Il Presidente del Consiglio è al tramonto ma è ancora sorretto da un enorme apparato clientelare e da un sistema d’informazione, proprietaria o controllata, ancora molto influente.
Forte delle sue trascorse gesta imprenditoriali, compiute grazie a tre televisioni regalategli dai governi passati per quasi trent’anni, oggi, il suo impero finanziario vive 'intubato' dai finanziamenti pubblici all'editoria (Mondadori) e dalle concessioni praticamente gratuite delle frequenze televisive (Mediaset).
Sul fronte pubblico il Paese in piena crisi economica richiede molte energie e dedizione.
Lo schiacciamento tra istituzioni e interessi privati produce un effetto intollerabile: il fatto che il Presidente del Consiglio si pronunci solo sulle vicende personali e sulla giustizia e mai sui problemi del Paese.
Per la sua maggioranza forse è meglio così visto che quando se ne occupa, come per l’Irap o il contratto a tempo indeterminato, si sfiora la crisi di governo.
Non basta. A pesare non è solo “di cosa” lui parli ma sono anche gli interlocutori che sceglie esclusivamente tra programmi accomodanti e giornali di famiglia.
Venga piuttosto a riferire ai cittadini, la cui rappresentanza siede in Parlamento, o, se vuole, scenda nelle strade (e non dall’elicottero) per spiegare direttamente a loro la sua strategia politica.
E’ vero, lei non è ricattabile perché ha così tanti mezzi, tra denaro, commesse pubbliche e consigli d’amministrazione da poter far fronte a qualsiasi ricatto le possa presentarsi.
Non le rimane che l’imbarazzo della scelta su come transare cosa, questa, che la trasforma da ricattato in ricattatore.
Così è stato per Mills e così per le mazzette alla Guardia di Finanza negli anni 90 quando si indagava sulle aziende di famiglia. Però, ogni tanto, il suo “ufficio gestione ricatti” perde una pratica e allora scoppia il putiferio. E’ accaduto con una escort di nome Patrizia D’Addario, alla quale aveva aperto le porte per una candidatura alle regionali in Puglia, e alla quale si aggiunse poi un elenco di altre 30 colleghe (Tarantini dixit), ed il risultato è stato devastante: lo sputtanamento globale dell’Italia.
Accadde anche per la questione CIR perché, evidentemente, nel processo per la Mondadori ha dimenticato di corrompere qualche altra pedina oltre Metta, Acampora, Pacifico, Previti e, per una volta almeno, questa svista forse la pagherà di tasca sua. E non venga a piangere per il fatto che la cifra di 750 milioni di euro “è un'ipotesi così assurda che non riesco a prenderla in considerazione” affermando che “tutta la partecipazione Fininvest in Mondadori vale 432,8 milioni di euro”. Lei trascura volutamente alcune banali considerazioni: quanti soldi (anche pubblici) e quali vantaggi politici le ha portato dal 1991 ad oggi la Mondadori?
Ora le viene semplicemente richiesto di restituire al legittimo proprietario tutti i vantaggi che ha ottenuto ingiustamente negli anni. Anche se ora la sua Mondadori non vale un granché, ma anche questo è merito suo.
Stupendosi per questi 750 milioni di euro non vorrà dimostrare, come imprenditore, di valere meno di quanto non valga economicamente il suo Milan?
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