venerdì 15 gennaio 2010

Pd, leadership a rischio elezioni


di Gianfranco Pasquino


Si approssima un importante test, non soltanto elettorale (vincere e perdere nelle regioni in ballo), ma anche politico (indebolire Berlusconi o scoprirlo rafforzato), e il Partito democratico ci arriva con l’acqua alla gola e con qualche interrogativo sulla sua leadership. Bersani è diventato segretario attraverso le cosiddette primarie, in verità una pasticciata forma di elezione diretta. Posto di fronte alla possibilità di demandare correttamente e utilmente a elezioni primarie la scelta dei candidati alla presidenza delle regioni se ne esce con affermazioni assolutamente sconfortanti e con operazioni ancora più deprimenti. Da un lato, afferma (“Corriere della Sera”, 12 gennaio) che: “Le primarie non sono un vincolo, ma un’opportunità“, facendo carta straccia dello Statuto (art. 12 comma 4) che le considera uno strumento naturale per la scelta delle candidature a cariche elettive, sostanzialmente affossandole con imprevedibili conseguenze future. Gravissimo. Anzi, dimostra di non capire nulla di primarie e delle loro molteplici funzioni, aggiungendo che “il partito non è un notaio che stila soltanto il regolamento delle primarie” (stessa fonte). Certo che no: il partito le organizza, le fa svolgere correttamente, le utilizza a fini di comunicazione politica e di partecipazione dell’elettorato. Ne ottiene slancio, forza, sostegno, persino una spinta alla vittoria, e dimostra di essere nei fatti e nella prassi, e non soltanto nel nome, “democratico. Dall’altro, pur di evitare le primarie, Bersani o chi per lui riesuma la vecchia e decrepita politica, democristiana, della Prima Repubblica, lasciando che facciano la loro comparsa gli “esploratori”, quasi i candidati incaricati. Orrore.
In Puglia, rimbalza sulla scena politica come esploratore addirittura un diretto interessato che era già stato battuto da Nichi Vendola (senza che venga espresso un giudizio, meritato e probabilmente meritorio, sull’opera di Vendola), poi premiato con il seggio in Parlamento. In Emilia-Romagna si è andati a una deroga alla regola del secondo mandato per consentire la ricandidatura di Errani, creando un precedente al quale si aggrappa, inevitabilmente anche Maria Rita Lorenzetti in Umbria dove il duello vede l’insuperabile contrapposizione fra le truppe veltroniane e quelle dalemiane. Sembra che dietro tutto questo trambusto, ci sia qualcuno che come affermano, preoccupati e irritati i bersaniani, voglia riaprire un Congresso di partito che, in realtà, non si è mai tenuto. Sarebbe il caso. In Sicilia si è andati a un avventuroso e allegro accordo con il noto riformista Lombardo, dandogli l’appoggio esterno (secondo hurrà per la Prima Repubblica), in attesa di una partecipazione organica alla giunta che, naturalmente, promette frutti copiosi per qualche mese (e sonora sconfitta alle prossime politiche). Il fatto è che Bersani non è in controllo del suo partito, che il Partito democratico è organizzato in fazioni, non credo che sia il caso di ricorrere ad eufemismi, che non esistendo nessuna sede decisionale nella quale definire la strategia da seguire, contano i liderismi locali che si accodano a due o tre dirigenti nazionali, da quasi vent’anni sostanzialmente gli stessi. In definitiva, le elezioni regionali potrebbero anche diventare un utilissimo test politico se qualcuno, magari il segretario stesso, dicesse che vuole sperimentare, regione per regione, l’alleanza con l’Udc oppure vuole tentare di recuperare un rapporto con le sparse membra della sinistra, e a quali condizioni. Invece, nulla di tutto questo è stato detto, se non da D’Alema, che ha decisamente messo la barra diritta sul centro, più incattivito dalla volontà di resistenza di Vendola che affascinato da Casini. Visto che è continuamente alla ricerca di qualche carica dovrebbe essere lui il candidato alla presidenza della regione Puglia. Nonostante sia stato lo sponsor principale di Bersani, è D’Alema che crea i maggiori (agli altri ci pensano Veltroni e Franceschini) problemi nella gestione del partito. Ciò che emerge è che Bersani non appare in grado di guidare il partito e che, in definitiva, le elezioni regionali costituiranno una pericolosissima verifica delle sue capacità di leadership.

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