martedì 8 dicembre 2009

Mr B. alla corte d’Europa


di Bruno Tinti


B&C sembrano inconsapevoli di vivere in Europa; e quindi sembrano ignorare che esistono la Corte di Giustizia (CG) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Sicché B&C non sanno che, se la CG dice che una legge italiana contrasta con i principi del diritto comunitario, il giudice italiano è tenuto a disapplicare la legge italiana e applicare la norma comunitaria (dove c’è); ovvero interpretare la legge italiana alla luce dei principi di diritto comunitario.
Per dire, se la CG avesse deciso che il falso in bilancio by Ghedini era in contrasto con la normativa comunitaria (come aveva sostenuto la Commissione europea che svolgeva le funzioni di pubblico ministero in quel giudizio), B&C se la sarebbero vista brutta. Non è andata così; e stanno ancora ringraziando i loro santi protettori.
Sempre per via di questa ignoranza, B&C non prestano molta attenzione alle sentenze della Cedu, istituita dalla Convenzione dei diritti dell’uomo di Roma del 1950. La Cedu, a differenza della CG, giudica direttamente delle controversie tra cittadino e Stato, quando un cittadino sostiene che una norma dello Stato, applicata in un processo dal quale ha ricevuto un danno, è contraria alla Convenzione dei diritti dell’uomo. Per esempio, il cittadino di uno Stato ritiene di aver avuto torto in un giudizio perché è stata applicata una legge che è in contrasto con la Convenzione dei Diritti dell’uomo; fa ricorso alla Cedu e questa può dargli ragione e condannare lo Stato al risarcimento dei danni.
E’ poi quello che è avvenuto con i crocifissi nelle aule scolastiche.
A differenza delle sentenze della CG, quelle della Cedu valgono solo per il caso in relazione al quale sono state pronunciate. Però, è questo il punto che conta, in tutti i processi in cui entrino in gioco i principi affermati in una sentenza Cedu, il giudice italiano dovrà sollevare eccezione di illegittimità costituzionale delle leggi che contrastano con questi principi; e la Corte costituzionale, dopo aver valutato se si controverte davvero di un caso in cui sono rilevanti i principi stabiliti dalla Cedu, e se la legge italiana è davvero in contrasto con questi principi, dovrà dichiarare l’incostituzionalità della legge italiana.
Nel 2006 la Cedu ha emesso una sentenza che, dal nome del cittadino che era parte nel processo, è conosciuta come sentenza Scordino; si trattava di un caso di espropriazione e di relativo indennizzo. La Cedu dette ragione a Scordino e torto allo Stato italiano perché, così disse, “lo Stato non può interferire sulla giurisdizione, introducendo in corso di causa nuove regole che influenzino la decisione a favore di una parte” (par. 126, 128, 129).
Aggiunse che non può una legge, sopravvenuta in corso di giudizio, modificarne le procedure, incidendo sulla decisione finale (par. 130); questo perché i principi della prevalenza del diritto e del giusto processo impediscono al potere legislativo di ingerirsi nell’amministrazione della giustizia e di influenzarne le decisioni (par. 126).
Secondo la Cedu, dunque, non è lecito che lo Stato emani leggi che si applicano anche ai processi in corso, se il loro effetto è quello di pregiudicare i diritti di una delle parti del processo a danno di un’altra.
Che ne è, a questo punto, delle leggi emanate da B&C mentre erano in corso i processi a carico di B? Processi che si sono conclusi in modo diverso da come sarebbe avvenuto se fossero state applicate le leggi in vigore quando erano cominciati. Per esempio, i processi per falso in bilancio, frode fiscale, corruzione a carico di B (assolto per prescrizione) sarebbero terminati con una condanna senza le leggi sul falso in bilancio by Ghedini e sulla prescrizione by ex Cirielli; e le parti offese di quei processi (tra cui lo stesso Stato italiano) avrebbero avuto diritto ai relativi risarcimenti.
Per esempio, i processi Mills e quello per i diritti Tv, senza il lodo Alfano, non sarebbero stati sospesi per B e oggi, almeno nel primo processo, B. sarebbe stato condannato (anche in Appello), con conseguente risarcimento dei danni a favore delle parti offese.
Per esempio, senza il “processo breve” (se mai arriverà) B. non se la scamperebbe da questi processi. Ecco, applicando i principi imposti dalle sentenze Cedu (la decisione Scordino è stata ripresa dalla Cedu in molte altre sentenze successive, tutte terminate con la condanna dello Stato italiano), dovrebbero verificarsi queste due conseguenze.
Per i processi a carico di B. ormai conclusi con sentenza definitiva (la prescrizione o “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”) le parti offese potrebbero ricorrere direttamente alla Cedu chiedendo che, in applicazione del principio esposto nella sentenza Scordino, lo Stato italiano sia condannato al risarcimento dei danni che non hanno potuto richiedere a B.
In pratica, ogni cittadino italiano sarebbe legittimato a lamentare la diminuzione delle entrate tributarie conseguente alle frodi fiscali commesse da B. per le quali è intervenuta la prescrizione; oppure i soci di minoranza delle società di B. potrebbero chiedere i danni derivanti dai falsi in bilancio prescritti.
Quanto ai processi a carico di B. ancora in corso, che (forse) saranno interessati dal “processo breve”, il giudice italiano potrà sollevare eccezione di illegittimità costituzionale, oltre che per tutte le ragioni già evidenziate su Il Fatto Quotidiano e da insigni giuristi, anche per contrarietà della legge ai principi esposti dalla Cedu.
Resta un problema. La Cedu ha affermato che non si possono introdurre in corso di causa nuove leggi; però lo si può fare quando esse rispondono a un interesse collettivo (par. 131). Insomma, la nuova legge, che influisce su un processo in corso, non deve essere emanata nell’interesse di una sola persona (o di un gruppo di persone); però, se risponde a un interesse generale, allora va bene.
Ora è vero che B&C hanno una faccia di tolla che gli ha consentito di presentare le 18 (mi pare) leggi ad personam finora emanate come necessitate da esigenze del Paese intero; perfino il “processo breve”, è scritto nella relazione al disegno di legge, “intende attuare il principio della ragionevole durata dei processi, sancito sia nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6), sia nella Costituzione (art.111)”.
Ma si può escludere che la Cedu si beva queste rottole, soprattutto dopo l’improvvida dichiarazione di Alfano, che ha spiegato al Parlamento che il “processo breve” interesserà solo l’1 per cento dei processi, con ciò escludendo esplicitamente qualsiasi interesse generale. E lo sputtanamento che ne deriverebbe non sarebbe una delle meno significative conseguenze di una sentenza che dicesse, finalmente: “B&C la debbono piantare di risolvere i processi penali di B. con leggi che danneggiano l’Italia”.

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