Uno, Fini, non vuol accettare a scatola chiusa il salvacondotto giudiziario per il premier e ieri spiegava così ai fedelissimi la sua indisponibilità: «Io la faccia su una legge ad personam non ce la metto». L'altro, Berlusconi, è pronto a dichiarargli guerra totale: «Se Fini insiste a ostacolarmi - ha detto a più di un interlocutore - lo caccio dal Pdl e vado subito al voto». L'uno e l'altro si troveranno stamattina faccia a faccia per scongiurare una clamorosa resa dei conti.
Se esiste uno spiraglio per comporre la frattura va trovato oggi. Il presidente del Consiglio ha fretta di uscire indenne dai processi Mills e diritti tv, anzi intende proprio evitare di mettere anche un solo piede in aula da imputato, e dunque ha pochi giorni per incardinare la legge in Parlamento prima che i lavori d'aula siano monopolizzati dalla sessione di bilancio, ritardando di qualche decisiva settimana gli effetti tecnici e politici del salvacondotto.
Ma per Fini il problema non è il calendario. L'ex leader di An ne fa una questione di principio: o il premier trova il modo di risolvere i suoi problemi giudiziari nella cornice di una riforma utile a tutti i cittadini oppure lui «non mette la faccia». Il che significa disponibilità ad appoggiare, per esempio, una misura che accorci i tempi del processo - il cosiddetto lodo Fassone, dal nome del senatore diessino che due legislature fa presentò un progetto di legge in questa direzione - ma chiusura totale di fronte a ogni altra “ghedinata”, come ha spiegato ieri in una lettera al Corsera Giulia Bongiorno. L'avvocato e deputato del Pdl, molto vicina a Fini, ha bocciato interventi per sveltire i tempi di prescrizione e ogni altra soluzione che possa penalizzare «le vittime di reati in attesa di giustizia».
Non è tutto. Il presidente della Camera ha un'altra preoccupazione. Teme che gli accordi presi al tavolo politico possano essere stravolti in aula: «Siccome so che l'appetito vien mangiando - spiegava ieri Fini ai suoi - non vorrei che si partisse col processo breve e poi, a colpi di emendamenti dell'ultim'ora, spuntassero fuori altre e meno presentabili novità». Fini non si fida, insomma: «Già adesso - si lamenta - non capisco cosa c'entri col diritto di Berlusconi a governare l'emendamento presentato in Senato per risolvere le controversie col fisco dopo il secondo grado di giudizio».
Nonostante il clima avvelenato, i margini per l'ennesima tregua Berlusconi-Fini ci sono. Le diplomazie hanno lavorato ieri senza tregua. Ignazio La Russa, già mediatore in molte altre situazioni simili, si dice «ottimista». Ma ormai non è più questione di commi né di tirare un po' in qua o in là gli strumenti legislativi. Il braccio di ferro è tutto politico. Fini assicura di non voler boicottare le decisioni di Berlusconi, anche le meno gradite, ma non accetta di essere tirato in mezzo, o peggio di essere costretto a controfirmare, su provvedimenti che non condivide. Il premier, di contro, vuole riaffermare la sua primazia nel Pdl e nella maggioranza e non tollera smarcamenti. Che siano discreti o plateali non gli importa: vuole evitare di trascorrere il resto della legislatura a logorarsi in continui aggiustamenti di linea e mediazioni sulla giustizia. La gravità del momento è testimoniata anche dalla mobilitazione dei media berlusconiani. Dopo le bordate del Giornale a Fini, ieri è toccato al direttore del Tg1 comparire in video per un editoriale in cui ha chiesto che sia sanato il vulnus all'abolizione dell'immunità: «Quella norma - ha detto Minzolini, subito travolto da un'ondata di polemiche - era necessaria per evitare che il potere giudiziario arrivasse a condizionare il potere politico».
Secondo il premier, chi è contrario ai suoi piani deve parlare ora o tacere sempre. E chi “parla” deve sapere che la pena prevista è lo scatenarsi di una controffensiva che porta a nuove elezioni in pochi mesi (scenario che, peraltro, si porterebbe appresso nuove tensioni col Quirinale), oltre che la cacciata dal Pdl. Del resto, quando il Cavaliere minaccia l'espulsione di Fini non fa che dare seguito concreto all'obiezione avanzata ieri sul sito del webmagazine “Il Predellino” dal deputato pidiellino Giorgio Stracquadanio: «C'è qualcosa che non ci quadra nelle continue e puntute prese di posizione di Fini. Se il Presidente della Camera “come tale non firma nulla”, perché partecipa ai vertici politici di maggioranza? Decide ma non firma?». Messaggio chiarissimo: se Fini ci tiene così tanto a preservare il suo profilo istituzionale e super partes allora la smetta di chiedere voce e peso nel Pdl. Oppure si vada a cercare un altro partito.
10 novembre 2009
Se esiste uno spiraglio per comporre la frattura va trovato oggi. Il presidente del Consiglio ha fretta di uscire indenne dai processi Mills e diritti tv, anzi intende proprio evitare di mettere anche un solo piede in aula da imputato, e dunque ha pochi giorni per incardinare la legge in Parlamento prima che i lavori d'aula siano monopolizzati dalla sessione di bilancio, ritardando di qualche decisiva settimana gli effetti tecnici e politici del salvacondotto.
Ma per Fini il problema non è il calendario. L'ex leader di An ne fa una questione di principio: o il premier trova il modo di risolvere i suoi problemi giudiziari nella cornice di una riforma utile a tutti i cittadini oppure lui «non mette la faccia». Il che significa disponibilità ad appoggiare, per esempio, una misura che accorci i tempi del processo - il cosiddetto lodo Fassone, dal nome del senatore diessino che due legislature fa presentò un progetto di legge in questa direzione - ma chiusura totale di fronte a ogni altra “ghedinata”, come ha spiegato ieri in una lettera al Corsera Giulia Bongiorno. L'avvocato e deputato del Pdl, molto vicina a Fini, ha bocciato interventi per sveltire i tempi di prescrizione e ogni altra soluzione che possa penalizzare «le vittime di reati in attesa di giustizia».
Non è tutto. Il presidente della Camera ha un'altra preoccupazione. Teme che gli accordi presi al tavolo politico possano essere stravolti in aula: «Siccome so che l'appetito vien mangiando - spiegava ieri Fini ai suoi - non vorrei che si partisse col processo breve e poi, a colpi di emendamenti dell'ultim'ora, spuntassero fuori altre e meno presentabili novità». Fini non si fida, insomma: «Già adesso - si lamenta - non capisco cosa c'entri col diritto di Berlusconi a governare l'emendamento presentato in Senato per risolvere le controversie col fisco dopo il secondo grado di giudizio».
Nonostante il clima avvelenato, i margini per l'ennesima tregua Berlusconi-Fini ci sono. Le diplomazie hanno lavorato ieri senza tregua. Ignazio La Russa, già mediatore in molte altre situazioni simili, si dice «ottimista». Ma ormai non è più questione di commi né di tirare un po' in qua o in là gli strumenti legislativi. Il braccio di ferro è tutto politico. Fini assicura di non voler boicottare le decisioni di Berlusconi, anche le meno gradite, ma non accetta di essere tirato in mezzo, o peggio di essere costretto a controfirmare, su provvedimenti che non condivide. Il premier, di contro, vuole riaffermare la sua primazia nel Pdl e nella maggioranza e non tollera smarcamenti. Che siano discreti o plateali non gli importa: vuole evitare di trascorrere il resto della legislatura a logorarsi in continui aggiustamenti di linea e mediazioni sulla giustizia. La gravità del momento è testimoniata anche dalla mobilitazione dei media berlusconiani. Dopo le bordate del Giornale a Fini, ieri è toccato al direttore del Tg1 comparire in video per un editoriale in cui ha chiesto che sia sanato il vulnus all'abolizione dell'immunità: «Quella norma - ha detto Minzolini, subito travolto da un'ondata di polemiche - era necessaria per evitare che il potere giudiziario arrivasse a condizionare il potere politico».
Secondo il premier, chi è contrario ai suoi piani deve parlare ora o tacere sempre. E chi “parla” deve sapere che la pena prevista è lo scatenarsi di una controffensiva che porta a nuove elezioni in pochi mesi (scenario che, peraltro, si porterebbe appresso nuove tensioni col Quirinale), oltre che la cacciata dal Pdl. Del resto, quando il Cavaliere minaccia l'espulsione di Fini non fa che dare seguito concreto all'obiezione avanzata ieri sul sito del webmagazine “Il Predellino” dal deputato pidiellino Giorgio Stracquadanio: «C'è qualcosa che non ci quadra nelle continue e puntute prese di posizione di Fini. Se il Presidente della Camera “come tale non firma nulla”, perché partecipa ai vertici politici di maggioranza? Decide ma non firma?». Messaggio chiarissimo: se Fini ci tiene così tanto a preservare il suo profilo istituzionale e super partes allora la smetta di chiedere voce e peso nel Pdl. Oppure si vada a cercare un altro partito.
10 novembre 2009
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