Art. 7: Lo Stato e la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine indenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Chiesa e Stato agiscono nel medesimo territorio e si rivolgono agli stessi individui che sono, al tempo stesso, appartenenti ad una chiesa e cittadini di uno Stato. La linea di confine è tracciata secondo la materia - spirituale o temporale - che compete a ciascuno. Il primo comma dell’art. 7, definito da Michele Ainis “il manifesto laico dello Stato italiano”, riconosce la ‘indipendenza’ reciproca dello Stato e della Chiesa: nessuno dei due può interferire nell’ordinamento dell’altro. Sono due ordinamenti separati, indipendenti e sovrani, con proprie norme che possono anche essere divergenti: la valutazione di uno stesso comportamento umano da parte dei due sistemi non necessariamente coincide. Quali conseguenze per gli individui destinatari di norme eventualmente in conflitto?
L’insistenza della Chiesa a che lo Stato non approvi norme in contrasto con i suoi principi ha indotto ad equivoci gravi, in particolare al tempo dell’introduzione del divorzio: è chiaro (o dovrebbe essere chiaro) che ciò che conta per il credente è il matrimonio, sacramento sul quale lo Stato non ha il potere di intervenire. E dunque la possibilità di divorziare non lo interessa (se non vuole), ma riguarda altri che credenti non sono (o sono ‘cattolici’ di nome): perché deve volere che lo Stato impedisca a coloro che la pensano diversamente di sciogliere un matrimonio civile che per la Chiesa non ha valore? Leopoldo Elia – democratico e cattolico – nel 2007 constatava un riposizionamento della Chiesa “consistente in un interventismo anche politico di carattere identitario” non gradito ai cattolici praticanti. Invero, la ‘laicità’ che la Corte Costituzionale ha incluso fra i ‘principi supremi’ dell’ordinamento costituzionale italiano (ricavandolo oltre che dall’art. 7, dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20) non consente allo Stato di avallare con l’autorità formale della legge scelte fideisti-che. La legge – scrive Piero Bellini – non può farsi garante autoritario di questo o quel codice di valori. Non va però accentuata la pregiudiziale irreligiosa del pensiero laico illuministico: “vanto del laicismo liberale è proprio quello di assicurare a tutte le professioni spirituali-religiose il medesimo grado di libertà che esso reclama per la scelta spirituale libertaria”. La laicità è un concetto complesso, ha detto la Corte (sent.203/1989), che “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.
Benché lo Statuto del 1848 definisse la religione cattolica “la sola Religione dello Stato”, i politici risorgimentali assunsero orientamenti liberali non favorevoli ai principi e agli interessi cattolici: dall’istituzione del matrimonio civile, all’espropriazione dei beni ecclesiastici, alla laicizzazione della scuola. Dal 1871 fra Chiesa e Stato vigeva la separazione. Il fascismo, cancellando gli istituti dello stato liberal-democratico, tornò al confessionismo nel diritto matrimoniale, nella scuola, nel Codice penale, introducendo nel 1929 il sistema concordatario, conscio dei vantaggi di un accordo con le gerarchie ecclesiastiche.
La Costituzione richiama i Patti lateranensi (Trattato e Concordato) del ’29, mettendoli al riparo da possibili modifiche decise dal solo Stato. Ogni modifica richiede l’accordo fra le due parti, dunque una legge non può abrogarne le norme così come non può farlo il popolo con il referendum. Tuttavia, neppure le norme contenute nei Patti possono essere in contrasto con i ‘principi supremi’ e i diritti fondamentali (come il diritto di difesa in giudizio): perciò la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità (in una parte) della legge d’esecuzione del Concordato. Dal 1984 vi è un nuovo Concordato, stipulato fra Stato italiano (governo Craxi) e Santa Sede. Fra le questioni discusse vi è l’insegnamento della religione cattolica e, dopo la sentenza della Corte di Strasburgo del 3 novembre, l’esposizione del crocifisso è considerata in contrasto con la Convenzione europea dei diritti umani. Scriveva Giuditta Brunelli, costituzionalista: “Mentre i singoli devono ritenersi liberi di esprimere la propria identità culturale e religiosa anche attraverso l’utilizzazione di segni d’appartenenza resta escluso che i simboli di una confessione religiosa possano essere autoritariamente esposti nella sfera pubblica istituzionale, quasi che lo Stato potesse in essa identificarsi”.
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