Il contribuente onesto ignora i problemi dell'evasore non consumista. Per il suo opposto, cioè l'evasore spendaccione, le cose sono molto più semplici. Deve solo riuscire a farsi pagare in contanti o ricorrere a teste di legno per incassare gli eventuali assegni. Ma poi sono infiniti i modi per spendere senza tante preoccupazioni i soldi incassati in nero: meretrici di lusso, gioielli, mobili antichi, viaggi in capo al mondo. L'evasore parsimonioso risparmiatore ha invece una serie di difficoltà in più, soprattutto se vuole investire in ambito finanziario e non immobiliare, dove tanto quanto può sempre riuscire a pagare una parte in nero. Fino agli anni Ottanta, l’evasore risparmiatore poteva comprare obbligazioni e altri titoli in contanti. Ma con la dematerializzazione degli strumenti finanziari tutto è diventato maledettamente pericoloso. Se versa i soldi in una banca, a una Sim. o alla Posta, viene scoperto al primo accertamento fiscale un po' serio. Quindi la soluzione ideale è stata (ed è) esportare e investire clandestinamente quanto in paesi compiacenti: Svizzera, principati di Montecarlo e Lichtenstein o altri paradisi fiscali. Peccato che si tratti di località magari amene ma caratterizzate da commissioni esose, anche il quintuplo che in Italia, e gestori ancor più attivi nel saccheggiare i conti dei clienti.
Il ministro Giulio Tremonti, ma in realtà il governo tutto, si è preso a cuore questo problema offrendo il cosiddetto scudo fiscale, che permette il rimpatrio dei capitali a un prezzo modico. Ufficialmente si paga il 5%, che già di per sé sembra scandalosamente poco, visto che in alcuni casi è stato evaso oltre il 50% fra imposte e contributi vari. Eppure in realtà, approfittando delle pieghe della legge (e di qualche furbizia aggiuntiva) è possibile pagare molto meno. Risparmiare sullo scudo. Prendiamo uno che abbia soldi nascosti all'estero, ragionando per semplicità su un milione di euro tondo. Un sempliciotto penserebbe che dovrà comunque scucire 50 mila euro per riportarli impunemente in Italia. Invece il suo costo finale può essere molto minore e, in alcuni casi limite, addirittura nullo. Vediamo come (per gli aspetti più tecnici www.beppescienza.it). Per cominciare èconsentito prendere a riferimento quanto l’evasore aveva alla fine dell'anno scorso. La formula è un po' complessa, ma nella sostanza l'aliquota passa ora dal 5% al 5,35% circa. Ciò può essere molto conveniente, perché a fine dicembre le quotazioni erano veramente basse. Quindi non è strano che lo stesso patrimonio valesse allora per esempio 580 mila euro e sia risalito solo nel 2009. Un tale recupero corrisponde esattamente a quello medio delle obbligazioni ad alto rendimento in euro, misurato dall'Euro High Yield Index. Così l'importo da versare al fisco scende a 31 mila euro, che è poi solo il 3,1% di quanto viene rimpatriato.
Però non è finita. Il nostro contribuente può versare l'imposta dovuta con contanti provenienti da incassi in nero senza correre rischi. Infatti il conto scudato non compare sotto il suo nome nel caso di una normale verifica del fisco nelle banche. Quindi, in un certo senso, l'operazione gli costa la metà rispetto a quanto gli costerebbe se i suoi soldi arrivassero da guadagni dichiarati e tassati. E in questo modo siamo scesi all'1,6%, rispetto a quel già generoso 5% previsto da Tremonti. Ma c’è anche altro. Con gli investimenti finanziari (azioni, obbligazioni e simili) i guadagni rispetto al prezzo di acquisto sono tassati al 12,5% e le perdite permettono un’ analoga minore imposta. Solo che con lo scudo fiscale siamo nel paese della Cuccagna, perché è lecito non pagare l'imposta sulle plusvalenze, ovvero sui cosiddetti “capital gain”, ma mantenere le minusvalenze per ridurre quanto dovuto in futuro. Per giunta i prezzi di acquisto basta autocertificarli, perché il fisco è galantuomo e si fida ciecamente dei contribuenti. Così, grazie a tale meccanismo e ai diversi alti e bassi dei mercati negli anni scorsi, può finire che uno “rimpatria” una perdita media del 10-15%, corrispondente a un potenziale credito d'imposta nell'ordine dell'1,5% del patrimonio riportato in Italia. Insomma, basta una discreta ripresa delle quotazioni dei titoli e lo scudo diventa a costo zero. Il nostro fortunato evasore – fortunato perché vive in Italia - potrà quindi riprendere a esportare capitali, nell'attesa di un scudo-quater nel 2010 dopo l'attuale, detto anche scudo-ter. Fantasie? Mica tanto, visto che al primo scudo fiscale (2002) ne seguì un altro già l'anno dopo. La cosa non è stata però denunciata da nessun sindacato, partito o economista dell'opposizione, come pure da nessuna di quelle associazioni di consumatori che pure inveiscono sempre contro tutto e tutti. In compenso sullo scudo-ter si sono lette critiche infondate, come quella rivolta dagli economisti de www.La-voce.info. In particolare, Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra hanno scritto (29-9-2009) che esso “non necessariamente servirà a fare tornare i capitali in Italia, perché il rimpatrio è obbligatorio solo se le somme sono presso paradisi fiscali [...] In tutti gli altri casi i capitali possono rimanere dove sono. Il gettito raccolto con lo scudo è una tantum e non potrà dunque andare a finanziare interventi permanenti”.
Questo è sbagliato, perché all'Erario spettano le stesse imposte sui capitali “scudati”, sia che rientrino in patria sia che restino presso banche estere. Semmai è vero che il gettito a regime non sarà alto. Ammettendo con un certo ottimismo il rientro di 100 miliardi di euro e una redditività annua del 4%, il fisco italiano incasserà 0,5 miliardi di euro l'anno sui relativi interessi, dividendi e capital gain.
(* Università di Torino)
Però non è finita. Il nostro contribuente può versare l'imposta dovuta con contanti provenienti da incassi in nero senza correre rischi. Infatti il conto scudato non compare sotto il suo nome nel caso di una normale verifica del fisco nelle banche. Quindi, in un certo senso, l'operazione gli costa la metà rispetto a quanto gli costerebbe se i suoi soldi arrivassero da guadagni dichiarati e tassati. E in questo modo siamo scesi all'1,6%, rispetto a quel già generoso 5% previsto da Tremonti. Ma c’è anche altro. Con gli investimenti finanziari (azioni, obbligazioni e simili) i guadagni rispetto al prezzo di acquisto sono tassati al 12,5% e le perdite permettono un’ analoga minore imposta. Solo che con lo scudo fiscale siamo nel paese della Cuccagna, perché è lecito non pagare l'imposta sulle plusvalenze, ovvero sui cosiddetti “capital gain”, ma mantenere le minusvalenze per ridurre quanto dovuto in futuro. Per giunta i prezzi di acquisto basta autocertificarli, perché il fisco è galantuomo e si fida ciecamente dei contribuenti. Così, grazie a tale meccanismo e ai diversi alti e bassi dei mercati negli anni scorsi, può finire che uno “rimpatria” una perdita media del 10-15%, corrispondente a un potenziale credito d'imposta nell'ordine dell'1,5% del patrimonio riportato in Italia. Insomma, basta una discreta ripresa delle quotazioni dei titoli e lo scudo diventa a costo zero. Il nostro fortunato evasore – fortunato perché vive in Italia - potrà quindi riprendere a esportare capitali, nell'attesa di un scudo-quater nel 2010 dopo l'attuale, detto anche scudo-ter. Fantasie? Mica tanto, visto che al primo scudo fiscale (2002) ne seguì un altro già l'anno dopo. La cosa non è stata però denunciata da nessun sindacato, partito o economista dell'opposizione, come pure da nessuna di quelle associazioni di consumatori che pure inveiscono sempre contro tutto e tutti. In compenso sullo scudo-ter si sono lette critiche infondate, come quella rivolta dagli economisti de www.La-voce.info. In particolare, Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra hanno scritto (29-9-2009) che esso “non necessariamente servirà a fare tornare i capitali in Italia, perché il rimpatrio è obbligatorio solo se le somme sono presso paradisi fiscali [...] In tutti gli altri casi i capitali possono rimanere dove sono. Il gettito raccolto con lo scudo è una tantum e non potrà dunque andare a finanziare interventi permanenti”.
Questo è sbagliato, perché all'Erario spettano le stesse imposte sui capitali “scudati”, sia che rientrino in patria sia che restino presso banche estere. Semmai è vero che il gettito a regime non sarà alto. Ammettendo con un certo ottimismo il rientro di 100 miliardi di euro e una redditività annua del 4%, il fisco italiano incasserà 0,5 miliardi di euro l'anno sui relativi interessi, dividendi e capital gain.
(* Università di Torino)
3 commenti:
"E', naturalmente, tutto giusto ciò che Beppe Scienza spiega, sia pur facendo ricorso ad una necessaria dose di tecnica, in modo chiaro. E' evidente che lo scudo fiscale, come dice l'autodidatta Antonio Di Pietro, premia i furbi e, in pratica, fa apparire gli onesti come dei fessi. Ma a mio parere il punto non è questo, o almeno non è solo questo.
Il precedente condono del 2002 che avrebbe dovuto far rientrare in Italia capitali esportati all'estero dalla stessa categoria sociale alla quale appartiene gran parte dell'attuale esecutivo, o che comunque costituisce il target - per dirla col gergo del marketing - sul quale l'attuale esecutivo fa notevole assegnamento, non solo è stato criticato aspramente (per quanto aspramente possa criticare) dalla Corte dei Conti nella sua relazione annuale successiva a quel provvedimento, in riferimento al messaggio distorto che inviava al cittadino, ma la critica era giustificata non tanto da ragioni etiche (che se storicamente sono poco appartenute alla politica, ancor meno appartengono oggi), quanto dal fatto che non aveva poi prodotto alcun reale beneficio sul gettito fiscale e sul recupero delle finanze. Come dire: abbiamo dato un cattivo esempio per giunta senza ricavarci nulla.
Roberto Ormanni.
CONTINUA"
"Il punto, infatti, è: premessa l'ingiustificata e furba generosità dello scudo, perché i capitali dovrebbero rientrare? In sostanza: cui prodest? E mai la filosofia di tale interrogativo è più fondata come in questo caso. Quale ragione, oltre al fatto che costi poco o nulla, dovrebbe indurre i risparmiatori-evasori (spendaccioni o parsimoniosi che siano) a riportare in Italia quel denaro che prima avevano portato fuori clandestinamente? Cosa ne fanno, in Italia, di quel denaro? Come possono metterlo a frutto,o conservarlo, o spenderlo, o investirlo? In quale contesto economico, politico e finanziario dovrebbero operare? Una giustizia, necessaria per la sopravvivenza di un sistema economico, che non funziona; un mercato del lavoro sfilacciato, disastrato, oscillante tra la iper professionalità e l'ignoranza; una pressione politica costante che condiziona scelte logistiche, strutturali, d'organico; una pressione criminale costante che influisce su quelle stesse scelte in alcune aree del Paese (e non solo meridionali); un disastro amministrativo locale e centrale che rende faticosissimo, se non impossibile - e dunque proporzionalmente costoso - mettersi in relazione (corretta, cioè non basata su tangenti e favori) con enti pubblici e istituzioni; rapporti con le banche e i mediatori, pur se caratterizzati da minori costi rispetto all'estero, improntati però giammai ad una regula juris valida in ogni tempo e sotto ogni latitudine ma cangiante a seconda delle amicizie che si possono spendere; perfino nel mercato pubblicitario è impossibile muoversi in autonomia essendo necessario tenere nella giusta considerazione le segnalazioni politiche che di volta in volta dirottano gli investimenti. E allora, quei capitali, dovrebbero rientrare, sia pure a costo zero, per restare sotto la mattonella o per essere spesi in serate goliardiche? Donne e motori? Sesso, droga e rock and roll? Tanto vale lasciarli dove sono. Infine: qual è il deterrente che potrebbe spingere a riportarli in patria nonostante tutto? Uno solo: il rischio di essere scoperti. Ma per la più parte degli esponenti della premiata ditta evasori, risparmiatori & esportatori, questo rischio è talmente remoto da perdere quasi del tutto la propria efficacia deterrente (il meccanismo che gioca, in questi casi, è lo stesso descritto da Cesare Beccaria nel trattato De' delitti e delle pene a proposito della sostanziale inutilità della pena di morte). Insomma, a rientrare saranno i capitali, risicati, di quei poveri sfigati, evasori dell'ultim'ora, che occasionalmente hanno portato qualche valigetta all'estero, fortunosamente e senza particolari protezioni, e ancora oggi tremano di paura al pensiero d'averlo fatto. Uno scudo fiscale che, quasi quasi, è una salvezza soltanto per la banda degli onesti.
Roberto Ormanni
CHIARISCO PER IL LETTORE DISTRATTO: I COMMENTI CHE PRECEDONO SONO DI ROBERTO ORMANNI, DIVISI IN DUE TRONCONI PER MOTIVI DI SPAZIO, IL VISO NEL RIQUADRO E' IL MIO!
Posta un commento