"SE qualcuno pensa che si debba trattare su queste vicende, allora sappia che io non negozio. Né con l'opposizione, né con qualunque soggetto ritenga di potermi ricattare. Io andrò avanti comunque. In un modo o in un altro". Da giorni Silvio Berlusconi è letteralmente infuriato. È convinto di trovarsi sotto un assedio che diventa sempre più asfissiante.
Una condizione che il premier chiama a chiare lettere "accerchiamento". "È saltato l'equilibrio costituzionale dello Stato", è la versione fornita nel documento approvato dall'Ufficio di presidenza del Pdl. Sta di fatto che il capo del governo è ormai convinto di subire un attacco concentrico portato da più "nemici": dall'opposizione, da alcuni dei suoi alleati (a cominciare da Gianfranco Fini), da settori dell'imprenditoria, dai magistrati e soprattutto da quelli che negli ultimi giorni definisce "altri soggetti".
Una "battaglia" da combattere con tutte le armi: a partire dal provvedimento per il processo breve e dalla legge costituzionale per il nuovo Lodo Alfano.
Del resto, le voci che da luglio si inseguono sul suo potenziale coinvolgimento nelle inchieste di mafia sono arrivate anche a Palazzo Chigi. Tutti i suoi più stretti collaboratori lo hanno messo in guardia sulla possibilità che il capitolo giustizia si arricchisca di un'altra pagina. E così, l'altro ieri ad Arcore, le riflessioni su questo punto sono diventate via via più allarmate.
Ma l'elemento di maggiore preoccupazione riguarda proprio quegli "altri soggetti" che corrono sulla direttrice Palermo-Firenze. "Soggetti" che il presidente del consiglio, anche nelle riunioni più private, si rifiuta di specificare. Ma con i quali non intende scendere a patti: "Io non tratto con nessuno, se tratto ora poi devo farlo con tutti e su troppi piani".
Una linea che sta guidando pure i rapporti burrascosi con i partner della coalizione, con i magistrati e con l'opposizione. Non a caso, è stato proprio Berlusconi a chiedere ieri all'ufficio di presidenza del Pdl l'approvazione di un documento che mette sul banco degli imputati la magistratura ordinaria e quella "alta" della Corte costituzionale. Gli incubi di nuove implicazioni in azioni giudiziarie stanno dettando i tempi delle scelte del Cavaliere. "Se anche mi mandassero un avviso di garanzia - è sbottato con i fedelissimi prima a Villa San Martino e poi ieri a Palazzo Grazioli -. Io andrò avanti come se nulla fosse. Di certo non farò come nel '94. Stavolta non mi farò da parte".
Nella cena con i "Club del buongoverno", ha provato a sdrammatizzare con una barzelletta raccontata ("Un bambino chiede al papà siciliano: "perché Einstein è morto?" Troppo sapeva..."), eppure considera le prossime scadenze come una sorta di "battaglia all'ultimo sangue". Il processo breve e il Lodo Alfano da inserire nella Costituzione. Chiede tempi strettissimi. Il primo provvedimento - è la sua formale istanza - dovrebbe essere approvato entro il 25 gennaio.
Una data che viene considerata a Via del Plebiscito una sorta di spartiacque per il futuro delle inchieste che lo riguardano. Ma soprattutto è la data entro la quale il Cavaliere vuole sapere se la sua coalizione è in grado di sostenerlo o meno. È il limite entro il quale ha ancora forza la minaccia del voto a marzo con le regionali: "O si risolvono i problemi oppure li risolveranno gli italiani". Tant'è che i "messaggeri" del premier hanno sondato il presidente della Camera sulla possibilità di convocare l'Aula per il voto finale sul processo breve subito dopo le feste natalizie, ossia il 7 gennaio. Un pressing che prende il via dai dubbi sul comportamento del presidente della Repubblica e dello stesso Fini. "Se Napolitano non firma la legge e temo che non lo farà - ha avvertito il premier - la ripresentiamo in Parlamento così com'è. E dobbiamo votarla in una settimana. A quel punto dovrà promulgarla".
Le altre "attenzioni", Berlusconi le riserva ai partner di governo. La tensione è altissima. Non si fida di Fini e nemmeno di Tremonti. Anzi, a palazzo Chigi sono ormai convinti che ci sia un asse tra i due: il no congiunto al taglio dell'irap e alla fiducia sulla Finanziaria ha ulteriormente alimentato i dubbi. L'inquilino di Montecitorio ieri ha telefonato al presidente del consiglio prima del vertice Pdl per ammorbidire i toni: "Evita lo scontro. Non mi mettere in condizione di risponderti negativamente". Ma Berlusconi non ha raccolto il consiglio. Anzi ha ingranato la marcia per arrivare allo "show down".
"Ora - ha spiegato ai suoi - devono stare tutti dietro di me. Si deve fare il processo breve e il lodo Alfano. Chi non ci sta lo dica subito. In questo caso si va a votare". Un segnale lanciato anche verso il ministero dell'Economia. Quel "no" alla riduzione delle tasse lo ha fatto infuriare. Lunedì scorso, poi, il suo umore è diventato ancora più nero quando gli hanno riferito che molti sindaci - compresi i leghisti (ad esempio quelli di Varese e Novara) - sono pronti a scendere piazza contro l'esecutivo per i tagli ai comuni. Una manifestazione senza precedenti. Per di più il feeling mostrato da Tremonti con il centrosinistra lo innervosisce da tempo. "Se facesse l'accordo con l'opposizione - ripete da tempo il titolare del Tesoro - risolverebbe anche i suoi guai". "Ma si scordino tutti - è esploso ieri mattina Berlusconi - che io mi metta a trattare pure con la sinistra. Mi dicono che posso ottenere una tregua dialogando con la sinistra sulle riforme. Ma questa è un'emergenza e io non tratto. Con nessuno. Piuttosto, meglio andare a votare".
(27 novembre 2009)
1 commento:
E' LA SINDROME DELL'ACCERCHIAMENTO, UN DELIRIO PARANOICO DI CHI CREDE DI ESSERE O E' IN TRAPPOLA.
QUANDO LA VOLPE VIENE PRESA IN UNA TAGLIOLA, PER LIBERARSI SI TRANCIA L'ARTO INTRAPPOLATO A MORSI.
IN GENERE, NON SOPRAVVIVE.
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