
Gaspare Spatuzza, testimone nel processo contro Marcello Dell’Utri, è un «pentito». Appartiene quindi a una categoria di testimoni di cui è lecito chiedersi se non rappresentino in molti casi, per usare un’espressione militare, la prosecuzione della guerra di mafia con altri mezzi. Non parla di fatti recenti, sui quali è possibile raccogliere altre testimonianze, ma di eventi accaduti più di quindici anni fa. Quali sono le sue credenziali? E’ permesso chiedersi perché parli ora, con tanto ritardo, e fornisca informazioni che colpiscono Berlusconi nel momento in cui il presidente del Consiglio è messo alle strette da altre indagini? Non credo vi sia uomo politico o magistrato di buon senso che non abbia avuto, ascoltandone le dichiarazioni, questi dubbi e queste perplessità.Ma la giustizia non può scartare una ipotesi senza averla verificata e deve quindi, come usa dire in queste circostanze, andare sino in fondo. Nulla da eccepire, come abbiamo già scritto, se i processi fossero ragionevolmente brevi e dessero una rapida risposta ai nostri dubbi. Ma viviamo in un Paese dove quello di Perugia è durato, dal giorno del delitto, due anni; ed è, come sappiamo, un puzzle di cui la magistratura possiede tutti i pezzi: il cadavere, l’arma del delitto, la stanza della morte, i possibili assassini. Che cosa accadrà di un processo che concerne fatti lontani e che ha perduto lungo la strada, per ragioni anagrafiche, alcuni possibili imputati e testimoni? Può un intero sistema politico essere indefinitamente ostaggio di una vicenda giudiziaria che getta sul premier l’ombra di una colpa non ancora provata ma tale da intaccare la sua autorità? In Francia, quando un magistrato cominciò a indagare sul presidente della Repubblica, fu possibile decidere che le indagini sarebbero state riprese alla fine del suo mandato. In Italia, come abbiamo visto, soluzioni di questo genere si scontrano con le resistenze della magistratura e le sentenze della Corte costituzionale. Forse perché i magistrati, come sostiene Berlusconi, gli sono nemici? Credo piuttosto che le ragioni siano, nel senso migliore della parola, professionali. Molti giudici e procuratori si rendono conto della gravità della situazione, ma non vogliono prendere decisioni che sembrerebbero, nel clima surriscaldato della politica italiana, una diminuzione del ruolo pubblico conquistato negli ultimi vent’anni. Ed eccoci tutti prigionieri di un processo che potrebbe anche assolvere Berlusconi, ma che, nel frattempo, avrà condannato l’Italia alla paralisi. Chi indennizzerà il Paese del tempo perduto, delle occasioni mancate, delle riforme accantonate? Ho descritto il labirinto italiano, ma rifiuto di credere che non abbia, come tutti i labirinti, una via d’uscita. Spetta alla politica trovarla; e la strada maestra potrebbe essere quella di un impegno congiunto fra maggioranza e opposizione per riforme istituzionali che mettano fine a una transizione durata ormai poco meno del regime fascista. Ma occorrono almeno due sacrifici. L’opposizione deve lasciare che il processo faccia il suo corso senza utilizzarlo politicamente. E Berlusconi deve permettere alla magistratura di lavorare (anche ai processi contro di lui) e deve capire che nulla potrà garantirgli il completamento del mandato quanto un’intesa con l’opposizione sui nodi istituzionali che la maggioranza, da sola, non può sciogliere.
Sergio Romano
05 dicembre 2009

1 commento:
(RAGIONEVOLI) IDIOZIE.
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