
Sono nata il 17 febbraio del 1967, quasi in macchina, perché avevo fretta di venire al mondo. Un anno dopo la nascita di Luigi, il mio adorato fratello, morto a trentaquattro anni per cure sbagliate, ufficialmente per un’embolia al cervello. Anche quella volta ho reagito alla mia maniera, ho denunciato l’ospedale di Pisa a cui si era rivolto per essere guarito da una forma di depressione, ma dopo un po’ ho smesso, mi sono riappacificata con me stessa, ormai era morto, qualunque somma di denaro a risarcimento non me lo avrebbe restituito. (...) Credo di avere avuto sempre lo stesso carattere, ribelle, insofferente alle ingiustizie, coraggiosa e intrepida fino all’incoscienza, nessun senso della misura né di fronte agli uomini né di fronte ai tempi. (...)Chi mi conosce un po’ dice che tutto è cominciato perché mio padre era un donnaiolo e un violento. E che io non ho fatto che conoscere uomini uguali a mio padre, traditori e puttanieri. (...) Non era andato a lungo a scuola, come nessuno di noi fratelli, in fin dei conti, e nemmeno mia madre. Nella piccola azienda familiare di costruzione edilizia, lui era quello che si occupava di trovare i lavori, fabbricati da completare, da ristrutturare, da ripulire, da abbattere. Mio nonno e mio zio invece avevano il compito di organizzare i cantieri. Mio padre era un uomo molto bello e molto corteggiato. (...) Alzava le mani mio padre, sulla moglie e sui figli. E per un nonnulla, per il chiasso che facevamo, i giocattoli che usavamo, gli amichetti che portavamo a casa. Il tradimento di mio padre è stato il mio primo, grande dolore. (...) Dopo un po’ di tempo mia madre, esasperata, chiede la separazione. Non so perché, ma tutti noi figli finiamo ciascuno in un istituto, Luigi da una parte, Luciano dall’altra, io dalle monache di un collegio spagnolo a Bitonto, poco lontano da Bari. Suore cattivissime. Vi ho trascorso un anno, un anno fra botte cosiddette educative e punizioni di ogni genere. (...)
Dopo un anno di questa bella vita ritorno a casa. La mia famiglia si ricompone: i miei genitori fanno pace e i giudici restituiscono loro i figli. La calma e la serenità è solo apparente. Mio padre ricomincia esattamente come prima, botte e tradimenti, tradimenti e botte. Solo che mia madre non reagisce più, la separazione le aveva tolto i figli oltre al marito, non proverà mai più a ribellarsi. E arrivo a sedici anni. Dicono che sono la più bella del quartiere. (...) Sono iscritta a un Istituto tecnico commerciale, uno di quelli che ti preparano a diventare segretaria d’azienda. Ma non arriverò al diploma. I miei coetanei non li guardo neppure. Sono attratta da un amico di mio padre, un ingegnere di trentatré anni, più del doppio della mia età. È separato e con un figlio. Mi riempie di attenzioni, mi fa sentire una donna grande. Non so se lo amo, non credo di sapere bene cosa significhi. E non è questione di età. (...) Mio padre non è affatto contento quando scopre la mia simpatia per l’uomo. Mi proibisce di vederlo, mi dice, dopo aver ascoltato una telefonata fra di noi particolarmente appassionata, che se non la smetto mi caccia di casa. Era l’ultima cosa che avrebbe dovuto dirmi. Prendo le mie cose e in pigiama me ne vado la notte stessa.
Nessuno mi ferma io non ritorno più
Comincio a fare la modella, a cantare per i piccoli spettacoli di paese, ma non è il mestiere che voglio fare. La mia passione è la magia, l’illusionismo, sono i giochi di prestigio. (...) Sono gli anni di Patrizia Dario, Koka, Patrizia Brummel, Phoebe Barbieri. Tutto ciò mi permette di avere, nel giro di qualche anno, una casa a Roma e una a Bari. (...) In un lampo trascorrono dieci anni. Sono una donna ormai, ho guadagnato abbastanza, ho una certa posizione, vivo in un bell’attico nel centro di Bari e ho una bella casa a Roma in via Sicilia, forse è anche il momento di pensare a un figlio. Ma la ruota della vita gira, la mia quota di tempo sereno è finita. (...) Un giorno rientro da Roma all’improvviso per fare una sorpresa – mai fare sorprese in amore, all’epoca non lo sapevo – e lo trovo a letto con un’altra. (...) Mi aveva già tradito una volta, qualche tempo prima, e io non avevo saputo fare altro che provare a tagliarmi le vene. Ho ancora le cicatrici sui polsi. (...) Il giorno dopo me ne vado. (…)
La casa rossa, il sogno di papà
Ecco, quel rustico di un orribile colore rosso, più o meno agli inizi della strada, sul lato sinistro venendo dal centro, ormai quasi soffocato dalla sterpaglia. È quello il problema che Berlusconi ha promesso di risolvere quando sono andata a letto con lui. (...) L’idea del residence era venuta a mio padre. Aveva acquistato a un’asta pubblica, quelle che fanno i tribunali, una villa incompleta con terreni adiacenti. (...) In tutto 361 milioni di lire, una bella cifra. Era il 1991. Per pagare aveva acceso un mutuo fondiario oneroso, ma secondo lui sostenibile: 250 milioni chiesti al San Paolo di Torino concessi dietro ipoteca sullo stesso rustico e sulla villa di famiglia in via Francesco Pepe, sempre a Carbonara. (...) Mio padre avrebbe dovuto pagare alla banca 500 milioni di interessi, più il capitale. Che faceva un debito di 750 milioni, una cosina da niente. Il progetto del residence prevedeva sei mini appartamenti su due piani, grandi finestre sul verde, materiali buoni, arredi moderni ed eleganti. (...) Dunque, mio padre cerca di realizzare il suo sogno, inizia l’iter burocratico al comune per tutti i permessi necessari, passa il tempo. Quattro anni se non ho sbagliato i calcoli. Il progetto si ferma nelle stanze del municipio, la sua impresa non riesce a mettere nemmeno una mano di calce. Il debito, nel frattempo, cresce. Nel maggio del 1995 papà versa alla banca 122 milioni di lire come acconto, ma si riveleranno pochi. Due anni dopo, nel giugno del 1997, la banca chiede la restituzione di 281 milioni, tempo massimo dieci giorni. Mio padre non riesce a trovare i soldi. Il mese dopo viene pignorata la villa di famiglia, il rustico della Vela e i terreni. Il finale è quello che vi aspettate. Disperazione, vergogna, suicidio. Il 21 marzo del 1998 si imbottisce di medicinali e si lascia morire in un momento in cui mia madre e i miei fratelli non sono in casa. Io non so niente, sono sempre a Los Angeles. Due mesi dopo la sua morte, e apparentemente per una pratica che riguarda mia figlia, l’avvocato di famiglia mi cerca e insiste perché torni in Italia. «Vieni, devi firmare delle carte» mi dice, «poi te ne torni subito». Quando più tardi ho chiesto spiegazioni di quel silenzio a mia madre, mi ha detto candidamente che fosse stato per lei non l’avrei mai saputo. (...) È allora che la mia vita cambia. Addio Los Angeles, addio Stati Uniti. (...) Era spuntata così la mia ossessione, mi ero ammalata.
Clienti buoni clienti cattivi
Ho cominciato a Palese in casa del compagno più feroce che ho avuto. (...) Ma andavo anche nelle case dei clienti stessi se erano particolarmente rassicuranti e, il più delle volte, negli alberghi, in città e fuori città. Quel giorno, finalmente, mi ero decisa a dire sì. «Ok, vado dove vuoi, faccio quello che vuoi, ma smettila, smettila con i pugni, gli schiaffi, i calci, smettila di picchiarmi». (...) Nessuno mi può giudicare se non dopo avere subìto quello che ho subìto io. Fatevi strappare i capelli, rompere le ossa, gonfiarvi la faccia di pugni e poi ne parliamo. (...) Non ho mai lavorato invece nelle cosiddette case a luci rosse, i bordelli per intenderci. Mi hanno chiesto spesso, dopo che ho raccontato quello che ho raccontato, se avessi avuto come amanti altri politici. No, mai. Ho avuto il numero uno e mi è bastato.

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