martedì 22 dicembre 2009

Aveva un tumore lasciato morire in una cella


IL “NEGRO” AVEVA SENTITO GLI AGENTI DI TERAMO PARLARE DI UN PESTAGGIO
di Sandra Amurri


Il cervello di Uzoma Emeka, detenuto nigeriano di 32 anni, presenta una conformazione neoplastica di circa 4 cm. Al momento non si può dire se si tratti di un ascesso o di una placca tumorale. Il medico legale Sciarra che ha eseguito l’autopsia (che il Pm della Procura di Teramo, Roberta D’Avolio ha ordinato fosse video ripresa), potrà avere la certezza della diagnosi solo dopo i risultati di un ulteriore esame al cervello che è stato trattato con la formalina e non prima di 30 giorni. Di certo la morte è sopravvenuta per cause naturali e non è stata provocata. Ma questo non basta a mettere a tacere le tante inquietanti domande che restano sul tappeto: come mai un detenuto affetto da una malattia così grave invece di essere ricoverato in ospedale è stato lasciato nel carcere di Castrogeno a Teramo dove era rinchiuso dal giugno 2008? E come mai, considerati i frequenti svenimenti, nausee, vertigini, che lasciavano intuire un quadro clinico non certamente lieve, Uzoma non è mai stato sottoposto ad una Tac? E perché Uzoma non è stato protetto o trasferito quando è stata resa nota la conversazione tra Giuseppe Luzi, capo delle guardie carcerarie, e un suo sottoposto registrata con un cellulare e inviata in busta chiusa e anonima in cui si diceva: “Abbiamo rischiato la rivolta perché c’era il negro che ha visto tutto, non si può massacrare un detenuto così in sezione, un detenuto si massacra sotto”, di cui il ragazzo era stato testimone? Eppure era molto preoccupato. Lo aveva confidato alla convivente Loveth Omorodion, madre dei suoi due figli, uno di 4 anni e uno di soli 10 mesi, che aveva subito chiamato l’avvocato. Di certo, Uzoma si è sentito male al mattino alle 8,30 ma l’autoambulanza è stata chiamata solo alle 13,30 e quando è arrivato all’ospedale era già morto. Ma c’è di più ad avvalorare la tesi che Uzoma non sia stato curato. L’autopsia ha rivelato che recentemente è stato colpito da infarto miocardico e prima di essere arrestato non era mai stato male, dunque, l’infarto lo ha avuto certamente in carcere ma non risulta che sia mai stato ricoverato. Tra tanti interrogativi una certezza, spiega l’avvocato Giulio Lazzaro del Foro dell’Aquila: “Uzoma, arrestato per spaccio di droga e condannato a 2 anni e 10 mesi era un detenuto modello che lavorava in carcere tanto da essersi guadagnato una riduzione della pena e un permesso per tornare a casa a Natale”. Un Natale che per lui non arriverà mai. Luigi Manconi, presidente di “A Buon Diritto” non ha dubbi: “Siamo di fronte all’ennesimo caso di abbandono terapeutico. E quello di Uzoma non è un caso isolato”. Mentre la deputata Rita Bernardini (Radicali-Pd), della Commissione Giustizia, che aveva compiuto una visita al carcere teramano dopo il pestaggio e che ha presentato un’interrogazione al Ministro della Giustizia Alfano, racconta che il carcere di Teramo “è senza direttore”. E non solo “vi sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230, gli agenti in servizio sono solo 155 a fronte di una pianta organica che ne prevede 203”. E aggiunge che “oltre il 50% dei reclusi è malato”. Interrogazione che è anche stata presentata dal senatore Francesco Ferrante del Pd per chiedere l’istituzione di un’indagine amministrativa interna per accertare “le effettive cause della morte del detenuto nigeriano Uzoma Emeka”. Perché “Lo Stato ha il dovere istituzionale, politico e morale di non lasciare nulla di intentato per garantire ai detenuti condizioni di vita conformi al dettato costituzionale“ precisa la deputata Bernardini.
Con la morte di Uzoma Emeka, come rende noto l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, i decessi in prigione nel 2009 arrivano a quota 172. Viene così superato il triste record del 2001, che aveva segnato con 171 detenuti morti, il numero più alto di morti nella storia della nostra Repubblica. Negli ultimi 10 anni, nelle carceri italiane, sono morte 1.560 persone. Di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti. Sempre, comunque, persone fragili, deboli, ma essere umani che dietro le sbarre diventano numeri, che perdono il diritto ad essere curati e ad essere rieducati perché figli di un Dio minore.

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