Per l'omicidio del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, era stata utilizzata “manovalanza” proveniente da Roma, da gruppi terroristici. E per il delitto di Michele Reina, segretario Dc di Palermo, era stata messa in atto una “tragedia” da parte di Totò Riina. Sono le verità raccontate da Massimo Ciancimino ai pm di Palermo e contenute nei verbali depositati al processo contro il prefetto Mario Mori e il colonnello dell'Arma Mauro Obinu, accusati di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano.
L'omicidio Mattarella. Ciancimino jr racconta dei rapporti del padre, Don Vito, con i servizi segreti e delle occasioni di contatto. Una di queste è stata l'omicidio di Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980. “Voleva spiegazioni visto l’anomalia, mio padre diceva, dell’esecuzione dell’on. Mattarella” racconta Ciancimino jr. Qual'era l'anomalia? “Che si erano serviti di manovalanza romana legata alle, non so, ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo che colore era”. Una notizia che non gli arrivava direttamente da Cosa nostra ma che sarebbe stata confermata a Don Vito dal suo contatto con i servizi segreti, il famigerato Franco o Carlo di cui parla spesso Massimo Ciancimino.
“Mio padre non si giustificava, certamente non poteva trovare giustificazione nell’assenza di manovalanza, non capiva e chiese spiegazione al Provenzano come mai in occasione di un eccidio così feroce, così eclatante, non si adoperava la prudenza anche di lasciare tutto in un territorio stagno”. Ma Provenzano non avrebbe mai risposto, ribadendo solo che si trattava di “uno scambio di favori”.
Il delitto Reina. Ciancimino jr riapre un altro capitolo, quello dell'eliminazione del segretario palermitano della Dc Michele Reina, avvenuto il 9 marzo 1979. “Mio padre mi ricordo che una volta rimase scioccato quando gli fu detto che l’omicidio Reina era stato fatto per fare un favore a lui”. Anatomia di una “tragedia”, dietro la quale ci sarebbe stato Totò Riina. Il politico, infatti, sarebbe stato inviso al capo dei capi e la sua eliminazione sarebbe stata compiuta “per dare spazio a mio padre perché dice che si doveva venire a formare una corrente tra Michele Reina, Nicoletti, di aggancio con la sinistra” dice Ciancimino jr che, però, riporta la lettura che suo padre fece della vicenda.
Il delitto Reina. Ciancimino jr riapre un altro capitolo, quello dell'eliminazione del segretario palermitano della Dc Michele Reina, avvenuto il 9 marzo 1979. “Mio padre mi ricordo che una volta rimase scioccato quando gli fu detto che l’omicidio Reina era stato fatto per fare un favore a lui”. Anatomia di una “tragedia”, dietro la quale ci sarebbe stato Totò Riina. Il politico, infatti, sarebbe stato inviso al capo dei capi e la sua eliminazione sarebbe stata compiuta “per dare spazio a mio padre perché dice che si doveva venire a formare una corrente tra Michele Reina, Nicoletti, di aggancio con la sinistra” dice Ciancimino jr che, però, riporta la lettura che suo padre fece della vicenda.
“Diceva sempre mio padre che Michele Reina era il cavallo di punta della corrente di Lima, che se non si fosse fatto l’omicidio Reina, Mario D’Acquisto non avrebbe avuto tutto lo spazio che aveva perché il cavallo per cui aveva sempre puntato Lima per la prossima candidatura a deputato o a presidente della Regione era Michele Reina, tolto di mezzo Michele Reina si poteva puntare sull’enfant prodige di Mario D’Acquisto che stava bene al Riina come stava bene al Provenzano (…) secondo me - dice Ciancimino citando il padre - era stata fatta una storia interna perché non lo governavano più”.
Il covo di Riina. “Mi hanno scavalcato ma stanno facendo tutto quello che avevo detto io”. Così Vito Ciancimino, parlando col figlio Massimo, racconta la seconda parte della trattativa, quella della consegna di Totò Riina. “Con mio papà commentammo questo che alla fine si era giunti alla cattura di Riina, ma sempre rispettando gli accordi che erano iniziali di mio padre”. E negli accordi la garanzia che il covo di Riina non dovesse essere toccato. “Il Riina era solito vantarsi di tutta una serie di documentazione, di tutta una serie di atti che conservava, perché se nel momento in cui a lui un domani lo avessero dovuto arrestare crollava l’Italia, (…) una delle cose che bisognava fare se si arrestava Riina, è diciamo mettere al sicuro tutto”. Ma Don Vito si spinge oltre: “Mio padre diceva: siccome è pericoloso ed è pure un millantatore, è capace che si scrive le cose da solo, per cui (...) nessuno deve venire in possesso di questo materiale”.
Il covo di Riina. “Mi hanno scavalcato ma stanno facendo tutto quello che avevo detto io”. Così Vito Ciancimino, parlando col figlio Massimo, racconta la seconda parte della trattativa, quella della consegna di Totò Riina. “Con mio papà commentammo questo che alla fine si era giunti alla cattura di Riina, ma sempre rispettando gli accordi che erano iniziali di mio padre”. E negli accordi la garanzia che il covo di Riina non dovesse essere toccato. “Il Riina era solito vantarsi di tutta una serie di documentazione, di tutta una serie di atti che conservava, perché se nel momento in cui a lui un domani lo avessero dovuto arrestare crollava l’Italia, (…) una delle cose che bisognava fare se si arrestava Riina, è diciamo mettere al sicuro tutto”. Ma Don Vito si spinge oltre: “Mio padre diceva: siccome è pericoloso ed è pure un millantatore, è capace che si scrive le cose da solo, per cui (...) nessuno deve venire in possesso di questo materiale”.
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