domenica 10 gennaio 2010

"Con Berlusconi accordo al 100%"


di MASSIMO GIANNINI


Mi riconosco al 100% nelle parole del Primo ministro...". Anche Giulio Tremonti, come Silvio Berlusconi, si gode l'ultimo week-end prima della "campagna d'inverno" del governo e delle elezioni regionali di primavera. E anche il ministro dell'Economia è convinto che il 2010 sarà l'anno delle riforme". Proprio a partire dalla riforma fiscale. Ci sta lavorando, come gli ha chiesto il Cavaliere nel pranzo a Arcore. Ma a due precise condizioni: serietà e rigore.

Tremonti non fornisce dettagli. A chi gli parla, in queste ore, il ministro non rilascia anticipazioni ufficiali. Si limita a una considerazione, che tuttavia ha una rilevante portata politica: condivide in pieno i contenuti dell'intervista che Berlusconi ha rilasciato ieri a Repubblica. Dunque, stavolta non ci sono scontri né bracci di ferro: la riforma fiscale sarà ai primi posti nell'agenda dei prossimi mesi di governo. Ma sarà una "riforma complessiva": sulla scia del Libro Bianco presentato dallo stesso Tremonti nel '94, non riguarderà solo l'imposta sui redditi ma l'intero sistema fiscale, che in prospettiva dovrà ruotare intorno a non più di otto tributi. E la parola chiave, dal punto di vista del ministro dell'Economia, sembra essere proprio questa: "in prospettiva". Una riforma di portata così ampia, che a regime porterebbe all'introduzione di due sole aliquote Irpef al 23 e al 33 per cento, non si improvvisa né si introduce dall'oggi al domani. Servirà piuttosto un percorso a tappe, che attraverso misure di sgravi graduali e di semplificazioni progressive, e secondo un antico "pallino" di Tremonti, dovrà trasformare il Fisco in "amico" dei cittadini e in "socio positivo" delle imprese.

"La riforma fiscale è una cosa seria", è il mantra che Tremonti si ripete da tempo. Stavolta non si può svilire in una raffica di misure estemporanee, e meno che mai in un fuoco d'artificio pre-elettorale, in vista delle prossime regionali. Per questo il ministro dell'Economia, quando ieri ha letto su alcuni giornali i retroscena che raccontano di una possibile una tantum di riduzione fiscale usata per l'appunto come spot propagandistico da spendere alla vigilia delle elezioni di primavera ha immediatamente contattato Paolo Bonaiuti, per "dettargli" la dichiarazione che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha poi diffuso alle agenzie. Dunque, è la linea del ministro, non ci saranno una tantum, non ci saranno mance fiscali un giorno prima del voto. Ci sarà invece "una riforma vera, seria e di lungo periodo" che, in tempi ragionevoli e nel rigoroso rispetto degli equilibri di bilancio, porti finalmente l'Italia all'approdo di un sistema tributario più equo, più efficiente e più moderno.

È una sfida difficilissima. Ma superata la fase più acuta della crisi globale, anche per il nostro Paese è arrivato il momento di raccoglierla. Se non ora, quando? Tremonti è il primo a saperlo. Per questo, a costo di essere accusato di "conservatorismo" economico o di "minimalismo" fiscale, in tutti questi mesi non solo ha rifiutato di allargare i cordoni della borsa e ha respinto gli assalti alla diligenza, ma in molti casi ha addirittura inasprito i tagli alla spesa dei ministeri, facendo infuriare i suoi colleghi di governo. Una scelta opinabile, ma non incomprensibile. L'Italia non è la Grecia o l'Islanda, ma sul mercato interno e internazionale il Tesoro si gioca l'osso del collo per piazzare in media un miliardo e mezzo di titoli di Stato al giorno. Quest'anno, tra Bot e Btp, dovranno essere collocati 480 miliardi di euro: una cifra da far tremare i polsi. Intanto, come ha ricordato lo stesso Berlusconi a Repubblica, tutto questo per l'Erario si traduce in una "tassa" fissa pari a oltre 8 miliardi di interessi passivi: tanti, per un bilancio pubblico gravato da un debito che viaggia a grandi passi verso il 120 per cento del Pil. E poi, in queste condizioni basta sbagliare un annuncio di politica economica, o tarare male una misura di sgravio fiscale, per far fallire un'asta. Con tutte le incognite del caso, dalla bocciatura delle agenzie di rating fino al "rischio-default" del Paese.

Per questo Tremonti vuole la riforma fiscale, ci sta lavorando, ma al tempo stesso fa di tutto per sottrarsi alla logica suicida della propaganda pre-elettorale. Condivide la road map del presidente del Consiglio. Ma non vuole cedere dalla linea del rigore contabile, né allentare gli impegni assunti con l'Unione europea. Il 2009 dovrebbe chiudere con un deficit al 5,2% del Pil: un dato "per fortuna migliore delle previsioni", come ripete in questi giorni il ministro, ma pur sempre elevato. E tale da indurre alla massima prudenza nell'azionare la leva delle tasse. Quella fiscale è una riforma potenzialmente costosissima. Basti pensare che sul piano del gettito un accorpamento delle aliquote Irpef, in più o in meno, può valere fino a due punti di Prodotto interno lordo. E poi, a meno che non si adotti il modello improvviso della "flat tax", bisognerà comunque trovare il modo di garantire la progressività dell'imposta. E anche questo costa.

Dunque, sì a una Grande Riforma del fisco su base triennale, ma no ai micro-tagli d'imposta varati per decreto. Su questa impostazione, il ministro dell'Economia è pronto ad andare in Parlamento nei prossimi mesi, a cercare un terreno di confronto finalmente bipartisan con l'opposizione. Ne ha parlato con Bersani, e prima ancora anche con il presidente della Repubblica Napolitano, che non a caso nel suo messaggio di fine d'anno ha indicato la riforma fiscale come "priorità", ma inquadrandola in un "progetto d'insieme", che porti a semplificare il sistema e soprattutto ad alleggerire il carico fiscale, prima di tutto sulle famiglie e sul lavoro dipendente. È quello che, senza fretta e senza demagogia, ha in testa Tremonti: "La riforma fiscale è una partita di enorme rilievo politico, sociale, filosofico, culturale", dice. Questa volta non si può bluffare: il governo la deve giocare con serietà e responsabilità. In quindici anni, sul fisco, il Cavaliere ha seminato solo false promesse. "Meno tasse per tutti" fu uno dei cardini del famoso "contratto con gli italiani" del 2001. Una colossale fregatura, che non si può ripetere.

(10 gennaio 2010)

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