"Tanto con quello ci vedremo in tribunale". È un Fini arrabbiatissimo quello che butta via dal tavolo la copia del Giornale (un fondo del vicedirettore Sallusti intitolato "C'è un tentativo di fermare l'azione del governo" con, in fondo, una velata minaccia: "E' possibile che nei prossimi giorni ne vedremo delle belle") e archivia con quella battuta l'ennesimo attacco che lo accomuna a Napolitano e dietro il quale, ovviamente, vede la mano di Berlusconi. Sul Colle la reazione non è molto differente. Il presidente legge, s'indigna, ma la sua reazione, dopo una giornata in cui gli arrivano continui messaggi di piena solidarietà, è volutamente e soltanto un "gelido no comment".
Ma nei due palazzi, la Camera e il Quirinale, la lettura dell'articolo è univoca: il Cavaliere, mal consigliato da chi gli sta più vicino, ormai scambia una linea politica, la tutela e la piena difesa di alcuni valori, come quello della legalità, come un atto di infedeltà, come un infido attacco alla sua persona e, soprattutto, come il tentativo di abbandonarlo nel momento più difficile della sua vita politica. Per questo arma la mano del direttore Feltri. Lui, ormai privo dello scudo processuale, deve affrontare il tribunale di Milano. E nei "no" del presidente della Camera e di Napolitano, l'ultimo sulla prescrizione breve e sui processi lampo da infilare con un blitz nel decreto comunitario oggi in aula al Senato, vede solo l'insistente volontà di disarcionarlo. Non sopporta l'asse Fini-Napolitano e interpreta un'affermazione di Fini, che i suoi gli riportano, come la conferma del sospetto che l'ex leader di An lavori contro di lui. Ripete sempre Fini a proposito del capo dello Stato: "Con lui io non romperò mai". E ne seguono attestati di stima e l'irritazione per i continui attacchi al presidente veicolati dal Giornale.
La partita sulla giustizia cammina verso giornate decisive. Il Cavaliere attende nervoso quella "soluzione finale" che, come gli continua a promettere il suo avvocato Niccolò Ghedini, deve salvarlo dalle sentenze Mills e Mediaset. Ma stavolta vuole dietro di sé tutta la maggioranza, non è ammessa alcuna defezione. Quindi impone un'assunzione di alta responsabilità politica. E per questo, ragionano nell'entourage di Fini, scatena le minacce veicolate dal Giornale. Mercoledì o giovedì, salute del premier permettendo, saranno i giorni clou, si vedranno lui con Bossi e Fini per chiudere assieme l'accordo sulle regionali e quello sulla giustizia, compresa "la" o "le" leggine che gli servono per anestetizzare quegli "odiosi dibattimenti".
Fini e i leghisti sono presi d'assalto dai berluscones. "Il Cavaliere deve essere salvato a ogni costo. Non sono ammessi distinguo" dicono e premono. Ma Fini i paletti continua a metterli, e pure ben piazzati. Ripete con i suoi il ragionamento che ha fatto tante volte in questi mesi. Che ruota intorno al nodo politica e giustizia e, all'interno di questo, al peso che assumono i processi di Berlusconi. Il presidente della Camera non pronuncia dei "no" pregiudiziali contro il capo del governo, riconosce che, in generale, la questione esiste e va affrontata. Ma ci sono modi e maniere. C'è un metodo. Ci sono dei valori, la legalità prima di tutto, storico cavallo di battaglia di An. C'è la possibilità di realizzare davvero riforme condivise con l'opposizione, ma a patto che ci sia davvero la voglia di ottenere un risultato comune.
Qui s'incrina il rapporto con Berlusconi che vorrebbe invece un'adesione cieca a ogni suo allarme giudiziario e l'appoggio a qualunque progetto, anche a costo di mandare al macero migliaia di processi. Ma lo stop di Fini, per il passato e per il futuro, è netto. Lo ha pronunciato per lui Giulia Bongiorno quando, l'anno scorso, ha fermato prima la norma blocca-processi e poi le intercettazioni. Un no appena ripetuto per la prescrizione breve, perché per far "morire" un paio di processi non se ne possono mandare al macero altre migliaia. Per questo il finiano Andrea Ronchi ha fermato il blitz sulla prescrizione al Senato. Che ha scatenato la reprimenda del Giornale.
Ma il braccio di ferro continua in queste ore. Ghedini preannuncia che inonderà il Senato di progetti di legge sulla prescrizione e sui processi da contenere in sei anni. Tra questi uno "deve" salvare il suo premier. Ma, anche a costo di sfidare l'ira di Berlusconi, i finiani non mollano. Non passerà nulla che possa distruggere la giustizia. Niente leggi ad personam, se l'impatto è devastante. E niente blitz contro Napolitano.
(3 novembre 2009)
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