martedì 22 dicembre 2009

I buoni maestri


di Marco Travaglio


Dopo tanti cattivi maestri, finalmente è scoccata l’ora di quelli buoni. I moderati della Lega nord, quelli che sfilavano con una lapide per il procuratore di Verona Papalia, quelli dei fucili e dei kalashnikov, quelli che vietano agli islamici di pregare nelle loro moschee e poi si sposano con rito celtico davanti al druido, sciolgono inni all’Amore e intimano al Pd di liberarsi di quell’estremista di Di Pietro.
Luciano Moggi, condannato dalla giustizia sportiva e imputato per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, l’uomo che ha trascinato la Juventus in Serie B condannandola all’irrilevanza per anni, il braccio destro del dottor Giraudo appena condannato in primo grado a 3 anni, ecco, un personaggino di tal fatta pontifica sulla crisi della Juve iniziata grazie ai suoi maneggi: “Non cacciate Ferrara, ma la dirigenza”.
Gli attuali dirigenti, infatti, hanno il grave torto di essere incensurati, di non ricorrere al doping e di non scegliersi gli arbitri à la carte. Dunque se ne devono andare (Ferrara invece no, perché è un fedelissimo suo e di Lippi, padre di cotanto figlio, vedi alla voce Gea). Anche Clemente Mastella, imputato a Napoli per varie concussioni, abusi e altre quisquilie assieme alla sua signora e a mezza Udeur, dunque rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo, monta in cattedra: invece di andare a nascondersi per quel che è emerso sul suo conto, chiede 10 milioni di danni all’ex pm De Magistris, reo di averlo inquisito per i suoi rapporti con i vari Saladino e Bisignani.
Sventola, a riprova della sua innocenza, il decreto di archiviazione di una gip di Catanzaro, dimenticando forse quel che ha scoperto la Procura di Salerno: la gip non aveva ricevuto tutte le carte dell’inchiesta Why Not necessarie per decidere su di lui; pare infatti che i pm calabresi ora indagati per aver fatto cacciare De Magistris e per aver insabbiato parte delle sue indagini non le avessero trasmesso l’intero fascicolo.
Poi ci sono le lezioncine di Formigoni, al quale stanno arrestando assessori e amici al ritmo di uno alla settimana: lo Sgovernatore lombardo spiega che quello squisito esponente del Partito dell’Amore che è l’assessore Prosperini (“I gay? Garrotiamoli. Ma non con la garrota di Francisco Franco. Alla maniera degli Apache: cinghia bagnata legata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia”) è stato arrestato per sbaglio, “come Alberto Stasi”.
Si attende la querela di Stasi per l’accostamento.
Frattanto gli avvocati del premier si affannano a escogitare non una, ma tre leggi ad personam (superlodo Alfano con turboelica costituzionale, legittimo impedimento ovviamente illegittimo e processo breve anzi morto) con l’amorevole collaborazione del duo Violante & D’Alema. I quali, mentre ribadiscono di essere contrari alle leggi ad personam per evitare che gli elettori capiscano, lasciano chiaramente intendere una voglia matta di immunità-impunità. E seguitano a richiamarsi alla “Costituzione del 1948”. Si guardano bene dal dire che il vecchio articolo 68 non prevedeva alcuna immunità automatica, ma solo la possibilità che il Parlamento bloccasse eventuali inchieste viziate da fumus persecutionis, nei casi rarissimi, eccezionali di magistrati animati da intenti persecutori contro esponenti dell’opposizione per reati politici. Mai ai Padri costituenti, quelli veri, era venuto in mente di proteggere i capi di governo da sacrosante inchieste per reati comuni.
Ora c’è solo un piccolo ostacolo, sulla strada dell’inciucione: gli eventuali elettori del Pd, animati da quella che D’Alema chiama “la cultura azionista che non ha mai fatto bene al paese”.
Non ce l’ha, si capisce, con gli azionisti Mediaset o Telecom: quelli gli son sempre piaciuti un sacco.
Ce l’ha con il Partito d’azione dei Parri, Luss, Rosselli, Galante Garrone, Bobbio, Mila, Casalegno, Sylos Labini.
Cattivi maestri che parlavano di questione morale.
Tutti pericolosamente incensurati. Gentaglia.

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