domenica 1 novembre 2009

“Contromafie” libere di gridare


di Gian Carlo Caselli


Un successo straordinario. E’ il bilancio degli “Stati generali dell’antimafia” organizzati da “Libera” una settimana fa. Significativa la presenza del Capo dello Stato, che ha voluto in particolare esprimere la sua vicinanza ai tantissimi familiari delle vittime di mafia presenti. Bellissime e profonde le parole con cui Luigi Ciotti e Barbara Spinelli hanno concluso la tre giorni. Ma decisiva la partecipazione di un mare di giovani, circa 2500, affluiti a Roma da ogni parte d’Italia, con massicci contributi di ragazzi europei e sudamericani.
Una partecipazione attiva, con ben 17 gruppi di lavoro, impegnati su temi articolati in modo da non tralasciare nessun profilo direttamente o indirettamente legato alla criminalità mafiosa. Ecco dei giovani, tanti giovani, capaci vivere il presente con radicalità, senza cedere alla rassegnazione e all’indifferenza. Coraggiosi nel sapere respingere gli idoli della seduzione e del consenso, per lavorare invece ad una comunità finalmente capace di vincere le ingiustizie, ripartendo dalla Costituzione. Giovani dotati di un’eccezionale capacità di critica argomentata e intelligente. Percepiscono che la legalità – in Italia passando sempre più di moda. Registrano pessimi esempi in alto loco. Sintetizzati negli scudi fiscali, che sono un grande regalo al grandi evasori e un grande insulto agli onesti. Eppure si rendono conto che senza regole non c’è partita o la partita è truccata: e la vincono sempre i “soliti noti”, quelli che di regole – per conservare i loro privilegi e prevaricare gli altri – non hanno proprio nessun bisogno. Così si spiega perché questi giovani, pur controcorrente, continuino a battersi per la crescita del tasso di legalità in Italia.
I giovani di “Libera” avvertono con chiarezza che vi è uno scarto crescente fra la verità e certa politica, sempre più incline alla propaganda e al disprezzo per la realtà dei fatti. Arrivano a questa constatazione per molte vie. Ad esempio ragionando sul progetto di riforma delle intercettazioni. Ragionando, capiscono che è una falsità dire che in Italia vi sono troppe intercettazioni. Semmai troppe (per un paese normale) sono le manifestazioni del crimine organizzato, della corruzione, della mala-amministrazione, della malasanità, della malapolitica. Troppe sono le attività dei trafficanti di droga, armi, rifiuti tossici, esseri umani…..Troppe sono le attività delinquenziali, non le intercettazioni che cercano di contrastarle. In ogni caso, che le intercettazioni siano troppe non è neppur vero in assoluto: alla Procura di Torino, nel 2008 sono stati trattati 154.232 procedimenti, e solo nello 0,2 per cento di essi vi sono state intercettazioni. Altra falsità è che le intercettazioni costano troppo. In verità, assai spesso esse si ripagano da sole, consentendo di confiscare beni per milioni di euro che rimpinguano le casse dello Stato. Per tacere del fatto che le intercettazioni in moltissimi casi salvano vite umane: e basterebbe una sola vita salvata per ripagare qualunque costo delle intercettazioni. Infine, dire che la riforma delle intercettazioni eviterà abusi (divulgazione di conversazioni estranee all’oggetto del processo o relative a soggetti estranei al processo) è vero, perché nella riforma sono previsti paletti rigorosi al riguardo. Ma fissati questi paletti, é una falsità presentare la riforma come necessaria anche là dove essa azzoppa le intercettazioni nonostante che il rischio di abusi sia azzerato. Questo azzoppamento serve solo a coprire i vizi (pubblici e privati) di chi impunità va cercando, anche a costo di picconare la sicurezza dei cittadini “comuni”. Ai quali la propaganda nasconde che le intercettazioni (secondo stime per difetto) saranno ridotte almeno della metà, con la conseguenza che almeno la metà degli assassini, rapinatori, stupratori, pedofili, usurai, estortori, corruttori, bancarottieri e via elencando oggi assicurati alla giustizia la faranno franca: alla faccia – appunto – della sicurezza degli ignari cittadini.
Centrale, nel serrato dibattito di “Contromafie”, è stata la questione dell’indipendenza della magistratura. Chiaramente percepita dai giovani di “Libera” non come privilegio di casta dei magistrati, ma come patrimonio dei cittadini tutti. Essendo evidente – a chi sappia dissipare i fumi della black propaganda – che l’indipendenza è premessa indispensabile perché la giustizia possa aspirare a diventare eguale per tutti. Perché se c’è qualcuno che può ordinare ai giudici di dare addosso a questo e risparmiare quello, la giustizia sarà amministrata per favorire o danneggiare qualcuno, non per assicurare pari tutela ai diritti di tutti. Chi è capace di critica argomentata, avverte con facilità che gli interventi programmati dall’attuale maggioranza (CSM, separazione delle carriere, rapporti PM/PG, nuovo processo penale) non sono riforme della giustizia - condannata da alcuni di questi progetti a funzionare ancor peggio – ma dei giudici, pericolosi soggetti cui chi non ama i controlli vorrebbe quanto meno tagliare le unghie. In attesa di questo, ci si porta avanti col lavoro cercando di spingere i magistrati verso scelte di basso profilo, verso forme di burocratizzazione della giurisdizione. Così il “palazzo” tenta di resuscitare la formula (cancellata da qualche secolo di evoluzione) del giudice “bocca della legge”, traducendola nell’ordine di applicare la legge senza interpretarla, perchè prevalga sempre e comunque la volontà del potere. Così, l’ignoranza del dato di fatto che l’interpretazione è la quint’essenza dell’attività di qualunque giudice onesto e indipendente, si intreccia con lo sprezzo del ridicolo. Perché basta confrontare l’art. 575 del codice penale (chiunque cagiona volontariamente la morte di un uomo……) con l’art.589 (chiunque cagiona per colpa la morte di una persona…) per capire come – senza interpretazione – l’omicidio volontario della donna resterebbe…. impunito. Prova evidente che i problemi della giustizia sono un po’ più complessi di quel che certi disinvolti pseudo-riformatori vorrebbero farci credere.

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