lunedì 16 novembre 2009

Stefano, anatomia di un omicidio ora dopo ora


IL PESTAGGIO, GLI AGENTI, LE OMISSIONI MA LE DOMANDE RESTANO TROPPE
di Silvia D’Onghia


Qualche giorno prima di essere arrestato, Stefano Cucchi aveva mandato un sms alla sorella Ilaria: “Sto ritrovando me stesso”. Sembravano essere alle spalle gli anni della cocaina e i tre passati in comunità. Stefano ne stava uscendo. Aveva iniziato a lavorare. E invece non ce l’ha fatta a ritrovarsi, “si è spento” (come hanno riferito i medici alla famiglia) con le ossa rotte, un occhio rientrato, la mascella fratturata e troppi lividi. E il sospetto di una mancata nutrizione che ha fatto iscrivere nel registro degli indagati tre medici del Pertini, oltre a tre agenti penitenziari. “Siamo ancora all’inizio”, ripetono i pm Barba e Loy. Più passa il tempo, più prende corpo l’ipotesi che Stefano Cucchi sia stato “scaricato” da un soggetto all’altro senza alcuna attenzione, anzi, con “negligenza, imprudenza e imperizia”, come scrivono i pm. L’indagine farà luce sui responsabili, eppure una domanda non ha finora risposta: perché?
Perché si dovrebbe “prendere a calci e pugni” un ragazzo epilettico di 50 chili?
Perché i medici non dovrebbero provvedere in qualsiasi modo alla sua nutrizione, perché non dovrebbero chiamare la famiglia?
La notte tra il 15 e il 16 ottobre Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri e trovato in possesso di una ventina di grammi di hashish e di tre grammi di cocaina. I militari perquisiscono la sua stanza, nella casa dei suoi genitori, e non trovano altro. Stefano viene portato in camera di sicurezza. Lì si sente male, viene chiamata l’ambulanza ma lui rifiuta ogni cura.
Il 16 ottobre viene portato in tribunale e staziona nelle celle di sicurezza di piazzale Clodio. Un testimone, un immigrato africano, ha raccontato di aver visto uomini in divisa azzurra colpirlo con calci e pugni, dopo averlo fatto cadere a terra. Stefano era stato in bagno e sarebbe dovuto rientrare in cella.
Perché avrebbero dovuto picchiarlo? Gli agenti penitenziari, che si dicono tranquilli, hanno raccontato che, durante l’attesa prima del processo, con loro c’erano anche i carabinieri. Che finora invece sono estranei all’inchiesta. Al termine dell’udienza di convalida, nella quale Stefano è difeso da un avvocato d’ufficio e non dal legale di fiducia, come avrebbe chiesto più volte, il giudice Maria Inzitari dispone la detenzione in carcere, perché l’imputato è senza fissa dimora. Ma non c’era il verbale di perquisizione domiciliare? Stefano abbraccia il padre, ammanettato. Il padre vede i lividi intorno agli occhi, ma non riesce a saperne di più. Anche il pm li ha visti, e per questo ha disposto una visita. Nel referto, il medico del tribunale scrive: afferma di essere caduto dalle scale. Quando sarebbe successo? Su quali scale? Un messaggio in codice?
All’arrivo a Regina Coeli, dove vengono scattate le ultime foto di Stefano vivo, la visita medica rileva “dolore alla palpazione addominale, ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto, algia della deambulazione”. I detenuti hanno poi raccontato che il ragazzo è stato trasferito all’ospedale Fatebenefratelli in sedia a rotelle e ne è tornato in barella. Al pronto soccorso, il referto parla di frattura della terza vertebra lombare e della prima coccigea. In tutti i documenti, il detenuto riferisce di essere caduto dalle scale. Perché?
Alle 19,45 del 17, Stefano viene accettato al Pertini. Non mangia da due giorni, ma secondo i medici il suo stato di nutrizione è “eccellente”. È “allettato e immobile”. Il 18 ottobre, Stefania Corbi, oncologa, indagata, parla di paziente “molto polemico” e poco “collaborante. Rifiuta di continuare a parlare. Inutile proseguire”. Perché? Passa un giorno e un secondo medico consiglia “una consulenza ortopedica”. A distanza di 24 ore? Per due giorni Stefano “rifiuta la visita” e nessuno sembra preoccuparsi di lui.
Il 21 la Corbi propone di nuovo la reidratazione endovenosa, ma il paziente rifiuta: “Prima vuole parlare con il suo avvocato”. Perché questa possibilità gli viene negata? In compenso, “si predispone relazione clinica da inviare al magistrato”, documento che non arriverà mai. Stefano sta morendo e lo sa: accetta di bere, ma sostiene di non poter mangiare in quanto celiaco. Gli viene consegnata la lista degli alimenti senza glutine. 12 ore dopo, alle 6,15 del 22 ottobre, il suo cuore si ferma. Intorno, soltanto il “personale infermieristico”. La sorella Ilaria ha un rimorso: “Lui si sarà sentito abbandonato”. Non ha mai saputo, Stefano, che fuori da quella maledetta porta d’ospedale tutti i giorni i suoi genitori avevano chiesto di poterlo vedere. Inutilmente.