La battuta più bella, ieri a Montecitorio, la fa un giovane intellettuale di Fare Futuro come Angelo Mellone, volto della Rai a Unomattina, ma anche osservatore privilegiato e attento del centrodestra: “Vedo che tutti gli uomini del Cavaliere continuano a dire che i finiani sono rimasti quattro gatti, che si mettono a compilare le liste di chi tradisce e chi no...”. E non sono vere? Mellone sorride e spalanca gli occhi azzurri: “Saranno pure vere le liste, ma vuol dire che ci sono molte cellule in sonno”. Sorride, al suo fianco Adolfo Urso. Se c’è uno su cui l’ex presidente della Camera può contare, ovviamente è lui, l’uomo che ha messo in piedi per primo il laboratorio culturale della fondazione, che della fronda finiana è il vero polmone. Se qualcuno ieri voleva un colpo d’occhio dello stato maggiore che resta fedele al presidente della Camera, ieri, non doveva fare altro che contemplare il parterre du roi che si era raccolto per l’iniziativa sull’immigrazione. Alla presidenza c’era l’ideatore del convegno, Italo Bocchino il regista; sulla porta c’era il centravanti di sfondamento della squadra - Fabio Granata - e in prima fila due deputati diversissimi, per storia e per cultura, che danno l’idea di come il team finiano sia molto più composito di quanto non si possa immaginare. Il primo, che si fa largo a seminario già iniziato, scortato da un commesso, è un decano come Mirko Tramaglia (ovvero l’ultimo padre del vecchio Msi rimasto in Parlamento). Il secondo è un giovane. Gianfranco Paglia, l’ex parà in sedia a rotelle, vittima della battaglia del check point pasta in Somalia. Paglia è da sempre un pupillo di Fini, uno degli acquisti post- ideologici di An.
Così, intorno alle grandi campagne di identità di Fini si aggrega uno spettro articolato. Alle spalle di tutto c’è la pattuglia di quelli che Il Fatto ha definito “i vietcong” dell’ex leader di An: il pensatoio di Fare Futuro, la nave corsara de Il Secolo. Velleitari? Testimoniali? Attenzione. Perchè ieri uno dei passaggi del discorso di Ben Ammar ha fatto sussultare sulla sedia i parlamentari del centrodestra: “La mia televisione è diventata in quattro mesi il canale arabo più visto sul satellite. In ogni paese d’europa da cinque a tre milioni di stranieri la guardano o la guarderanno...”. E poi, dopo una pausa sapiente: “Mi pare che in Francia, in Italia o negli altri paesi, siano un milione di voti la differenza fra destra e sinistra, no?”. Applauso. Insomma, anche secondo la battuta il magnate franco-tunisino la scommessa dell’integrazione è anche una grande partita di consenso elettorale. Il sottotesto di tutti i messaggi che Fini catalizza è chiaro: un vero leader è chi guarda al futuro (Cioè lui). E nel presente chi garantisce la tenuta a Montecitorio (sempre lui).
lu.te.
Così, intorno alle grandi campagne di identità di Fini si aggrega uno spettro articolato. Alle spalle di tutto c’è la pattuglia di quelli che Il Fatto ha definito “i vietcong” dell’ex leader di An: il pensatoio di Fare Futuro, la nave corsara de Il Secolo. Velleitari? Testimoniali? Attenzione. Perchè ieri uno dei passaggi del discorso di Ben Ammar ha fatto sussultare sulla sedia i parlamentari del centrodestra: “La mia televisione è diventata in quattro mesi il canale arabo più visto sul satellite. In ogni paese d’europa da cinque a tre milioni di stranieri la guardano o la guarderanno...”. E poi, dopo una pausa sapiente: “Mi pare che in Francia, in Italia o negli altri paesi, siano un milione di voti la differenza fra destra e sinistra, no?”. Applauso. Insomma, anche secondo la battuta il magnate franco-tunisino la scommessa dell’integrazione è anche una grande partita di consenso elettorale. Il sottotesto di tutti i messaggi che Fini catalizza è chiaro: un vero leader è chi guarda al futuro (Cioè lui). E nel presente chi garantisce la tenuta a Montecitorio (sempre lui).
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