Gianfranco Fini avrebbe confermato, ieri, il suo no alla prescrizione breve dei reati. Avrebbe tuttavia avallato la «prescrizione processuale», in forza della quale i processi penali, anche quelli in corso fino alla fase del primo grado, dovranno concludersi entro sei anni (due anni per il primo grado, due per il secondo, due per la Cassazione). Se tali termini non saranno rispettati, scatterà la loro estinzione per decorso del tempo, con la conseguente, assoluzione degli imputati.
Se questa dovesse essere la nuova disciplina, ho l’impressione che l’obiettivo da tempo perseguito da Berlusconi sarebbe in ogni caso assicurato: nei suoi processi pendenti egli riuscirebbe, ancora una volta, a sfuggire al giudizio dei suoi giudici. Insieme a Berlusconi, sarebbero d’altronde graziati centinaia di altri imputati. Caduto il lodo Alfano per violazione manifesta del principio di eguaglianza, per salvaguardare il premier, e nel contempo l’eguaglianza, si rischierebbe un’impunità generalizzata, con buona pace delle vittime dei reati.
Precisando che una valutazione definitiva su ciò che ci attende potrà essere formulata soltanto quando saranno chiari gli accordi di maggioranza ed esplicitati i testi dei disegni di legge, cerchiamo comunque di capire che cosa significhi, allo stato, prevedere, nel modo indicato, la prescrizione dei processi, compresi quelli in corso fino al giudizio di primo grado.
In astratto stabilire che i processi devono concludersi entro sei anni, con scadenze prefissate per ciascuna fase, sarebbe soluzione splendida. Se si riuscisse nell’intento, il male più rilevante della giustizia si dissolverebbe e, quantomeno con riferimento al tema della durata dei processi, essa diventerebbe giustizia accettabile. Perché una riforma dei tempi possa essere credibile, occorrerebbero tuttavia, quantomeno, due condizioni: che essa riguardi soltanto processi futuri, iniziati cioè da magistrati consapevoli fin dall’inizio della durata consentita; che l’imposizione di tempi stretti sia accompagnata da una riforma adeguata nell’organizzazione e nei mezzi, in grado di rendere possibile, nei fatti, il rispetto delle nuove durate. Altrimenti, se ci si limitasse a stabilire nuove regole, ed a disporre l’estinzione dei processi (compresi quelli in corso) in caso di loro inosservanza, sarebbe lo sfracello: centinaia e centinaia di processi estinti.
E’ vero che Fini, consapevole dei problemi, ha dichiarato di avere chiesto al presidente del Consiglio che alla giustizia siano destinate risorse adeguate alle nuove esigenze. Chiedere non è tuttavia, ovviamente, sufficiente; Tremonti permettendo, sarà necessario quantomeno stanziare. Ma anche stanziare potrà non bastare: occorrerà infatti che gli stanziamenti si concretino in strumenti concreti di efficienza, e che alle nuove risorse si accompagnino comunque altre riforme - di organizzazione e di legislazione - idonee a rendere di fatto praticabili i nuovi tempi stabiliti per la durata dei processi penali.
C’è, inoltre, un altro profilo sul quale è necessario riflettere. Verosimilmente, imboccata la strada della prescrizione dei processi troppo lunghi, la maggioranza avrà molta fretta di approvare la legge. L’urgenza di fare riforme in grado di velocizzare i processi è fuori discussione; è tuttavia altrettanto fuori discussione che realizzare una riforma seria dell’organizzazione giudiziaria richiede tempi tecnici non brevi. Che cosa accadrebbe se vi fosse una sfasatura fra i tempi di approvazione della legge che impone rapidità ai processi penali e di quelle che consentono un’organizzazione della gestione giudiziaria idonea a fronteggiare le nuove prescrizioni in materia di durata consentita?
Ancora. Secondo quanto è emerso, dovrebbero essere coinvolti nei processi a rischio di prescrizione quelli che riguardano reati puniti con la reclusione non superiore nel massimo a dieci anni (compresa, guarda caso, la corruzione), fatti salvi quelli che concernono mafia, terrorismo o, comunque, fatti di particolare allarme sociale. Tutti indifferenziatamente, senza badare alla maggiore o alla minore gravità dei reati, od alla maggiore o minore complessità dell’attività processuale necessaria?
I tempi stretti riguarderebbero d’altronde soltanto gli imputati incensurati. E perché mai? Se la prescrizione processuale non costituisce un premio per gli imputati, ma la risposta ad un’esigenza generale di rapidità processuale, censurati o incensurati la regola dovrebbe essere la stessa.
Si potrebbe continuare. Agli effetti di una prima reazione alle novità che si profilano all’orizzonte della giustizia italiana, quanto ho rilevato mi sembra sufficiente. Con un auspicio. Che gli addetti ai lavori, consapevoli dei problemi, sappiano comunque, se possibile, opporsi agli errori. Che siano in grado di farlo uomini della maggioranza. Che lo facciano, con decisione, tutti gli uomini dell’opposizione, senza indulgenze o compiacenze di sorta.
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