martedì 22 dicembre 2009

L'ultima recita di Axler, illuso dal sesso tardivo


22/12/2009
MASOLINO D'AMICO

Avremo dunque Al Pacino (classe 1940) interprete del film tratto dall’ultimo romanzo di Philip Roth, su un uomo della terza età che si risveglia grazie all’eros: argomento affascinante nell’età del Viagra che ha reso tali risvegli frequenti nelle cronache, dove una volta gli amori senili erano solo per grandi tipo Chaplin, e facevano scandalo. Nell’arte continuano peraltro a essere sporadici, persino Woody Allen ha avuto pudore di continuare ad accoppiarsi sullo schermo con delle fanciullette, e nell’ultimo film Basta che funzioni si è fatto sostituire da un alter ego sempre vecchiotto ma meno decrepito.

A Philip Roth, i cui protagonisti hanno spesso l’età dell’autore al momento in cui questi scrive, la situazione cominciò a presentarsi con La macchia umana (2000), quando aveva 67 anni. Lì il suo alter ego Zuckerman ha subìto un intervento alla prostata e sembra eroticamente rassegnato, ma racconta di un professore suo coetaneo che pur tra mille grane rifiorisce sessualmente grazie alla magica pillola e all’incontro con una ragazzotta semianalfabeta e assai disponibile. L’immediatamente successivo Animale morente (2001) rese però assai amaro il rapporto di un altro professore anziano e molto portato a lasciarsi sedurre dalle studentesse: l’ultima di costoro si rivela minata da un male mortale. Apologo, forse, col rimorso e l’autocondanna di chi cede alla tardiva ma potente attrazione per la carne fresca? Fu comunque l’inizio di una fase sconsolata nella narrativa di Roth. In Everyman (2006) di sesso non si parla nemmeno, è la lucida cronaca di una morte moderna tra gli orrori della chirurgia e delle cliniche; e nel successivo Il fantasma esce di scena il già tanto vivace Zuckerman, ormai in preda all’Alzheimer, ci dice addirittura addio.

Veniamo infine alla presunta resurrezione grazie al sesso in The Humbling, il cui titolo, reso in italiano come La mortificazione (uscirà a breve da Einaudi), deve tuttavia mettere in guardia. Anche qui il protagonista ha passato i settant’anni quando l’esistenza lo colpisce in modo devastante, stavolta nella professione. A Simon Axler - attore, cosa che sarà certo piaciuta ad Al Pacino, e attore importante, fa Macbeth e Prospero - accade la disgrazia più temuta dai suoi colleghi, l’avvento di un invincibile panico da palcoscenico: non è una sindrome così eccezionale, ne fu vittima verso la fine della carriera persino il sommo Laurence Olivier, che nelle sue memorie la descrive vividamente. Ormai incapace di recitare, fallite le cure psichiatriche, Axler scopre di non avere altro al mondo, non famiglia, non amici, non passioni, nemmeno una fede. Mentre contempla l’idea del suicidio, incontra una ragazza quarantenne, Pegeen, insegnante e figlia di amici, e ci finisce a letto. Non solo: Pegeen sembra disposta a continuare a vederlo, e persino a occuparsi di lui.

Attenzione, però. Per ammonirci che queste non possono essere soluzioni definitive Roth, il quale a suo tempo, vedi sopra, aveva fatto morire l’ex studentessa coprotagonista dell’Animale morente, mette subito in chiaro che la storia con Pegeen non ha futuro: Pegeen è lesbica, Axler è per lei solo un diversivo dopo una delusione d’amore. Axler stesso non si fa illusioni su di lei, che in un’occasione gli confessa di averlo già tradito due volte, e continua a pensare al momento in cui inevitabilmente ella lo lascerà. Però lotta, tanto che cerca di adeguare i loro amplessi alle inclinazioni di Pegeen proponendole l’ammucchiata con un’altra donna, una ragazza improbabilmente disponibile che i due rimorchiano in un bar, e diventando guardone (Pegeen possiede costei con un membro artificiale).

Tutto inutile; il sesso tardivo può illudere rinfocolando fantasie e desideri, ma sono follie. Axler diventa ridicolo anche davanti a se stesso. Dopo avere fantasticato contro ogni logica di poter avere un futuro sposando Pegeen e magari avendone dei figli (per sapere se è ancora in grado di procreare si reca persino da uno specialista), ed esserne stato abbandonato definitivamente, va assurdamente a protestare dagli esterrefatti genitori di lei. Rinsavisce allora solo quel tanto che gli consente di guardare le cose in faccia; e trova finalmente il coraggio di uccidersi. Da buon attore, Axler lo fa tornando a calarsi nei panni del Kostia Gavrilovic del Gabbiano, interpretando il quale tanti anni prima era stato definito il più promettente e originale attor giovane della stagione.

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