La relazione porta la mia firma, ma quello che c’è scritto è falso: quel giorno a Mezzojuso il colonnello Riccio non c’era”. Il processo è a Mario Mori e Mauro Obinu, accusati della mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, ma sul banco degli imputati, ieri mattina, ha rischiato di salire un terzo ufficiale del Ros, il colonnello Antonio Damiano, che nel 1996 comandava la sezione di Caltanissetta e che nel 2004 è passato al Sisde diretto da Mori.
Quel giorno, a Mezzojuso, la mattina del 31 ottobre 1995, scrisse Damiano in una relazione di servizio, c’era anche il colonnello Michele Riccio, il cui confidente, Luigi Ilardo, poi ucciso il 10 maggio dell’anno successivo, aveva messo i carabinieri sulle tracce di Provenzano: da lui era partita l’indagine e assieme ai suoi colleghi era tra coloro che sorvegliarono la zona ma non intervennero, consentendo alla primula rossa corleonese di andare via indisturbato.
Ieri in aula l’ufficiale ha smentito la sua relazione, sostenendo che in realtà Riccio non era presente, e che il suo nome era stato inserito per attribuire a un superiore un ruolo in un’indagine che proprio dal colonnello aveva avuto il suo input.
E i misteri attorno a questa storia aumentano, arricchiti dalle contraddizioni di Damiano che, smentito dai suoi marescialli, aveva detto di avere compiuto un sopralluogo a Mezzojuso con i suoi uomini la notte precedente l’appostamento, per poi andare a dormire in macchina a Mondello. Così, quando il pm Di Matteo ha chiesto la sospensione dell’udienza per dare modo al teste – che avrebbe potuto assumere la qualità di indiziato di reato connesso –, di nominare un avvocato si sono opposti i legali della difesa, e il tribunale ha dato loro ragione: secondo l’avvocato Piero Milio il pm sapeva della falsità fin dal 2002, e “nonostante ciò – ha detto il legale – la procura non ha mai iscritto Damiano nel registro degli indagati, quindi resta un teste”. E dopo che i giudici hanno accolto la tesi della difesa, il pm ha rinunciato ad interrogare il testimone, protagonista della clamorosa marcia indietro.
Ma Riccio era o no sulla collinetta di Mezzojuso impegnato nei servizi di osservazione per la cattura di Provenzano? Lui ha sempre giurato di sì, rivelando che fu egli stesso a proporre a Mori e ad altri ufficiali di consegnare ad Ilardo, che doveva incontrare Provenzano, una cintura con un trasmettitore satellitare, in dotazione alla Dea americana, da azionare semplicemente cambiando l’occhiello. Un gesto anonimo, da compiere davanti al superlatitante, che avrebbe consentito l’irruzione dei carabinieri. Ma l’idea non fu accolta da Mori, accusa Riccio, e quella mattina, dalle 8 alle 11 circa, decine di carabinieri assistettero da lontano al summit mafioso fotografando la scena senza intervenire.
Il tribunale ha poi rinviato l’udienza al 14 dicembre per ascoltare il procuratore generale di Catania ed ex procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra e l’avvocato Carlo Taormina. A gennaio l’audizione di Massimo Ciancimino con il deposito, entro la fine dell’anno, di tutti i verbali finora segreti sulla trattativa.
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