martedì 3 novembre 2009

I confini della politica





di ADRIANO SOFRI

Di che cosa parla tutto questo parlare di sesso? Voci non interessate avvertono di un disagio, temono che si distragga l'attenzione dai problemi politici "veri", che si dissezioni troppo il corpo del sovrano esaltandone così la sovranità, e finalmente - come avrebbe provato il capitolo intitolato a Marrazzo - che "chi di sesso ferisce di sesso perisce". Di cesso, anzi: l'ha scritto recisamente Marco D'Eramo sul Manifesto: "Un disagio che serpeggiava da mesi per la sensazione che un attacco centrato sui sanitari del cesso non solo era strategicamente perdente, ma nascondeva qualcosa di sbagliato, riduttivo, se non umiliante, per chi lo portava".

Il dubbio è fondato: ogni volta che si parla di sesso (e che se ne tace) si rischia il compiacimento, il bigottismo e la volgarità, e soprattutto l'indiscrezione, che è un peccato mortale. Mi pare che si possa ragionevolmente obiettare, adducendo l'intenzione limpida di una denuncia del legame fra irrilevanti vizi privati ed esorbitanti vizi pubblici, fatti suoi e fatti nostri: una certificata commistione fra boudoir presidenziale e selezione della classe dirigente politica, fra promozione politica e ricattabilità, aspettative di favori in campi delicati come l'edilizia e delicatissimi come la sanità, il contrasto oltraggioso fra notti in villa e manifestazioni diurne sulla famiglia e disegni di legge draconiani sulla prostituzione, e infine un'idea del posto delle donne (dunque degli uomini) su questa terra. D'Eramo trascura che se "morire tra le braccia di una prostituta" è una sorte non infrequente e perfino invidiabile per presidenti di repubbliche e cardinali francesi (o non francesi) non lo è altrettanto, in democrazia, lasciare in eredità alla prostituta un seggio al parlamento europeo: e tantomeno regalarglielo da vivi. Non ho detto che non succeda: però non tanto, diciamo.

Il capo di governo reso vulnerabile dai suoi comportamenti privati può aderire più bruscamente, per esempio da un giorno all'altro, a un'enormità - quanto ai problemi "veri" - come la legge che dichiara reato penale l'immigrazione clandestina. E, sempre sui problemi "veri", il distributore di cocaina e procacciatore di ragazze alle feste di palazzo getta una luce - una luce: il faro del muro di cinta - sulle migliaia di disgraziati che riempiono le galere o ci crepano per qualche grammo di roba.
Tuttavia conviene spalancare la discussione. Specialmente su temi che sembrano diventati troppo scontati o banali per essere ancora presi sul serio, come avvenne quando si imposero con la forza di una rivelazione e una scoperta. Successe per cose come il rapporto fra personale e politico (oggi confuso e anche deformato in quello fra privato e pubblico), il posto delle donne (dunque degli uomini), la prostituzione, e l'amore. Il femminismo costrinse molti uomini a vergognarsi, pensarci, e rallegrarsene. Ora, l'idea che il femminismo sia superato, sensata o no, autorizza moltissimi uomini, e non solo loro, a non pensarci più, e a non vergognarsene affatto. Anzi. A D'Eramo, che a questi temi è sensibile, l'idea che "il personale è politico" sembra oggi una ricaduta nell'arcaicità. Come ogni slogan, anche quello conobbe i suoi eccessi di zelo, pretese di abolire il confine fra il riserbo e la messa in piazza, com'è inevitabile quando si deve abbattere un muro più spesso di quello di Berlino, e dunque meritò d'essere attenuato strada facendo: il personale è anche, a suo modo, politico. Non merita però di essere cancellato. Si scoprì a un certo punto, o si riscoprì, che le relazioni sessuali erano il cuore delle relazioni culturali e politiche. Per esempio, pensammo un tempo che la prostituzione potesse essere abolita: come ogni sfruttamento, del resto. Era una utopia, per dirla con indulgenza. E prepotente, anche.

Dimenticava per giunta che lo sfruttamento del corpo della donna da parte dell'uomo è una manifestazione assai peculiare dell'universale sfruttamento dell'uomo sull'uomo. A distanza di qualche decennio, e a rivoluzione sessuale data per avvenuta, si constata un successo spettacoloso della prostituzione, domanda e offerta (prima la domanda e poi l'offerta, benché sembrino rincorrersi come l'uovo e la gallina). Ma la prostituzione non era anche il paradigma, il centro stesso della condizione sociale della donna - dunque dell'uomo? E non era vero che gli uomini fossero acquirenti di potere, più che di disposizione sessuale? (Prima che nei verbali baresi, la "disponibilità", ammirevolmente rinfacciata da Rosi Bindi, figurava così in Kate Millet, 1973). Il potere che si acquista nella prostituta è il potere di disposizione sessuale sull'altra: ancora più grottesco quando si illuda d'essere gratuito, e pretenda di passare per "conquista" riportata grazie al proprio fascino... I "potenti", si dice: titolo doppio. Ecco qui la volontà di potenza nel suo senso letterale - la smentita ostentata dell'impotenza, a prova di querela. Ma con le prostitute, "il re è nudo". E pressoché ogni uomo vuole un suo posticino in cui regnare - o essere consolato, perché "il re è solo", poveretto.

Gli uomini, proteggendosi con le debite eccezioni, non pensavano che le donne facessero le puttane: pensavano che lo fossero. Il matrimonio doveva tenere quelle di loro proprietà al riparo. L'Amore - la sua convenzione - è concreto, e il matrimonio imprime addirittura un nuovo nome alla donna, quello del marito. Il Piacere è astratto: di qui la paura maschile del piacere femminile, del suo anonimato, della sua astrazione. Nel piacere si annida la minaccia del tradimento, dello spodestamento. Le prostitute erano le portatrici del piacere astratto. Se la rivoluzione sessuale, data per avvenuta, non fosse soprattutto una parodia, non crescerebbe a dismisura il rapporto mercenario, e la sua indipendenza dal "bisogno" - dal lato della domanda, specialmente. Per l'uomo, prima del femminismo, c'è la moglie che non deve provare piacere e la puttana che deve provarlo, ed è il contrasto che fa della moglie una donna onesta e della puttana una puttana. Dopo, agli occhi dell'uomo la puttana che prova piacere mostra che anche la donna onesta lo prova, e la smaschera: non ce ne sono più. Adesso per l'uomo, salvo che faccia tesoro della lezione, meglio squagliarsela, cercare altrove: in altri sessi, in altre nazionalità. Il campo socialista dichiarava reato la prostituzione, e la lasciava dilagare: proprio come lo sfruttamento in generale. Calze di nylon e jeans per il nostro turismo maschile. L'eredità più rivelatrice del socialismo reale è quella: la prostituzione allargata, genere di esportazione. Quella letterale - la distinzione è sempre necessaria, si tratta dell'habeas corpus - e quella metaforica. E una società simile, con campioni simili, aveva appena esibito l'intenzione governativa di castigare lucciole e clienti. L'ipocrisia rimpianta dai lodatori del tempo democristiano (che conobbe la sera di Capocotta) sarebbe un passabile rimedio al peggio, purché non passi il segno.

Certo che è politica. Si ha ragione a chiamarla arcaica: a condizione di accorgersi che è anche modernissima. L'ultimo grido.

(3 novembre 2009)

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