“Anche se mi condannano non mi dimetterò mai”
di Enrico Fierro
di Enrico Fierro
Non mi dimetterò. Mai. Neppure in caso di condanna. Parola di Silvio Berlusconi. Le pagine alle quali il Cavaliere affida l’ennesima sfida alla Giustizia italiana sono quelle del libro di Bruno Vespa, Donne di cuori, in uscita prossimamente ma da giorni oggetto di anticipazioni. “Ho ancora fiducia di magistrati seri che pronunciano sentenze serie basate sui fatti. Se ci fosse una condanna basata su fatti come questi, saremmo di fronte a un tale sovvertimento della realtà che a maggior ragione sentirei il dovere di resistere al mio posto per difendere la democrazia e lo stato di diritto”. Le sentenze, quando sono di condanna, non contano per chi si sente al di sopra della legge. Resistere, resistere, resistere, è il nuovo slogan del Cavaliere. Contro i giudici “comunisti”, le toghe rosse che da anni lo perseguitano. L'unico giudizio che conta è quello del “popolo”. Lo ha detto tante volte Berlusconi: sono stato eletto, quindi solo un nuovo voto potrà mandarmi a casa, altrimenti siamo di fronte ad un “sovvertimento” della realtà. Ma l’avvocato Mills, ricorda Vespa, è stato condannato anche in appello. Berlusconi non fa una piega, “quella sentenza – dice sicuro – sarà certamente annullata dalla Cassazione”.
“È una prova di grande sensibilità...“ è il caustico commento di Pierluigi Bersani. “Marrazzo si è dimesso senza essere non diciamo condannato ma neppure indagato. Il presidente del Consiglio ha invece annunciato che non si dimetterà neppure in caso di condanna. Quelli che hanno legittimamente chiesto le dimissioni di Marrazzo avranno ora il coraggio civile di far sentire almeno un pizzico di sdegno per le affermazioni eversive di Berlusconi oppure fingeranno di non aver sentito?”, si domanda Giuseppe Giulietti, deputato e animatore di “Articolo21”. Parole nette, quelle del capo del governo, che disegnano una strategia di chiara opposizione ad ogni sentenza e di contrapposizione dura con la magistratura. I grimaldelli dell’operazione sono quelli di sempre: riforma del sistema giudiziario e demolizione degli ultimi residui di autonomia della magistratura e dei suoi organi di autogoverno. Ma l’attenzione delle teste d'uovo del Cavaliere da giorni, da quando il Lodo Alfano è stato bocciato dalla Consulta, si è concentrata tutta sulla ricerca di una soluzione alternativa. Spostare tutti i processi che riguardino le alte cariche istituzionali a Roma. È questa l’ultima trovata dell’avvocato del premier Nicolò Ghedini, che però raccoglie molte perplessità in diversi settori del Pdl e della maggioranza. In sintesi si tratterebbe di assestare un colpo ai processi Mills e Mediaset cancellando, di fatto, il concetto del giudice naturale. Una via d’uscita secondaria che non piace all’Associazione nazionale magistrati. Nell’ultima assemblea dell’Anm il presidente Luca Palamara ha detto che i giudici “non possono andare dietro a questi annunci. La giustizia ha bisogno di riforme urgenti e non di soluzioni punitive contro i magistrati”. L’esatto contrario di quello che la maggioranza di governo si appresta a fare: legge sulle intercettazioni, nuove norme ad personam, ritocchi al ribasso sui tempi della prescrizione processuale e colpo d’ascia su Csm e organismi di garanzia.
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