sabato 28 novembre 2009

Il grande Papello


di Marco Travaglio


La scena, mutatis mutandis, è questa: un poliziotto interviene per sventare una rapina in banca, ma i rapinatori lo pestano a sangue e se la danno a gambe col bottino in spalla, urlando che se non si possono più rapinare serenamente le banche allora siamo alla vigilia della guerra civile e lasciando il malcapitato esanime sul selciato.
Assiste al fattaccio un anziano e distinto signore molto british, con lobbia, impermeabile e ombrello: arrota la boccuccia a cul di gallina, guarda nel vuoto e spiega al malcapitato che, nell’interesse del Paese, bisogna fermare la spirale della crescente drammatizzazione cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche, ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali.
Dunque invita l’agente che rantola a uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche e gli raccomanda di attenersi rigorosamente allo svolgimento della sua funzione.
Poi, prima di andarsene con passo deciso, butta lì che spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra rapinatori e polizia.
Subito, dalle principali forze politiche, si levano compiaciuti gridolini di giubilo per l’autorevole monito alla pacificazione fra guardie e ladri, immediatamente raccolti e amplificati dai telegiornali in vista dell’auspicata pacificazione dopo il lungo scontro in atto nel Paese fra chi rapina le banche e chi vorrebbe impedirglielo.
Il presidente del Senato, abbandonati da alcuni anni i suoi clienti e soci attualmente in carcere senza nemmeno una visitina per portare loro i conforti religiosi, propone un tavolo fra maggioranza e opposizione per cancellare i processi ai rapinatori. Appello seriamente valutato dall’opposizione, che a cancellare i processi ai rapinatori proprio non ci sta, ma ammette che “il problema esiste”.
I rappresentanti delle guardie fanno sommessamente notare che uno dei loro è stato massacrato di botte e che la legge impone loro di sventare le rapine, non di agevolarle. Ma invano: vengono immediatamente zittiti dal partito dei rapinatori, i quali in questa dichiarazione vedono l’ennesima prova degli intenti golpisti delle guardie.
Seguono, dopo la pubblicità, i programmi di approfondimento giornalistico, tutti dedicati a temi di stretta attualità politica: i viados, il Grande Fratello, la dieta mediterranea, i cinepanettoni di Natale, il nuovo libro di Vespa, il delitto di Perugia e le celebrazioni per il 750° compleanno di un noto sarto di epoca egizia con tanto di esperti di datazione al carbonio-14.
A chi eventualmente intendesse occuparsi in tv di quanto accaduto fra il poliziotto e i rapinatori, viene amorevolmente raccomandato di rispettare la par condicio fra guardie e ladri e di invitare in studio qualche ladro per garantire il necessario contraddittorio.
Il direttore del Tg1, che non ha mai raccontato nulla sulla rapina e sull’aggressione, comunica alla nazione che il governo è in pericolo a causa di guardie eversive che vogliono sovvertire la maggioranza democraticamente eletta, dunque occorre depenalizzare le rapine in banca o, in alternativa, immunizzare gli eventuali rapinatori che occupino alte cariche dello Stato.
Alcuni giornali spiegano con dovizia di particolari che il problema politico nasce dal fatto che al governo siedono noti rapinatori e amici dei rapinatori, come risulta dalle confessioni di alcuni rapinatori che collaborano con la giustizia e stanno facendo i nomi dei loro complici rifugiatisi in Parlamento e/o al governo per non pagare il fio delle proprie rapine.
Ma tutto questo i telespettatori, almeno quell’80 per cento che si informa o crede di informarsi soltanto dalla tv senza mai aprire un giornale o collegarsi a Internet, non lo sanno.
E continuano a domandarsi: ma che cazzo c’entrano la politica, il Parlamento e il governo con le rapine in banca?

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