Il pentito Gaspare Spatuzza non ha dubbi: quando fece l’accordo politico con chi doveva risolvere i problemi della mafia — Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, a suo dire — il boss Giuseppe Graviano li contattò direttamente. «Ritengo di poter escludere categoricamente — spiega l’ex uomo d’onore —, conoscendoli assai bene, che i Graviano si siano mossi nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri attraverso altre persone. Non prendo in considerazione la possibilità che Graviano abbia stretto un patto politico con costoro senza averne personalmente parlato». Che avevano chiuso l’accordo, ha raccontato Spatuzza, glielo spiegò lo stesso Giuseppe Graviano, facendogli i nomi dell’attuale capo del governo e del suo principale collaboratore in Sicilia. Ma quando un pm gli chiede se Graviano potesse essere arrivato a quei due «attraverso un’altra persona, senza conoscere loro », Spatuzza reagisce deciso: «No, no! Non esiste! Non trattano con le mezze carte. Hanno avuto sempre nella vita i contatti diretti». E parlandogli di Dell’Utri come «un paesano », il capomafia intendeva «qualcosa di più di Berlusconi... Paesano lo posso considerare come una persona vicinissima a noi».
Nell’interrogatorio reso ai magistrati di Firenze che indagano sulle stragi mafiose del 1993, depositato ieri al processo d’appello contro il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri (condannato in primo grado a 9 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa) il neo-pentito Spatuzza, che deporrà in aula il 4 dicembre, spiega che lui con i Graviano e gli altri boss parlava «a mezze frasi», ma poi precisa: «Sono le abitudini di Cosa nostra, nella quale con le mezze frasi si fanno i palazzi ». E aggiunge la «deduzione », come la definisce lui stesso, maturata sulla base della sua «disgraziata esperienza», che Berlusconi e Dell’Utri, «in un un primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa nostra, e poi si volevano accreditare all’esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare».
Accuse pesanti, entrate ora anche nell’indagine palermitana sulla presunta trattativa tra mafia e Stato nel cui ambito ieri è stato nuovamente interrogato Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. A Firenze invece, dov’è stata riaperta l’inchiesta sulle bombe del ’93, Spatuzza è stato messo a confronto con i due fratelli Graviano, condannati all’ergastolo per l’omicidio di don padre Puglisi, il parroco del quartiere palermitano Brancaccio, e per le stragi organizzate nel continente. Davanti al maggiore, Giuseppe, il pentito s’è presentato con una lettera in cui lo invita a muovere il suo stesso passo. «Mi rendo conto quanto sia difficile passare dalla parte dello Stato — scrive Spatuzza al suo ex capomafia — ma una volta fatto il primo passo tutto diventa più bello... Si deve avere la capacità di rompere questo schema terroristico mafioso che è profondamente radicato nella nostra cultura...». All’esortazione Giuseppe Graviano ha risposto con un secco: «Non ho niente da dire».
Ha parlato, invece, Filippo. Senza confessare nulla e anzi smentendo le accuse e i ricordi di Spatuzza. Ma ripetendo sempre, come un ritornello: «Mi dispiace...». Quarantotto anni, laureando in Economia e commercio attraverso esami sostenuti in carcere con ottimi risultati, Filippo Graviano dice che lui dai politici non s’è mai aspettato nulla, né di aver mai confidato a Spatuzza che se i politici non avessero rispettato le promesse fatte a Cosa nostra si poteva cominciare a parlare coi magistrati. Ma ad ogni occasione il giovane Graviano ribadisce al suo ex amico fraterno: «Mi dispiace dovermi trovare in contraddizione con te. Io non ho motivo di contraddire quello che tu hai detto ». Atteggiamento insolito per un mafioso davanti a un pentito, solitamente oggetto di contumelie e controaccuse di «infamità». Niente di tutto questo, anzi: «Ti auguro tutto il bene del mondo, non ho niente contro le tue scelte. Sono contento che tu abbia ritrovato la pace interiore».
Nel faccia a faccia Spatuzza mostra a Graviano jr la famosa foto del bambino ebreo al cospetto dei nazisti. «Te l’ho fatta vedere nel 2000», gli ricorda: «Rappresenta padre Puglisi, Giuseppe di Matteo (il figlio del pentito sciolto nell’acido, ndr )... tutte le vittime che abbiamo fatto». Filippo Graviano nega: «Non ricordo di averla mai vista». Ma ancora una volta, rivolto al pentito: «Non ho nulla contro di te, né contro la tua collaborazione ».
Giovanni Bianconi
21 novembre 2009
Nell’interrogatorio reso ai magistrati di Firenze che indagano sulle stragi mafiose del 1993, depositato ieri al processo d’appello contro il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri (condannato in primo grado a 9 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa) il neo-pentito Spatuzza, che deporrà in aula il 4 dicembre, spiega che lui con i Graviano e gli altri boss parlava «a mezze frasi», ma poi precisa: «Sono le abitudini di Cosa nostra, nella quale con le mezze frasi si fanno i palazzi ». E aggiunge la «deduzione », come la definisce lui stesso, maturata sulla base della sua «disgraziata esperienza», che Berlusconi e Dell’Utri, «in un un primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa nostra, e poi si volevano accreditare all’esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare».
Accuse pesanti, entrate ora anche nell’indagine palermitana sulla presunta trattativa tra mafia e Stato nel cui ambito ieri è stato nuovamente interrogato Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. A Firenze invece, dov’è stata riaperta l’inchiesta sulle bombe del ’93, Spatuzza è stato messo a confronto con i due fratelli Graviano, condannati all’ergastolo per l’omicidio di don padre Puglisi, il parroco del quartiere palermitano Brancaccio, e per le stragi organizzate nel continente. Davanti al maggiore, Giuseppe, il pentito s’è presentato con una lettera in cui lo invita a muovere il suo stesso passo. «Mi rendo conto quanto sia difficile passare dalla parte dello Stato — scrive Spatuzza al suo ex capomafia — ma una volta fatto il primo passo tutto diventa più bello... Si deve avere la capacità di rompere questo schema terroristico mafioso che è profondamente radicato nella nostra cultura...». All’esortazione Giuseppe Graviano ha risposto con un secco: «Non ho niente da dire».
Ha parlato, invece, Filippo. Senza confessare nulla e anzi smentendo le accuse e i ricordi di Spatuzza. Ma ripetendo sempre, come un ritornello: «Mi dispiace...». Quarantotto anni, laureando in Economia e commercio attraverso esami sostenuti in carcere con ottimi risultati, Filippo Graviano dice che lui dai politici non s’è mai aspettato nulla, né di aver mai confidato a Spatuzza che se i politici non avessero rispettato le promesse fatte a Cosa nostra si poteva cominciare a parlare coi magistrati. Ma ad ogni occasione il giovane Graviano ribadisce al suo ex amico fraterno: «Mi dispiace dovermi trovare in contraddizione con te. Io non ho motivo di contraddire quello che tu hai detto ». Atteggiamento insolito per un mafioso davanti a un pentito, solitamente oggetto di contumelie e controaccuse di «infamità». Niente di tutto questo, anzi: «Ti auguro tutto il bene del mondo, non ho niente contro le tue scelte. Sono contento che tu abbia ritrovato la pace interiore».
Nel faccia a faccia Spatuzza mostra a Graviano jr la famosa foto del bambino ebreo al cospetto dei nazisti. «Te l’ho fatta vedere nel 2000», gli ricorda: «Rappresenta padre Puglisi, Giuseppe di Matteo (il figlio del pentito sciolto nell’acido, ndr )... tutte le vittime che abbiamo fatto». Filippo Graviano nega: «Non ricordo di averla mai vista». Ma ancora una volta, rivolto al pentito: «Non ho nulla contro di te, né contro la tua collaborazione ».
Giovanni Bianconi
21 novembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento