giovedì 17 dicembre 2009

Inchiesta archiviata, nessun colpevole per la morte in carcere di Bianzino


di Giampiero Calapà


“Mi aspettavo finisse così, non sono per nulla sorpreso: sapevo che lo Stato non avrebbe dato a se stesso la colpa di quanto accaduto a mio padre. In questo momento mi sento scoraggiato, non so in che modo poter portate avanti questa battaglia per la ricerca della verità”. Usa queste parole Rudra, 16 anni, per commentare l’epilogo giudiziario del caso di suo padre, Aldo Bianzino. Aldo sarebbe morto per cause naturali in seguito a un aneurisma cerebrale. Così ha stabilito il giudice Massimo Ricciarelli accogliendo la richiesta di archiviazione del fascicolo per omicidio a carico di ignoti, avanzata dal pm Giuseppe Petrazzini. Bianzino, falegname, è morto a 40 anni nel carcere di Capanne, a Perugia, nell’ottobre del 2007, soltanto 36 ore dopo l’arresto per possesso e coltivazione di piante di canapa indiana. Rudra rimasto orfano anche della madre Roberta che, arrestata assieme al padre ma subito scarcerata (Aldo si assunse la piena responsabilità scagionandola), è morta lo scorso giugno. Fino a ieri, Rudra si era battuto per chiedere giustizia. Al suo fianco il padre di Aldo, Giuseppe, che al Fatto aveva inviato una lettera per avere risposte e verità.
L’autopsia escluse già patologie cardiache pregresse e rivelò sul corpo di Bianzino diverse lesioni “compatibili con l’ipotesi di omicidio”. I medici legali dichiararono probabile che la morte fosse stata causata da un pestaggio. Una successiva perizia autoptica stabilì, invece, che la morte avvenne per aneurisma. E ora il giudice, secondo le indicazioni dei consulenti della Procura, ha ritenuto che la lesione riscontrata al fegato del falegname fosse conseguenza delle “manovre di rianimazione” dopo l’aneurisma.
Per il comitato “Verità e giustizia per Aldo” l’archiviazione è incongruente con il rinvio a giudizio di un agente penitenziario, accusato di omissione di soccorso, perché in questo modo “vogliono farci credere che Aldo sia stato ucciso in carcere da un malore accidentale”.
Per il comitato tutta questa storia è viziata da un’altra incongruenza: “Com’è possibile che lo stesso pm Petrazzini che ha ordinato l’arresto di Aldo, sia anche quello che ha indagato sulle cause della sua morte? Non è corretto che uno stesso magistrato svolga contemporaneamente il ruolo dell’accusa e della tutela della stessa persona”.
Tommaso Ciacca, dell’associazione Luca Coscioni, ha seguito da vicino il caso Bianzino: “Il nostro non è mai stato un giudizio a priori, sarebbe stato importante, al di là delle omissioni di soccorso, continuare l’inchiesta per poter appurare cosa successe per davvero ad Aldo. Lo dobbiamo tutti a suo figlio Rudra”.
La scorsa settimana davanti al Tribunale di Perugia ci fu il presidio della senatrice radicale Emma Bonino insieme con Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, morto a 31 anni a Roma sei giorni dopo l’arresto. “Sono due vittime senza verità”, ha detto Bonino prima di incontrare il presidente del consiglio regionale umbro Federico Bracco, per chiedere il rispetto della legalità: l’Umbria avrebbe dovuto nominare il garante per i diritti dei detenuti nel 2006, dopo tre anni e nonostante il caso Bianzino ancora nessun accordo tra i partiti."
Ieri la stessa Emma Bonino, in una nota congiunta con Marco Pannella e Rita Bernardini, è intervenuta nuovamente sul caso: “Ci sorprende questa decisione del Tribunale di Perugia, cercheremo di capire cosa ha spinto i magistrati all’archiviazione che era già stata proposta in altre due occasioni. Saremo al fianco del nostro compagno, iscritto a Radicali Italiani, Rudra Bianzino che ci chiese di aiutarlo nella ricerca della verità di quanto accaduto a suo padre Aldo”. Le conseguenze di questo decesso in carcere sono state drammatiche per Rudra, rimasto ora solo con lo zio Ernesto: pochi mesi dopo la morte di Aldo morì la nonna materna. E pochi mesi fa anche sua madre “uccisa dal dolore”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E QUANTI ALTRI ANCORA SARANNO ARCHIVIATI?
PUOI ANCHE NON RISPONDERMI, LO SO DA SOLA!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

CERTO CHE LO SAI, MA NON BENE QUANTO ME.
TI RACCONTO.
FINO AL 1975 GLI OPERATORI DELLE CARCERI VENIVANO LASCIATI IN PACE, ANCHE PERCHE' NON SI VERIFICAVANO GLI EPISODI CHE ACCADONO OGGI.
LE CARCERI GIUDIZIARIE (OGGI CASE CIRCONDARIALI) ANNESSE AI TRIBUNALI MINORI ERANO ADDIRITTURA DIRETTE DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA.
NEL 1975 IL NUOVO ORDINAMENTO PENITENZIARIO CANCELLO' LA NORMA DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO CHE DAVA AI PROCURATORI DELLA REPUBBLICA LA SORVEGLIANZA SULLE CARCERI E LA POSSIBILITA' DI DIRIGERE LE CARCERI GIUDIZIARIE.
PERO' ERA SUBENTRATO IL TERRORISMO, DURATO ALL'INCIRCA DAL 1972 AL 1984, SPOSTANDO L'ATTENZIONE VERSO L'ESTERNO.
FINITO IL FENOMENO DEL TERRORISMO CIO' CHE ACCADEVA IN CARCERE ERA PASSATO AL PETTINE FINO, ANCHE PERCHE' NEL 1975 ERA STATA ISTITUITA UNA MAGISTRATURA AUTONOMA, LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA CON COMPITI ESCLUSIVI, MA CIO' DURAVA FINO AL 2001.
DOPO INZIARONO A FIOCCARE LE ARCHIVIAZIONI: CHISSA'PERCHE'!