giovedì 10 dicembre 2009

B. ci ha dato il Paese”: ora i boss alla prova dell’aula


di Marco Lillo


SE NON ARRIVA niente da dove deve arrivare è il caso che cominciamo a parlare anche noi con i magistrati”. Questa frase attribuita dal pentito Gaspare Spatuzza a Filippo e Giuseppe Graviano, i suoi capi, turba i sonni di molte persone. Domani ascolteremo la versione dei fratelli capi del mandamento di Brancaccio, interrogati in videoconferenza dalla Corte di appello del processo Dell’Utri.
Spatuzza, ha raccontato le confidenze ricevute al bar Doney nel gennaio del 1994 da Giuseppe Graviano, poche settimane prima dell’annuncio della discesa in campo da parte di Silvio Berlusconi. “Giuseppe Graviano era raggiante e mi disse”, racconta Spatuzza, “che avevamo ottenuto quello che volevamo e avevamo il paese nelle mani. Mi disse che le persone che ci avevano dato garanzie erano serie, a differenza dei socialisti, e mi fece i nomi di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri”.
I Graviano hanno già smentito le sue parole davanti ai pm di Firenze. Ora ci provano quelli di Palermo, incuriositi dallo strano atteggiamento dei due boss che non hanno avuto parole di disprezzo verso la scelta del collaborante nei confronti effettuati con lui.
Filippo Graviano ha chiuso il suo verbale così: “Sogno solo una sera di addormentarmi e di non risvegliarmi al mattino. Può sembrarvi strano ma è così. Io in questo modo sarei in pace con tutti”. Parole e atteggiamenti inusuali per boss di quella caratura. Che fanno ben sperare i pm di Palermo. Certo che ne avrebbero di cose da raccontare i due fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. A partire dalla pazza stagione delle stragi del 1993 quando, mentre mettevano le bombe a Roma, Firenze e Milano, uccidendo, giravano i posti più belli d’Italia aiutati (magari involontariamente) da una serie di personaggi legati alla famiglia dell’ex manager di Publitalia, e attuale sottosegretario Gianfranco Micciché, o in rapporti con Marcello Dell’Utri (ora senatore e allora capo di Publitalia).
Quando si parla dei fratelli Graviano e di Gaspare Spatuzza, tutti i commentatori ricordano i 40 omicidi, le sei stragi, la morte orribile di Giuseppe Di Matteo, sequestrato per un anno, a dieci anni, poi strangolato e sciolto nell’acido. O l’uccisione di padre Pino Puglisi. I due fratelli che guidavano il mandamento di Brancaccio non hanno solo maneggiato tritolo ma centinaia di milioni di euro. Al prestanome dei boss, Giovanni Ienna, è stato sequestrato un patrimonio di 200 milioni di euro comprendente il San Paolo Palace, un mega hotel a 5 stelle nel quale si organizzavano le prime convention di Forza Italia.
Altri immobili per 50 milioni di euro sono stati confiscati a un altro referente dei Graviano, quel Giuseppe Cosenza che è stato cliente dell'attuale presidente del senato, l'avvocato Renato Schifani. Ai boss hanno sequestrato anche un impianto da 5 milioni di euro adibito a torrefazione e zuccherificio.
Li arrestano a Milano, dove erano latitanti seguendo le tracce di un loro complice, il padre del calciatore Gaetano D’Agostino, che oggi è un nazionale e allora era un aspirante pulcino del Milan. Quando sarà sentito l’allenatore delle giovanili rossonere racconterà ai pm di Palermo: “lo aveva raccomandato Dell’Utri”. I Graviano la presero talmente male che volevano uccidere il padre del campione, che si salvò pentendosi.
Chi sono gli uomini di Brancaccio
Quando Filippo e Giuseppe finiscono dietro le sbarre, la guida degli affari passa alla sorella Nunzia che non si trasferisce a Corleone ma a Nizza e progetta di comprare attici (con il giardino pensile) e ville in Costa Azzurra. Il calendario del 1993 rende l’idea della loro doppia vita.
A febbraio sono a Venezia con le rispettive mogli, per partecipare ai festeggiamenti del carnevale, per una coincidenza organizzato quell’anno da Publitalia, diretta da Marcello Dell’Utri.
Il primo aprile deliberano con i boss della cupola nella villetta di un signore che si chiama Giuseppe Vasile, la stagione stragista al nord. L’idea dei Graviano e di Totò Riina è quella di fare la guerra allo Stato per poi costringerlo a fare la pace. In cambio di benefici carcerari.
A maggio Giuseppe Vasile, mediante un suo amico palermitano, contatta Enrico Tosonotti, un imprenditore milanese perché affitti una villa in Versilia per il vecchio padre di Vasile.
In realtà sarà usata come base logistica delle stragi.
Tosonotti contatta un’agenzia e prenota la villa di Forte dei Marmi nella quale a luglio e ad agosto passeranno alcune settimane Matteo Messina Denaro e i fratelli Graviano, cioé i boss che tra maggio e luglio semineranno il terrore a Roma, Milano e Firenze, uccidendo dieci persone.
Gli assegni usati per prenotare la villa risulteranno cambiati da un’agenzia del Banco di Sicilia di Palermo che aveva effettuato un’operazione non prevista dalla corretta prassi bancaria.
Il dirigente era il fratello di Gianfranco Micciché, Guglielmo.
Un anno dopo le stragi, Tosonotti incontra a pranzo Gianfranco Micciché (nel frattempo passato da Publitalia a fare il sottosegretario ai trasporti) per chiedergli di inserire una sua società nell’albo dei fornitori delle Ferrovie. Le persone che li avevano messi in contatto erano amici del fratello del sottosegretario. Anche quando i Graviano, tra una bomba e l’altra, si rilassano in Sardegna scelgono Porto Cervo. Saranno ospiti nel residence “I Tramonti”, che fa capo a una società gestita da Maurizio Pierro, un commercialista milanese ucciso nel 1997 in circostanze misteriose, che amministrava anche una serie di cooperative in cui lavorano le figlie e gli amici del fattore di Arcore, Vittorio Mangano.

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