Maurizio Saia, che si è rifiutato di sottoscriverlo, ora l'articolo ricompare in aula e i tecnici del Tesoro stanno studiando pure come allargare la sanatoria con la scusa di renderla più appetibile per le casse dello Stato e quindi meno iniqua per l'implicito colpo di spugna. Basti pensare che la sezione tributaria della Cassazione maneggia qualcosa come 30mila processi e che la transazione ipotizzata rischia di fare a pugni con il diritto comunitario.

C'è dunque, per finiani e leghisti, di che essere preoccupati. Tutte le promesse di preventiva trasparenza, di norme concordate e decise assieme, sono andate in fumo. Al vertice decisivo di stasera tra Berlusconi, Fini e Bossi sulle regionali, in cui il premier vuole chiudere anche la sua partita personale sulla giustizia dopo la débacle del lodo Alfano, si va ad occhi bendati.

Questo è l'interrogativo corso tra la Bongiorno e Calderoli, un colloquio di 45 minuti cui era presente anche il sottosegretario Aldo Brancher, da sempre trait d'union tra il premier e la Lega. Nessun ha ancora visionato l'articolato di Ghedini, nessuno ha potuto capire fino a che punto il futuro "processo breve" influisca sull'attuale situazione giudiziaria italiana. Per certo si tratta di una norma che, per le sue caratteristiche giuridiche, si applica per forza ai processi in corso che non possono essere esclusi da una legge più favorevole. La Bongiorno, che ha ostacolato la blocca processi prima e le intercettazioni poi proprio per il devastante impatto sui processi esistenti, si ritrova davanti un'identica situazione. Che del pari mette in agitazione la Lega.

(4 novembre 2009)

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