mercoledì 11 novembre 2009

A ragion veduta


CONCHITA DE GREGORIO
09/11/2009


Garantisco io. Così rispose Silvio Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno, il 20 dicembre scorso, a Natalia Lombardo che gli chiedeva conto delle parole dei pentiti sul sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Lo fece col consueto disprezzo verso i cronisti dell'Unità, verso chi gli rivolga domande a meno che non sia Bruno Vespa, così la risposta è a tema libero. Berlusconi rispose rivolto alla platea: «è la solita sinistra che mi provoca». Poi disse, testualmente: «Quando abbiamo deciso di inserire al governo e in Parlamento persone su cui esistevano indagini in corso lo abbiamo fatto a ragion veduta. Ascoltando queste persone, conoscendole». La chiave del ragionamento - a parte il solito: io faccio come mi pare e chi se ne importa della giustizia - è «a ragion veduta». C'è un buon motivo. In effetti c'è un evidente ottimo motivo per cui Nicola Cosentino da Casal di Principe detto "o ‘mericano" abbia fatto una carriera politica folgorante e sia oggi l'asso per conquistare la Campania. Lo spiegano cinque pentiti tra cui Carmine Schiavone il cugino di Sandokan. Era affidabile. Ci si può contare. Sia chiaro. Il sistema delle clientele in Campania è un nido di serpi dai confini labili e mutevoli. Il metodo Mastella, quello delle raccomandazioni a denominazione di origine partitica controllata, è tutto sommato un ingenuo compitino. Gli esponenti politici sono soliti muoversi in transumanze da un partito all'altro secondo convenienze. La parte dell'Udeur transitata nell'Italia dei Valori sta dando pensiero a Di Pietro. Questo giornale ha denunciato per primo le irregolarità nel tesseramento del Pd in Campania. Ora per Cosentino c'è una richiesta di misure cautelari per concorso esterno in associazione camorristica. Fini chiede candidature specchiate. Chi tiene il conto dei voti, in entrambi gli schieramenti, raccomanda per contro prudenza: a far fuori le "mele marce" si rischia di perdere. Un argomento contabile a cui si deve opporre la certezza che il cesto, in assenza di bonifica, marcirà tutto insieme.
È diversamente grave, ma non si può essere rappresentati da persone come Giovanardi che spiega così la morte di Stefano Cucchi: «Era anoressico drogato e sieropositivo». Due affermazioni su tre sono false, la terza - si drogava - non è la causa del decesso e difatti sono partiti ieri i primi provvedimenti a carico di pubblici funzionari: omicidio preterintenzionale. Cucchi è morto per le botte e le mancate cure, per il rifiuto di alimentarsi fino a che non avesse parlato con un avvocato, glielo hanno negato. La tesi che gli "scarti sociali" - drogati, malati, ex terroristi, clandestini - se muoiono o si uccidono in carcere è quasi un bene per la comunità è purtroppo molto diffusa in certi angiporti, persino in qualche salotto. Resta aberrante, e che sia un viceministro a renderla pronunciabile anziché adoperarsi e sradicarla è il segnale esatto del punto in cui si trova la cultura politica del paese: al buio dei condotti gastrointestinali dei suoi esponenti di governo. Una sola parola sulla difesa d'ufficio che il direttore del Tg1 ha fatto ieri del lodo Alfano al posto di Ghedini forse indisposto. Come direbbe Berlusconi: i direttori si scelgono a ragion veduta.

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