sabato 5 dicembre 2009

Le anomalie e i «si dice» di un processo difficile


Dice il pentito Spatuzza che «ora bisogna resti­tuire la verità alla storia, e non mi fermerà nessuno». Assicura che questa è diventata la sua «missione, in onore di tutti i morti innocenti» uccisi anche da lui. C’è fin troppa enfasi nelle parole dell’ex mafioso che ha fatto riaprire le inchieste sulle stragi del ’92-’93, quando rivendica le motivazioni della collaborazione.

Molta più di quella sottesa alle frasi in cui ricorda che il suo capomafia, Giuseppe Graviano, gli raccontò di aver chiuso un accordo politico con «il signor Berlusconi» e «il nostro compaesano» Dell’Utri, ripetendo quanto ha già detto ai pubblici ministeri che indagano sulle bombe esplose a Palermo, Roma, Firenze e Milano.

Il nocciolo della deposizione — qui limitata alle eventuali responsabilità del senatore Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado per concorso in associazione mafiosa — sono i due episodi in cui parlò direttamente coi due fratelli Graviano: con Giuseppe al bar Doney di Via Veneto a Roma, quando questi gli svelò il presunto patto del ’93, e con Filippo nel carcere di Tolmezzo, dieci anni dopo, quando si sentì dire che «se non arriva niente da dove deve arrivare» si poteva cominciare a parlare coi magistrati visto che non era stato rispettato il patto politico-mafioso.

Per l’accusa si tratta di «fatti storici», per la difesa di opinioni che valgono meno di zero. I giudici, nei loro rari interventi, lasciano trapelare qualche dubbio: «Si tratta di fatti avvenuti nella mente del testimone», dice il presidente della Corte d’appello al pubblico ministero, facendo capire che l’attendibilità di racconti e deduzioni del «collaborante» saranno oggetto di valutazione nel verdetto d’appello. Che riguarda solo Dell’Utri e non Silvio Berlusconi, sul quale le dichiarazioni dell’ex mafioso sembrano più dirette rispetto al senatore imputato.

Gaspare Spatuzza quasi s’inalbera quando gli obiettano che le sue ricostruzioni sono basate su discorsi altrui: «Il mio 'sentito dire' non è da mercato ortofrutticolo, Giuseppe Graviano per me era Madre natura, come fosse un padre». È un’autocertificazione di attendibilità che ovviamente non basta, ma Spatuzza non può che fermarsi qui. Riferisce quanto gli spiegò il suo capo e mette insieme le «anomalie» che registrò nell’esecuzione delle stragi del ’92 e del ’93, insieme ad altre che per lui sono la conferma della trattativa e dell’accordo con la nuova formazione politica che vinse le elezioni della primavera ’94.

Parla delle strane e inedite lettere che Graviano gli fece spedire prima delle bombe di Roma e Milano; dell’apertura di un magazzino Standa nel quartiere palermitano di Brancaccio, dove tutto era controllato dai suoi capimafia, «credo l’unico in città»; del fatto che dopo l’attentato di via D’Amelio Giuseppe Graviano, «complimentandosi» per l’eliminazione del giudice Borsellino, gli disse che bisognava soprassedere su alcuni contrasti interni al clan perché «dovevamo portare avanti altre cose come quella appena fatta», cioè nuove bombe; dello strano arresto dei fratelli stragisti a Milano, pochi giorni dopo la rivelazione di Giuseppe sull’accordo chiuso con Berlusconi: «Si supponeva che fossero stati venduti ma non da Cosa Nostra, per quello che mi consta».

Queste e altre «anomalie» sono per l’ex mafioso che dice di aver intrapreso un «bellissimo percorso» di conversione e collaborazione con lo Stato, la dimostrazione che c’era qualcosa dietro la stagione terroristica di Cosa Nostra, legato ai contatti con la politica.

Deduzioni o fatti? Congetture o verità?
«Praticità della vita», rispose Tommaso Buscetta all’avvocato Franco Coppi durante il processo Andreotti, in una situazione molto simile. «Tragica esperienza di questi fatti» ha spiegato Spatuzza agli inquirenti. Basterà per far ritenere attendibile il neo-pentito dalla Corte che deve giudicare Dell’Utri?

La risposta arriverà con la sentenza. Gli avvocati del senatore-imputato ricordano al pentito che nel primo anno di interrogatori ha taciuto i nomi fatti oggi, e anzi ha negato di sapere alcunché sui contatti politici dei Graviano; e facendogli confessare che prima di lanciare accuse protetto dal paravento e dalle misure di sicurezza accordategli dallo Stato — ancora provvisorie, su quelle definitive appena chieste dalle Procure competenti la commissione governativa non s’è ancora pronunciata — ha organizzato sei-sette stragi e commesso una quarantina di omicidi.

«Una brava persona», ironizza un difensore di Dell’Utri, provocando la replica del pubblico ministero: «Più le persone sono cattive e più cose sanno».

È probabile che non saranno questi gli argomenti centrali per la decisione dei giudici. Ma è altrettanto probabile che gli echi delle dichiarazioni del neo-pentito non si fermeranno al processo d’appello contro il senatore del Popolo della libertà, comunque finisca.

Di certo il peso di quel verdetto (su cui influiranno anche le risposte che venerdì prossimo daranno o non daranno i fratelli Graviano chiamati a testimoniare) non si limiterà al destino giudiziario di Marcello Dell’Utri; ma il principale banco di prova delle rivelazioni di Spatuzza resta l’esito delle inchieste riaperte a Firenze sugli attentati del ’93 e a Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

Giovanni Bianconi
05 dicembre 2009

5 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

UNA CRONACA DIFFICILE DI UN PROCESSO DIFFICILE.

Francy274 ha detto...

Già, già, se non parlano i Graviano e Lo Nigro questo processo cadrà nel nulla.
Scommettiamo che i tre boss non parleranno?
Vedo Mister B. troppo tranquillo, sicuro...mmmm.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Io non apprezzo più il Corriere della Sera, prova ne è che pubblico i testi senza nessuna sottolineatura.
Basta leggere questo articolo e l'editoriale di Sergio Romano per farsi passare la voglia di leggere quel quotidiano.
Ciò premesso, parleranno, parleranno se non vogliono marcire in carcere fino alla fine dei loro giorni.
Altri prima di loro hanno parlato e sono usciti dal carcere nel programma di protezione.
Uno di essi l'ho avuto in carcere da me a Busto Arsizio, aveva confessato 60 omicidi dei quali almeno 20 eseguiti personalmente.
Adesso è all'estero con documenti e faccia nuovi.

Francy274 ha detto...

Speriamo Luigi,
a questo punto preferisco che i tre boss seguino la strada dell'uomo di cui hai parlato pur di vedere in carcere i veri responsabili di questa vergogna infinita che vige in Italia da quindici anni.
Ripeto però... lo vedo troppo tranquillo, ciò mi allarma.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Leggi qui e poi dimmi come fai a certificare che Silvio è tranquillo:
http://ilgiornalieri.blogspot.com/2009/12/silvio-furioso-contro-ghedini-non-li.html