Se vuoi capire la geometria di un corteo, devi provare a percorrerlo controcorrente. Ma se ieri provavi a nuotare a ritroso nel grande fiume del popolo viola, facevi una piccola grande scoperta: nella spina dorsale di questo corteo - per la prima volta da tanti anni - le ossute vertebre dei partiti e i detriti delle gioiose macchine da guerra della politica, non si vedevano più.
Somiglia alla rete. Non era un trucco, o un gioco di prestigio. Ieri ho camminato per due ore e venti contromano, tra via Merulana e stazione Termini come se fossi finito su un immenso tapis roulant color porpora. Era come risalire il corso di un fiume, come andare in direzione contraria in autostrada: non sono mai riuscito a vedere la coda, mai riuscito ad arrivare alla fine, l’onda mi spingeva continuamente avanti. Rispetto alle manifestazioni degli ultimi venti anni, persino rispetto alla memorabile manifestazione dei girotondi morettiani del 2002, percorri questo corteo e ti rendi conto che, a partire dalla sua struttura, assomiglia molto più alla rete da cui è stato partorito che alla liturgia del corteo politico-operaio novecentesco.
Dal ‘900 al 2000. Fino a ieri di una manifestazione era importante conquistare la testa. Quello del popolo viola era una corteo in cui ogni spezzone era una testa, esattamente come se si trattasse di tante finestre di una open source Linux aperte su uno schermo, come una surfata su google da una parola chiave all’altra: agende rosse-antimafia-giovani-sud-borsellino, ma anche manette-sfottò-parodie-cavaliere, ma anche scuola-democrazia-costituzione-Pertini. Ho percorso il corteo per un’ora, prima di trovare la prima bandiera di partito. Ce n’erano tante, ma quasi sparivano rispetto all’inventiva del fai-da-te, ai carri allegorici, ai copridivano viola riciclati a mo' di striscione, alle kefia cromaticamente intonate, alle aste con appesa una sciarpa o un calzino, alla cassette della frutta usate per ingabbiare i pupazzi di Berlusconi e allegorie brunettiane. Dopo un’ora e venti ho incrociato il primo leader di rango, Luigi De Magistris. Non era acclamato come un ospite d’onore, ma digerito come un pesce, dalla fiumana umana che rimbombava festosa in via Merulana. Sotto l’obelisco di piazza Santa Maria Maggiore, si era piantata Rosy Bindi. Decine di persone si erano fermate a discutere con lei: fosse stato un dirigente del Pd di calibro più leggero, sarebbe finita digerita e nebulizzata, come se un branco di pesci rossi l’avesse spolpata.
Catering rifondarolo. In piazza San Giovanni avvisto il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero. Cammina in “borghese” insieme alla sua compagna, Angela Scarparo. E’ contento: “Di solito dicono di noi che siamo settari, ma la verità è che ci siamo messi a disposizione di questo movimento senza voler piantare bandierine... Quelli del Pd che declamano la loro vocazione maggioritaria- dice con un sorriso - si sono dimostrati molto settari e burocratici”. Ferrero sorride: “Penso che di 800 pullman Rifondazione ne avrà organizzati almeno 400... Ma senza mettere il cappello. Abbiamo fatto.... un catering democratico”. E’ vero. Ne trovi molti, lungo il corteo, che ti dicono: “Sono venuto con il pullman dei Verdi”, “Con Sinistra e libertà”, “Arrivo in treno, insieme a quelli del Pdci”. Moltissimi sono venuti portati da questi torpedoni, ma “ospiti” della politica che fa un passo indietro. Claudio Fava - di Sinistra e libertà - incatena la moto, e si infila nel corteo in via Merulana: “Questa è una festa civile. Io non vivo come una sconfitta, ma come una vittoria, il fatto che i partiti non mettano il loro timbro, e che i cittadini si siano presi la prima fila”. Con Nichi Vendola, pochi metri indietro, si arriva al paradosso. Risale la corrente inseguito, uno sciame di persone lo avvolge. Quando passa davanti a uno spezzone dove ci sono molte bandiere del Pd, si alzano delle grida: “Non mollare! Candidati!”. Un corteo come un blog. E’ come se in questo corteo, che è come un grande blog della sinistra, le geometrie dei partiti si scomponessero e si ricomponessero secondo un ordine diverso da quello che hanno conosciuto fino ad oggi. Stupisce la velocità con cui il colore viola diventa un nuovo comune denominatore. Ed è come se la creatività di una nuova generazione, quella dei ventenni che erano appena nati quando Berlusconi ha vinto per la prima volta, fosse diventato il nuovo catalizzatore intorno a cui si riordinano tutte le altre storie.
Gerarchie & coreografie.
Qui non conta più prendere la testa, la testuggine della falange romana, pensare la manifestazione come una struttura guerriera. Conta immaginare una coreografia: ci sono gli incappucciati con tessera P2 1816 appuntata sul petto col compasso, ci sono i carri allegorici con i pupi di Berlusconi, c’è Pluto, il cagnolino di Barbara e Renato, che ha come i suoi padroni la pettoralina rossa con scritto “Rispetta la costituzione!”. c’è Irene, venuta da Pisa con la sua Mafalda viola, c’è la carrozzina con cartello: “Ho solo due mesi, il signor B. mi ha già fatto arrabbiare!”. Probabilmente è sincero Antonio Di Pietro, che stretto fra i microfoni dice: “Ci sentiamo un’anima sola con il popolo viola”. Ha pagato il palco, quindi non ha bisogno di salirci sopra: è diventato il provider di questo corteo, così ha capito che non gli serve marchiarlo con il suo simbolo. Furbo, ancora una volta, ma anche intelligente. Fa impressione la trasfigurazione di Angelo Bonelli, leader rigenerato dei Verdi, magro e sorridente: “Da deputato pesavo 96 chili, oggi sono a 77, corro la mattina, penso in un altro modo... La verità è che oggi i partiti sono stati superati dalla società”.
Amleto e il Pd. Nel retropalco, si poteva trovare i rappresentanti dell’ultima tribù politica ospite del corteo. Giovanna Melandri, Walter Verini, Lino Paganelli: i veltroniani. Ma la presenza di una parte del Pd, e la bella eccezione della Bindi, è il reagente che fa apparire clamorosa l’assenza degli stati maggiori del Pd. Pierluigi Bersani ha ragionato con le lenti di un altro secolo, e il suo gruppo dirigente si è imbalsamato in un dibattito senza senso: come facciamo a partecipare a manifestazioni che non abbiamo convocato, chi parlerà dal palco e chi lo decide, chi sono questi sconosciuti dei blog e chi garantisce per loro, cosa succede se offenderanno Napolitano, come facciamo a dissociarci se ci sono degli incidenti.... Un meraviglioso avvitamento su eventi possibili e improbabili: di cui, purtroppo per il Pd, non se ne è verificato nemmeno uno. Ieri, la risposta allo spettro di Amleto che si è impadronito della nuova leadership del Pd, erano le migliaia di militanti del Pd accorsi in piazza. Per anni la vecchia politica ha dovuto fasciare i suoi cortei di poderosi servizi d’ordine, proteggere i suoi dirigenti con catene di mani e militanti nerboruti, riprodurre in piazza le barriere architettoniche e gerarchiche della politica. Il popolo del no-B-day ieri ha abbattuto queste strutture, senza che nessuno ne sentisse la mancanza. Viola, anarchico, ordinatissimo.
2 commenti:
"Un corteo come un blog." Bella la metafora di Luca Telese, galvanizzante lo sberleffo a Bersani, che vive in un altro secolo.
Già, veramente bello.. "un corteo come un blog".. ha colpito anche me. Ora ho il timore che ci sarà l'assalto ad internet da parte di questa maggioranza, naturalmente se ne occuperà Tarek Ben Ammar, grande amico di chi queste cose non le ama.. ora come li chiamerà?
"komunisti" non va più bene.. c'era il colore viola che primeggiava non il rosso.. gli hanno pure rovinato l'amato vocabolo... dovrà pernsarne un altro per i suoi comizi...magari..."i soliti violinisti"!! ;DD
Su Bersani non mi pronuncio.. non ne vale la pena!
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