venerdì 8 gennaio 2010

La roulette dei fondi pensione


di Beppe Scienza*


La verità dà fastidio a chi prospera sull’inganno. Non stupiscono quindi le reazioni a un recente servizio sulla previdenza integrativa, realizzato in maniera magistrale da Piero Riccardi e trasmesso da RaiTre nella puntata di “Report” del 15 novembre 2009. Venivano fuori infatti le perdite anche per soluzioni gabellate per sicure, la generale assenza di trasparenza e gli endemici conflitti d’interessi, tipici del settore. Non avendo però elementi per confutare pubblicamente quasi nessuna delle affermazioni dell’autore o degli intervistati (fra cui il sottoscritto), molti fondi pensione tentano di smontarle con volantini, circolari ed e-mail inviate ai loro aderenti e ai lavoratori. In loro aiuto sono poi accorsi quei sindacati, quasi tutti, che traggono vantaggi dalla previdenza complementare. Non sarà quindi inutile smontare le principali falsità che diffondono. Sono soprattutto due i tasti su cui costoro battono: i vantaggi fiscali e il contributo del datore di lavoro. È ciò che fa per esempio un volantino del sindacato dei metalmeccanici Fim-Cisl. Peccato che siano due tasti stonati, perché i conteggi che diffondono sono fuorvianti quando non taroccati di sana pianta.
VANTAGGI FISCALI? Viene sempre sbandierato il confronto fra la tassazione del tfr che parte dal 23 per cento e quella prevista per la previdenza integrativa compresa invece fra il 15 per cento e il 9 per cento. Quindi apparentemente il divario è forte. Peccato che si restringa paurosamente facendo i conti giusti. Invece molti fanno i furbi. Il fondo Solidarietà Veneto a gennaio 2009 voleva addirittura convincere i lavoratori che era convenuta l’adesione persino per un comparto con perdite sul 9 per cento. Il fondo Eurofer gioca poi sull’esempio di una permanenza nel fondo di un solo anno o poco più. Certo che così sarebbe determinante il vantaggio fiscale. Ma chi mai può uscire dalla previdenza integrativa dopo dodici mesi? La legge tiene ingabbiati quasi tutti per parecchi anni se non lustri. Bisogna quindi determinare l’incidenza concreta dello “sconto” generosamente concesso dal fisco su base annua. Si scopre così che per un lavoratore giovane essa si riduce a uno 0,60 per cento. Quindi è totalmente divorato già dai soli costi espliciti. Per non parlare di quelli occulti. Per giunta già in passato il trattamento fiscale della previdenza integrativa venne peggiorato in maniera retroattiva. Conclusione: lo sconto fiscale è solo uno specchietto per allodole, salvo tutt’al più per chi è vicinissimo alla pensione e ha redditi molto alti.
RICATTO SALARIALE. L’altro atout delle reti di vendita sindacali è il contributo del datore di lavoro. Vari contratti di lavoro prevedono meno soldi per chi non aderisce a un fondo pensione negoziale. Il datore di lavoro trattiene infatti per sé un 1-2 per cento dello stipendio che corrisponde invece agli aderenti al fondo. Sorvoliamo sullo scandalo di avere buttato alle ortiche una conquista ottenuta dai lavoratori con decenni di lotte. Ovvero il principio “stesso lavoro, stessa paga”. Tutto ciò non significa che un fondo pensione renda più del tfr, ma solo che il trattamento retributivo complessivo è più alto per chi obbedisce al diktat della previdenza integrativa. Però il contributo del datore di lavoro non è soltanto un piccolo ricatto dei sindacati: “Non aderisci al nostro fondo? Allora otterrai meno soldi”. Può anche trasformarsi in una polpetta avvelenata. Alla fine ci si potrà infatti trovare in perdita malgrado il contributo datoriale. Basta incappare in un periodo di rendimenti inferiori alle rivalutazioni del tfr o anche in un unico anno particolarmente disastroso.
Potremmo aggiungere molto altro, perché i documenti propagandistici della previdenza integrativa ne riportano di cotte e di crude. Vedi il Fondo Gommaplastica che il 10-10-2008, a fronte delle quote pesantemente in perdita, scriveva che così “vi è la possibilità di comperare, a parità di versamento, un maggiore numero di quote del Fondo”. Il che è ridicolo. Allora tanto vale dividere la quota per mille e così un lavoratore anziché sottoscriverne 30 ne sottoscrive trentamila. Una goduria!
L’IMBROGLIO. Ma l’argomentazione apparentemente più forte a favore della previdenza integrativa è un’altra, ripetuta all’unisono da più parti. Afferma per esempio Gianfranco Vezzaro, presidente del Fondo pensione del personale Bnl, in una lettera a Milena Gabanelli del 18-11-2009 che “senza la previdenza complementare il futuro trattamento pensionistico sarà assolutamente inadeguato”. Insomma, aderire ai fondi pensione e trasferirvi il tfr sarebbe indispensabile per sopperire al minor reddito futuro. Niente di più falso e nessuna migliore conferma di ciò che ripeteva il dottor Joseph Goebbels, ovvero che “basta ripetere abbastanza spesso una menzogna, perché venga ritenuta una verità”. Infatti la propria pensione si potrà integrare anche tenendosi il tfr, senza aderire a nessun fondo pensione, piano individuale previdenziale (pip) o roba simile. Basterà convertirlo in una rendita vitalizia. Anzi, tenersi il tfr è la soluzione più sicura grazie al suo aggancio all’inflazione. Infatti la scienza economica insegna proprio il contrario di quello che raccontano in Italia gestori, sindacalisti o docenti universitari e ripetono come pappagalli schiere di giornalisti economici. Si veda per esempio il libro di Zvi Bodie e Ian Sykes “Worry-Free Investing” (Prentice Hall, 2008) che indica fra investimenti consigliabili a fini previdenziali proprio i titoli legati all’inflazione. Non le azioni, tanto esaltate dall’industria della previdenza integrativa italiana. Infatti al casinò si può anche vincere, ma è meglio non puntarvi tutti i propri risparmi. Analogamente è imprudente giocarsi la pensione, e anche quella integrativa, alla roulette dei mercati finanziari. Ed è irresponsabile consigliarlo ai lavoratori, come fanno quasi tutti i sindacati italiani.

*Università di Torino - Dipartimento di Matematica

1 commento:

Unknown ha detto...

Non ho visto la trasmissione, ma occupandomi professionalmente di previdenza integrativa e complementare, posto alcune osservazioni:
a) i fondi citati, alcuni rispetto ad un universo ben più ampio, sono solo di natura negoziale.
b) gestiscono circa la metà delle posizioni previdenziali attive.
c) sono distribuiti in modo "diretto".

I fondi negoziali o chiusi sono in realtà 42.
A questi si aggiungono 391 fondi pensione, preesistenti alla riforma, ed in genere aziendali.

I fondi aperti sono invece 79, mentre i pip -piani individuali pensionistici- sono 75.

La somma fa: 587

Per uscire dall'appiattimento della realtà che le generalizzazioni determinano, è lecito aspettarsi gestioni eccellenti (poche e quali?), pessime gestioni (poche e quali?) ed una netta maggioranza di gestioni "accettabili".

Inoltre, è tutt'altro che raro il caso di un lavoratore che abbia più posizioni previdenziali, con gestori diversi, e/o linee di investimenti diversificate.

Com'è dunque possibile sostenere che i "lavoratori" abbiano perso o guadagnato il 20%...se, tra le altre cose, il fondo pensione inizierà ad erogare le prestazioni alla data della quiescenza e non oggi?


Riccardo Foti