Sostengono i realisti che quel compromesso cui ha costretto Silvio Berlusconi potrebbe essere per Gianfranco Fini una vittoria solo temporanea. La prescrizione breve, volata via dalla finestra di Montecitorio durante il vertice di ieri, potrebbe rientrare dal sottoscala di Palazzo Madama. Già a un’ora dalla fine del vertice, del resto, Ignazio La Russa spiegava a Berlusconi che a reinserire emendamenti e normette si fa sempre in tempo, volendo. «Tanto quello che avete concordato è un disegno di legge, andrà in Parlamento, nel corso dell’iter può capitare che si modifichi... ». Può capitare, certo. La tentazione c’è, figurarsi. Codicilli sono già allo studio. Maurizio Gasparri già lascia intendere che lui, al Senato, farà il possibile per corrispondere ai desiderata del premier. Eppure non c’è dubbio, la vittoria è di Fini: e ne è una prova indiretta l’apertura, quasi risarcitoria, che l’ex leader di An ha fatto ieri alla reintroduzione dell’immunità parlamentare. Salvo nuove trovate, infatti, il presidente della Camera - minuziosamente istruito dall’avvocato-deputato Giulia Bongiorno - è riuscito a togliere dal pacchetto “giustizia ad personam” la pietanza che al premier faceva più gola, quella potente prescrizione breve che manderebbe all’aria, insieme coi suoi, 600mila processi. Lasciandogli - previa garanzia che Tremonti accantoni i soldi per non far collassate il sistema giustizia - la norma che contiene in sei anni (due per grado di giudizio, pena la prescrizione) la durata di un processo per reati con pene non superiori ai dieci anni. Un articolo di legge forse sufficiente a salvare Berlusconi dai processi in corso, ma insufficiente a garantirlo per il futuro.
Dunque è chiaro che il vertice di ieri, per citare il Cavaliere, è «andato bene» al punto che a tratti si sentivano le urla da fuori lo studio. Le urla di entrambi, beninteso, ma soprattutto del premier. Un litigio fortissimo, come forse mai prima. Del resto il tema è per l’uomo di Arcore è fondamentale: scampare i magistrati anche se il formidabile scudo del lodo Alfano non c’è più. Si capisce dunque come, al culmine del braccio di ferro su cosa ci sarà e cosa no nella proposta di legge che partirà dal Senato, sia arrivato a scagliare persino l’inedito anatema: «Sei impazzito, Gianfranco, ma ti avverto: se insisti a dirmi no sulla prescrizione breve, ti accuserò di tradimento di fronte al partito». Tradimento, di fronte al partito: una minaccia che da conto alla perfezione di quanto il Cavaliere fosse fuori di sé. Del resto c’è da capirlo. Perché ieri Fini lo ha costretto a una posizione davvero inedita. Quella di andare a bussare, trattare e, alla fine, nemmeno ottenere quel che dava già per scontato. Posizione scomodissima per uno che, narrano, le trattative sul fronte leggi ad personam è abituato a farle così: «Umberto, ma tu mi vuoi in galera? No? Allora mettete agli atti signori: Bossi ha detto sì». Punto e basta. Bene. Un uomo così ieri ha dovuto sedersi con l’ex alleato ora co-fondatore e discutere con lui per ben due ore. Invano. Fini, infatti, è stato irremovibile. «Lo so che i giudici si accaniscono - gli ha detto - ma quella che mi chiedi sarebbe un’amnistia mascherata: la gente non la capirebbe, manderebbe in fumo processi come quello Parmalat. E il Quirinale non la firmerebbe». È quest’ultimo, probabilmente, l’argomento di fronte a cui Berlusconi si è dovuto arrendere. Complice, peraltro, la conciliatrice figura di Gianni Letta che, presente all’incontro, alla fine ha convenuto: «Di queste cose dobbiamo tenere conto».
Così Niccolò Ghedini si è dovuto subito rimettere al lavoro. Per capire quali processi resterebbero a rischio nonostante il processo breve e quali rimedi adottare. Da quel che si apprende, infatti, la proposta di legge (prevedendo l’applicazione delle nuove norme anche ai processi in corso che siano al primo grado di giudizio) dovrebbe mettere in salvo i processi Mediaset e Mills che riguardano il premier. Non riuscirebbe invece a garantire la salvezza dell’avvocato inglese né mettere al riparo lo stesso premier dall’inchiesta Mediatrade. Mentre già si riavviava la macchina ghedinesca, Fini andava in onda su Sky (era prevista una intervista sul suo libro) e diffondeva berlusconianamente via etere il suo pensiero. Togliendosi ulteriori sassolini. Come quello di escludere categoricamente l’ipotesi di un emendamento sui processi tributari che favorisca Mondadori nel contenzioso con l’agenzia delle Entrate. Berlusconi ci teneva, Fini l’ha già stoppato una volta e ora chiude: «Non mi risulta ci siano iniziative del genere». Tradotto: non provateci nemmeno.
10 novembre 2009
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