Gianfranco Fini, che ama definirsi un politico "freddo", in questi giorni si muove se possibile con ancora maggiore circospezione. L'ultimatum lanciato da Renato Schifani, quell'invito a riallinearsi in fretta pena le elezioni anticipate, viene considerato nella cerchia del presidente della Camera come "una minaccia vuota", poco più di un bluff. E tuttavia inizia a crescere la preoccupazione per le mosse "imprevedibili" di un Berlusconi messo nell'angolo, che anche ieri è apparso cupo a chi è andato a trovarlo. Oltretutto di nuovo sofferente per quel dolore alle vertebre cervicali che ormai non lo abbandona mai veramente del tutto.
Per questo Fini ha predicato ai suoi "calma e gesso", ha consigliato di non raccogliere la provocazione. Per questo dal primo piano di Montecitorio non filtra alcuna reazione all'affondo della seconda carica dello Stato. Il momento infatti è molto delicato. "C'è il rischio - ragiona Marcello De Angelis - che a forza di tirare da una parte e dall'altra, alla fine la corda si spezzi e finiscano a terra entrambi". La sensazione di Fini è che il premier stia cercando il "casus belli", un alibi per scaricargli addosso la responsabilità di un "fallimento" e addebitargli la rottura.
Da qui anche la prudenza sul caso Cosentino, nonostante Fabio Granata si sia spinto molto avanti su questo terreno, fino a ipotizzare un voto insieme alle opposizioni su una mozione di sfiducia al sottosegretario. "Dobbiamo stare attenti, può essere una trappola", osserva invece un altro deputato finiano, "quelli non aspettano altro". "Quelli" sarebbero gli uomini del Cavaliere, il quale - saputo della possibilità di un voto trasversale contro Cosentino - ha aggiunto un ulteriore motivo di risentimento nei confronti del "co-fondatore" del Pdl. E proprio la mozione di sfiducia a Cosentino potrebbe essere quella "conta" che il premier va cercando per mettere in minoranza Fini nel Pdl. Non a caso ieri sera un fedelissimo del premier come Denis Verdini arrivava persino a ipotizzare l'intervento dei probiviri del partito per espellere Fabio Granata, perché "il Pdl non deve essere una caserma ma neanche un bordello". Ecco, questo è il clima.
Fini tuttavia non ha intenzione di spingersi fino alla rottura definitiva con Berlusconi, su questo è stato chiaro con tutti quelli che gli hanno parlato. Certo, ormai riservatamente non fa mistero di considerare Berlusconi un leader del passato, ma esprime anche la consapevolezza che "finché c'è lui sulla scena non si muove nulla", nessuna "fuga in avanti" è possibile.
Dunque tutto resta sospeso come prima di una tempesta. Ieri, dopo l'affondo di Schifani, Gianni Letta ha cercato Fini per sondarne gli umori e provare a riavvicinare le parti. E anche gli uomini più vicini a Berlusconi facevano a gara per convincere che non si poteva attribuire la paternità delle parole di Schifani al capo del governo, come se l'ordine di colpire Fini fosse partito direttamente da palazzo Chigi. Una presa di distanza che, di questi tempi, non ha convinto. "Spero che qualche consigliere più avveduto, faccia riflettere il presidente del Consiglio sui rischi di quello che sarebbe un vero e proprio azzardo", ha replicato a brutto muso il finiano Carmelo Briguglio di fronte alla minaccia di Schifani.
Ormai anche l'ipotesi di una scissione nel Pdl non può essere considerata fantascientifica. Certo, i parlamentari che rispondono direttamente a Fini non sono molti e certamente non abbastanza da sostenere un governo istituzionale. Oltretutto anche Gianni Alemanno e Ignazio La Russa, per non parlare di Altero Matteoli, danno segni crescenti di nervosismo per questa "deriva" di Fini e non apprezzano le uscite del loro ex leader contro Berlusconi.
Ma è anche vero, come fa notare un finiano, che "in questi mesi il presidente della Camera è diventato un riferimento per tutti gli scontenti dell'attuale andazzo del governo e del Pdl". Da questo a definire possibile un'alternativa ancora molto ci passa. Moltissimo a sentire Beppe Fioroni, scettico sulla possibilità di un governo "tra noi e Compagno Manganello". Ovvero Fini. Il quale comunque continua a tessere la sua tela. Ieri ha concluso un convegno molto trasversale, organizzato da "Farefuturo" con la fondazione Symbola di Ermete Realacci (Pd), sulla Green Economy. "Fini - scherza Adolfo Urso - ormai è ibrido, come la macchina del futuro".
(18 novembre 2009)
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