mercoledì 11 novembre 2009

La croce, La Russa e il sangue


di Piergiorgio Odifreddi


Signor ministro, il 4 novembre lei è intervenuto su Raiuno in occasione della Giornata delle Forze Armate. Mi permetta, anzitutto, di esprimerle il mio apprezzamento per essersi esibito col suo solito invidiabile autocontrollo, che le permette di mantenere sempre i modi e le parole a un livello di pacatezza espressiva e di proprietà linguistica che ci si aspetterebbe di trovare soltanto in un monaco zen o in maggiordomo inglese. E di ringraziarla perché, dopo essersi già rivolto a me con moderazione e gentilezza il 1 ottobre a Porta a Porta con un raffinato “lei fa schifo!”, mi ha anche difeso a La vita in diretta dal “pubblico in studio che voleva linciare quella specie di professore che si chiama Odofredi, che non ha nessun titolo scientifico per essere un esperto di religione e va in tutte le trasmissioni”. Limitandosi giustamente a citare in trasmissione le Forze Armate per pochi secondi, lei ha raggiunto un doppio e meritorio scopo.
Da un lato, ha evitato di trasformare in un vuoto e retorico omaggio il ricordo dei giovani militari costretti a morire all’estero in sedicenti “missioni di pace”.
E dall’altro lato, ha potuto concentrarsi sulla difesa del nostro Stato dal proditorio attacco che gli era appena stato sferrato dalla Corte europea, osservando pacatamente: “Possono morire, ma il crocifisso resterà in tutte le aule delle scuole. Possono morire, loro e quei finti organismi internazionali”.
I giudici che hanno emanato quella sentenza avevano infatti avuto l’ardire di ingerire nelle nostre faccende di casa, arrivando persino a ricordare che l’ostensione dei crocifissi è un retaggio del fascismo. Cos’altro avrebbe dunque potuto dire un ex militante del glorioso Fronte della Gioventù, più volte parlamentare (come già suo padre) dell’altrettanto glorioso Movimento sociale italiano? Semmai sono coloro che fascisti non lo sono mai stati, a lamentarsi dell’ostensione pubblica di un simbolo che nel Novecento è stato sistematicamente associato ai regimi totalitari di destra, da Franco a Salazar a Pinochet. Un simbolo che, piaccia o no agli apologeti, ha sempre grondato sangue: dapprima, dei tanti condannati a quel terribile supplizio dall’Impero romano, e poi, del numero molto maggiore di vittime che sono state immolate nel suo nome dai cristiani, a partire da quando Costantino lo adottò nel 312 nella battaglia di Ponte Milvio, e seguendo con le Crociate (appunto), l’Inquisizione e la Conquista. Un simbolo che è sistematicamente usato per nominare il nome di Dio invano, dalle cerimonie pubbliche civili (co-officiate dall’immancabile prete o vescovo di turno) alle “benedizioni dei cannoni” militari (anche recenti, come prova il fatto che il cardinal Bagnasco, presidente della Cei, è un generale dell’esercito in pensione). E’ forse questa la “tradizione” a cui fanno appello coloro che invece il crocifisso continuano a volerlo vedere esposto, sostenendone la supposta innuocuità? Invece la sua presenza nei luoghi pubblici, dalle aule ai tribunali, si configura come una subdola pubblicità occulta, che ha il compito di assuefare silenziosamente la mente dei cittadini di qualunque età all’idea che il cristianesimo faccia parte del nostro tessuto sociale. E lo stesso scopo hanno le trasmissioni televisive, di intrattenimento o (dis)informazione, che bombardano il telespettatore con sceneggiati, servizi, dibattiti e notizie ad argomento religioso, soprattutto su Raiuno: su quella stessa rete, cioè, che dedica sistematicamente più spazio nei suoi telegiornali al Papa che al presidente della Repubblica, e ogni domenica trasmette persino la messa, ma che ciò nonostante lei, signor ministro, ha definito a La vita in diretta “insopportabile” perché si è permessa di domandare anche il parere degli atei, sulla questione del crocifisso!
Lei dice che non ho “nessun titolo scientifico per essere un esperto di religione”, volendo forse dire che non sono competente in materia. Evidentemente lei non sa che io ho scritto un paio di libri sull’argomento, ma io so che lei sbaglia (o mente) quando dice che “l’Italia è un paese dove tutti non possiamo non dirci cristiani”: solo un terzo degli italiani partecipa infatti regolarmente alle funzioni religiose, e assegna l’otto per mille alla Chiesa. Gli altri non potete annetterveli a piacere, benché cerchiate di farlo battezzandoli da bambini prima che siano in grado di intendere e volere, indottrinandoli con l’ora di religione quando ancora si stanno formando, e derubandoli dell’otto per mille da adulti quando non lo assegnano (dirottandolo poi quasi completamente ai preti). Questa connivenza tra Stato e Chiesa è contraria alla sentenza della Corte Costituzionale del 20 novembre 2000, secondo la quale “l’atteggiamento dello Stato dev’essere segnato da equidistanza e imparzialità, indipendentemente dal numero di membri di una religione o di un’altra”. E’ esattamente ciò che ci richiama a fare la Corte europea, ricordando che “una tale posizione di equidistanza e di imparzialità è il riflesso del principio di laicità, che per la Corte Costituzionale ha natura di principio supremo”. Il principio di laicità è stato rivendicato dall’Europa attraverso il rifiuto del richiamo alle radici cristiane nella sua Costituzione, nonostante le reiterate richieste di Giovanni Paolo II. E’ giunta l’ora che l’Italia si adegui anch’essa a questo principio, non solo abolendo i crocifissi dalle scuole e dai luoghi pubblici, ma anche denunciando il Concordato di Mussolini e Craxi e gli anacronistici privilegi che esso concede alla Chiesa cattolica, con buona pace dei membri ex fascisti ed ex socialisti di un governo che finora si è distinto per essere forte coi suoi deboli cittadini, ma debole coi forti prelati.

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