È sempre antipatico far pesare le profezie azzeccate, specialmente le più facili. Ma di fronte alla doppia intervista rilasciata dal ministro Giulio Tremonti (sabato al Giornale e domenica al Corriere della Sera), e dopo aver rimirato le dichiarazioni “aperturiste” di autorevoli esponenti del Pd, non possiamo fare a meno di ricordare che da un paio di mesi questo giornale segnala tre aspetti. Primo: scudo o non scudo, in cassa non c’è un soldo. Secondo: prima o poi il governo dovrà fare una manovra correttiva da un paio di decine di miliardi. Terzo: l’opposizione non solo è priva di un programma economico alternativo, ma rischia di aiutare il Grande Fantasista di via XX Settembre a nascondere i problemi.
Non appena è stata resa pubblica la legge Finanziaria, abbiamo segnalato che vi erano pochi tagli e niente tasse, e che si lasciava nuovamente correre il debito pubblico, senza un vero piano di rientro a medio termine.
La Banca d’Italia ha certificato con le cifre quest’analisi: il debito pubblico, a ottobre, ha sforato quota 1.801 miliardi di euro, contro una previsione del governo di 1.762. Abbiamo fatto un piccolo, semplice esercizio andando a ricalcolare il quadro di compatibilità delle stime ufficiali. Per scoprire che il Dpef presentato a settembre da Tremonti, alla luce della nuova dinamica del debito evidenziata da Via Nazionale, era già vecchio. Fin dai primi di ottobre abbiamo spiegato che il patto politico di Berlusconi con gli italiani, sin dai tempi della sua prima elezione, era basato su tre punti. Per gli imprenditori: fate quello che volete in termini fiscali (evadete pure). Per le famiglie a reddito fisso: non aumenteremo le tasse. Per un largo ceto dipendente da spesa pubblica e appalti: non taglieremo le spese improduttive e aumenteremo i grandi lavori pubblici. In cambio, la società italiana lascia libero il premier, e gli alleati, di perseguire i propri fini. Che si chiamino “leggi ad personam” o federalismo fiscale, in fondo fa poca differenza. Il Pd, invece di insistere sulle contraddizioni del governo rispetto ai numeri presentati, si limita a proporre emendamenti alla Finanziaria inconsistenti o irrealizzabili. Così non fa alcuna meraviglia, in queste ore, vedere Tremonti travestirsi da colomba e offrire a Bersani e D’Alema “riforme condivise”, a cominciare da quella fiscale. Da sempre, del resto, pasticciare un po’ le aliquote è il modo migliore per nascondere una manovra correttiva. Il richiamo ai “valori alti” della moderazione, della democrazia e del Parlamento, elargito domenicale al Corriere, nasconde un buco stimabile in circa 20 miliardi. E che potrebbe diventare di una trentina. Per far passare una manovra economica travestita da riforma fiscale, il ministro ha bisogno di un’opposizione che si volti dall’ altra parte. Magari in cambio di qualche concessione. Sembra che questa strategia politica stia dando frutti, se un parlamentare da sempre attento ai conti pubblici come Enrico Letta ora parla d’altro. Guarda caso di giustizia. E guarda caso a favore di Silvio Berlusconi.
La Banca d’Italia ha certificato con le cifre quest’analisi: il debito pubblico, a ottobre, ha sforato quota 1.801 miliardi di euro, contro una previsione del governo di 1.762. Abbiamo fatto un piccolo, semplice esercizio andando a ricalcolare il quadro di compatibilità delle stime ufficiali. Per scoprire che il Dpef presentato a settembre da Tremonti, alla luce della nuova dinamica del debito evidenziata da Via Nazionale, era già vecchio. Fin dai primi di ottobre abbiamo spiegato che il patto politico di Berlusconi con gli italiani, sin dai tempi della sua prima elezione, era basato su tre punti. Per gli imprenditori: fate quello che volete in termini fiscali (evadete pure). Per le famiglie a reddito fisso: non aumenteremo le tasse. Per un largo ceto dipendente da spesa pubblica e appalti: non taglieremo le spese improduttive e aumenteremo i grandi lavori pubblici. In cambio, la società italiana lascia libero il premier, e gli alleati, di perseguire i propri fini. Che si chiamino “leggi ad personam” o federalismo fiscale, in fondo fa poca differenza. Il Pd, invece di insistere sulle contraddizioni del governo rispetto ai numeri presentati, si limita a proporre emendamenti alla Finanziaria inconsistenti o irrealizzabili. Così non fa alcuna meraviglia, in queste ore, vedere Tremonti travestirsi da colomba e offrire a Bersani e D’Alema “riforme condivise”, a cominciare da quella fiscale. Da sempre, del resto, pasticciare un po’ le aliquote è il modo migliore per nascondere una manovra correttiva. Il richiamo ai “valori alti” della moderazione, della democrazia e del Parlamento, elargito domenicale al Corriere, nasconde un buco stimabile in circa 20 miliardi. E che potrebbe diventare di una trentina. Per far passare una manovra economica travestita da riforma fiscale, il ministro ha bisogno di un’opposizione che si volti dall’ altra parte. Magari in cambio di qualche concessione. Sembra che questa strategia politica stia dando frutti, se un parlamentare da sempre attento ai conti pubblici come Enrico Letta ora parla d’altro. Guarda caso di giustizia. E guarda caso a favore di Silvio Berlusconi.
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