"Riproponiamo l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado nella riforma della giustizia che stiamo esaminando". Silvio Berlusconi apre così la sua conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri. Tornando, con veemenza, sulla questione giustizia. "Sulla legge per il processo breve ci sono state calunnie e menzogne. Questa legge si dovrebbe chiamare legge sul processo lungo, perché il processo resta il più lungo in Europa, ma almeno ci sono tempi certi" dice il Cavaliere. Che torna ad attaccare i giudici, dicendo che le "aggressioni giudiziarie sono peggiori" di quella da lui subìta in piazza Duomo a Milano. Affermazioni che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiosa così: "Le leggi pro-premier hanno un andamento ondivago e saltellante, ma non si decidono a sgombrare il campo". Dura anche la replica dell'Anm: "E' inaccettabile che la discussione sui temi delicati della giustizia debba continuare con questi toni in un clima di violenza verbale e di aggressione". Alta tensione, dunque. E a chi gli chiede del clima tra maggioranza e opposizione, Bersani replica secco: "Lasciamo al meteorologo Bonaiuti (uno dei fedelissimi di Berlusconi ndr) di segnalare alti e bassi del clima".
Giustizia e riforme. "Nella riforma della giustizia a cui stiamo lavorando - dice Berlusconi con il guardasigilli Angelino Alfano al fianco - vorrei assicurare che riproponiamo la inappellabilità delle sentenze di primo grado. Noi riteniamo che dobbiamo ancora insistere affinché un cittadino accusato di aver commesso un reato e giudicato innocente da un tribunale della Repubblica non debba più essere richiamato in appello con un processo di Cassazione. Perché i pm lo fanno sempre di ricorrere in Appello anche soltanto per il puntiglio di far vedere che il loro teorema accusatorio era valido, o magari per una antipatia personale o per un pregiudizio politico. Per il cittadino invece è la tragedia, sia per lui che per i suoi cari".
Stop al dl. Le parole di Berlusconi sono arrivate poche ore dopo l'annuncio dello stop al decreto blocca processi all'esame del Consiglio dei ministri. A comunicarlo ufficialmente è il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiegando che i ragionamenti fatti ieri sono stati subito accantonati in quanto ''la sentenza della Corte costituzionale è immediatamente applicativa''. Stando alle indiscrezioni il ragionamento svolto da Berlusconi, nel corso del consiglio dei ministri, sarebbe stato questo: il decreto legge non serve perchè i giudici sono già tenuti ad applicare la sentenza della Corte Costituzionale. Soddisfatta l'opposizione che, per bocca del presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro spiega: "Io penso che il governo alla fine non abbia presentato il decreto cosiddetto 'blocca processì' perchè le esigenze per far valere la costituzionalità del testo non erano sufficienti a garantire il premier. Ovviamente io penso male, ma ogni tanto ci si prende a pensar male".
Commissione, l'opposizione se ne va. Dopo gli scontri di ieri in Aula il disegno di legge sul processo breve è tornato in commissione Giustizia del Senato per esaminare le modifiche proposte dalla maggioranza, introdotte dagli emendamenti presentati per l'Aula dal relatore, Giuseppe Valentino. Ma, quasi immediatamente, i parlamentari dell'opposizione hanno abbandonato la riunione. "Utilizzando un precedente del Senato sul lodo Schifani - spiega Felice Casson, vicecapogruppo del Pd al senato - abbiamo chiesto la discussione e la votazione sugli emendamenti valentino e sui nostri. La maggioranza ha votato contro questa richiesta e quindi solo per un illustrazione degli emendamenti: non ha senso, non c'era nessuna possibilità per un confronto". Adesso il provvedimento ritornerà in Aula che esprimerà il voto "non oltre mercoledì della settimana prossima".
Il decreto blocca-processi resta comunque sul tavolo di Berlusconi che anche stamane aveva incontrato a Palazzo Grazioli il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il consigliere giuridico Niccolò Ghedini. La questione ancora aperta sarebbe la durata della sospensione dei processi in corso in primo grado così da consentire all'imputato, nell'ipotesi di contestazioni suppletive in dibattimento relative a circostanze che già emergono dal fascicolo del pm, di ricorrere al rito abbreviato.
I novanta giorni di sospensione, prospettati in origine nella bozza di testo sottoposta al Quirinale dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, sarebbero scesi ieri a una durata inferiore, dopo un lavorio di mediazione che ha visto impegnato anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini. La decisione di non fare un decreto sembra indicare, tuttavia, che una intesa sulla durata della sospensione non sarebbe stata trovata. L'ipotesi di uno 'stop' di 45 giorni prospettata nei colloqui con il Colle potrebbe essere stata considerata insufficiente dai 'tecnici' di Berlusconi che avrebbero preferito, a questo punto, una sospensione di 60 giorni, utile anche in vista dell'imminente campagna elettorale. Per effetto del decreto, infatti, i due processi a carico del premier (Mills e Mediaset) sarebbero sospesi.
Le reazioni. "Le affermazioni di Berlusconi - dice Antonio Di Pietro - contrastano con il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, violando palesemente la Costituzione. Come è possibile, in uno stato di diritto, che rispetto alle sentenze di primo grado non venga data la possibilità di un secondo controllo di merito, per verificare se le stesse siano giuste o sbagliate. E per quale ragione al mondo quelle di primo grado, se sono di condanna, possono essere sbagliate e, se di assoluzione, invece non sono mai sbagliate?".
"Già è di un certo significato che sul processo breve oggi si sia tornati in commissione, dopo la giornata di ieri in cui l'opposizione si è mostrata compatta e unita. Ora siamo in attesa delle prossime norme, sulla base del nostro principio generale di sempre: riforme di sistema sì, leggi per una persona no. Su questo siamo lineari e fermi" dice Bersani.
No dell'Anm. "E' inaccettabile che la discussione sui temi delicati della giustizia debba continuare con questi toni in un clima di violenza verbale e di aggressione", dichiarano il presidente e il segretario dell'Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini, dopo le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi. "Ancora una volta - sottolineano i vertici del sindacato delle toghe - assistiamo a gravi insulti rivolti dal capo del governo nei confronti dell'istituzione giudiziaria la cui legittima e doverosa attività viene oggi paragonata a comportamenti illeciti e violenti".
(13 gennaio 2010)
3 commenti:
L'A.N.M. continua a parlare con voce fioca. Verrebbe fatto di chiedersi come mai, io me lo sono chiesto e la risposta che mi sono dato non mi è piaciuta, perchè attinge ai più alti vertici delle istituzioni e ad una scarsa cultura della legalità.
Sorprende che la consapevolezza di starsi suicidando non inneschi nessuna reazione forte, quasi come fossero i magistrati vittime di un 'cupio dissolvi', di un desiderio di soccombere.
Il grande problema italiano è SB., quest'uomo ha iniziato dal 1994 a fare tanto di quel baccano che ormai ha stonato tutti.
Sedici anni di contrasto a questa gran cagnara umana che è un singolo, alla lunga ha sfiancato anche il più calmo dei Salomone, viene la voglia di dire "ma prenditi quello che vuoi e vattene all'inferno! L'importante che non Ti si senta più!"
Magari lo facesse! Svegliarci un bel mettino e apprendere che se n'è andato su un atollo oceanico per un meritato relax a vita tanto ha stressato persino se stesso!
S.B. è diventato un problema macroscopico per le istituzioni repubblicane e per la tenuta della democrazia in Italia, che è a grave rischio, non perchè egli è, come ci si fa credere ed egli stesso dice, facendo finta di scherzare, "INVINCIBILE".
A quest'ora egli sarebbe un altro latitante se la legge che dichiarava la ineleggibilità di chi ha non una ma tre televisioni (La presenza di una causa di ineleggibilità, essendo una causa ostativa alla presentazione della candidatura, se accertata, ha l'effetto di invalidare l'elezione)
fosse stata fatta valere e se quando nel 1996 governava il centro-sinistra con un governo parlamentare guidato da Massimo D'Alema avesse fatto una seria legge sul "conflitto d'interessi" (un politico con una posizione di rilievo o d'influenza che utilizzi questi suoi poteri per spingere il legislatore ad approvare l'abrogazione o la modifica d'una legge che lo imputa di un qualche reato o che lo coinvolga in qualche modo).
La reponsabilità morale e politica va attribuita sia a D'Alema che al governo di centro-sinistra.
Oggi la situazione mi pare irrimedibilmente compromessa.
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