Eboli terra antica e nobile è posta ai piedi di una montagna e si rispecchia nella sua vastissima pianura. Il suo territorio, fino al 1929, si estendeva per oltre quaranta miglia adagiandosi come l’antica Mesopotania tra due fiumi, il Sele ed il Tusciano, che lo delimitavano fino al mare Tirreno.
La città di Eboli, dal suolo fertile e dal clima dolce e temperato, in tempi remoti di volta in volta è stata chiamata Eburi, Eburum, Ebulum, Ebolus o Evoli.
“….Est prope dulce solum, nobis satis utile sempre
Ebolus, aspirans quod petit urbis honor. ….”
“….Vi è presso il dolce suolo, a noi sempre abbastanza utile,
Eboli che aspira a quello che richiede l’onore della città. ….”
Dolce suolo cosi è declamata da Pietro da Eboli nella sua opera: Liber ad Honorem Augusti…, nella Particola XV, dal v. 404 al v. 405 dedicata all’Imperatore di Germania Enrico VI di Svevia.
Antica: perché la sua origine si perde nella notte dei tempi. Ne è testimonianza il ritrovamento di resti umani in quattro fosse tutte del tipo a forno, caratteristico della cultura del Gaudo, scavate nel 1968 nella località Madonna della Catena dal prof. Bruno d’Agostino. I reperti ossei furono datati, studiati dagli archeologi prof. Gianni Bailo Modesti (“Eboli, Necropoli Eneolitica”, 1969-70), e dai proff. Cleto Corrain, Mariantonia Capitanio e Gabriella Erpamer (I resti scheletrici della necropoli Eneolitica di “Madonna della catena” Eboli, estratto dagli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti anno acc. 1972-73, Tomo CXXXI). Le sepolture contenevano frammenti di vasi, brocche, orci, punte di frecce e pugnali tutti dell’età del rame. L’analisi degli scheletri delle quattro tombe rivelò la presenza in esse di almeno centotre individui: ottantacinque in età adulta (quarantasei maschi e trentanove femmine) e diciotto in età giovanile e questo conferma che già nell’età del rame in prossimità delle tombe il sito fosse abitato da un numero ragguardevole di persone.
Nobile: lo sostiene Virgilio, difatti nell’Eneide al lib. I verso 551 dice:
“….Terra antiqua, potens armis atque ubere glebae,….”
“….Terra antica, d’armi potente e feconda di zolla,….”
Il suolo ebolitano per l’ubertosità e la ricchezza donatole da una natura benevole è stato abitato da antiche popolazioni a cominciare dai Pelasgi, dagli Osci, dai Lucani, dagli Etruschi dai Greci e dai Romani. Infatti, in località Montedoro fino al secolo scorso si potevano ammirare costruzioni poligonali regolari e massi, detti pelasgici o ciclopici, che con la loro presenza confermano l’ubicazione dell’antica Eburum, già esistente prima dell’arrivo dei Lucani alla destra del Sele.
Il nome viene modificato in Ebulum da Tolomeo come ci fa sapere Leandro Alberti nella sua descrizione: “L’Italia nei Picentini”, di Eburum ne parla Plinio nella sua monumentale opera Historia Naturale nel V. capitolo del libro II, come città abitata dal popolo degli Eburini: “Lucanorum autem Atenates, Bantini, Eburini…”. In epoca romana la stele, trovata incassata nel campanile di Santa Maria d’Intra nel XVII secolo, reca l’incisione che il popolo Eburino si governava con proprie leggi essendo Municipio Romano con a capo Tito Flavio Silvano della prestigiosa famiglia Flavia.
La scritta sulla stele venne definitivamente decifrata dal celebre storico tedesco Teodoro Mammusen che risolse il dilemma delle sillabe e delle parole che mancavano studiando la pietra sul posto.
Sulla lapide si legge:
L. D. D. D.
T. FL. T. F. FAB. SILVANO. PATR. MVN.
EBVR. II. VIR. II. QQ. QVEST. ARK. CVR.
REI. FRVMENT. HVIC. COLL. DEND
ROPHORR. OB. EXIMIAM. ERGA.
SE. BENIVOLENTIAM. ET. SPEM. PER
PETVAM. STATVAM. DIGNISSIMO.
PATRONO. POSVERVNT. CIVIS. STA
TVAE. HONORE. CONTENTVS. OB
TVLIT. COLL. SS. HS. VIII. M. N. VT. QVOTANNIS.
NATALI. EIVS. DIE. III. IDVVM. DECEMBR.
CON. FREQVENTENT. (EIVS) STATVAE. DE
DICATIONEM. CON. (II. VIR. I. D. SING.) HS. XX. N.
QQ. II. VIR. AEDILIC. S(ING. HS. XX. N.) ET. CETE.
RIS. CON. DEC. SING. HS: (XV. N. VI. VIR)IS. AVGVS
TALIB. HS. XII. N: COLL. DENDROPHORR. ET.
FAB. SING. HS. MILLE. N. ET. EPVLVM.
PLEBEIS. SING. HS. XII. N. ET. VISCERATIONEM.
DEDICATA. IV. KAL. APRIL.
….. MARC. STLACCIO. V. A.
….. STEIAN. (1)
Traduzione:
A Tito Flavio Silvano, figlio di Tito della tribù Fabia, Patrono del Municipio degli Eburini, Duunviro, e indi per la seconda volta Quinquennale Questore della pubblica Cassa, e Curatore dell’Annona. A costui il Collegio dei Dendrofori, per la grande benevolenza e perpetua speranza verso di sé, eresse una statua qual degnissimo Patrono. Egli, contento dell’onore fattogli, offrì al Collegio suddetto ottomila sesterzi. Affinché poi, ogni anno ai tre degli Idi di dicembre, giorno di sua nascita, in radunanza, si celebrasse la dedicazione della di lui statua, assegnò a ciascun Duumviro di Giustizia sesterzi venti, e altrettanti sesterzi a ciascuno dei Duumviri quinquennali con la potestà edilizia. Ed agli altri in tal guisa: assegnò a ciascuno dei Decurioni sesterzi quindici, ai Sestumviri Augustali sesterzi dodici, al Collegio dei Dendrofori e dei Fabri sesterzi mille ciascuno ed un banchetto. A ciascuno dei plebei sesterzi dodici ed una eviscerazione. Dedicata ai quattro delle Calende di Aprile, essendo Consoli Marco Stlaccio e Vezio Albino.
Ai tempi di Eburum i locali dell’Annona dove si conservava il grano erano situati nel rione Borgo, (chiamato a quei tempi borgo dei romani alle fornaci) il loro sito andava dalla chiesa dello Spirito Santo alla cappella di Santa Maria di Costantinopoli. Fino alla metà del XIX secolo si potevano ancora ammirare i locali adibiti a magazzini con le loro porte, furono demoliti nel 1870.
La statua di Tito Flavio Silvano fu eretta davanti all’edificio dei Dendrofori esattamente al posto della chiesa di Santa Maria ad Intra, infatti nel restauro della parrocchia avvenuto nel XIX secolo erano ancora visibili parti del porticato dell’entrata, mentre nel soffitto era visibile l’ossatura della volta costruita a mattoni alla maniera romana.
Non si conosce l’anno in cui la statua fu eretta, né la pietra indica una data. La stele appartiene all’epoca imperiale, perché l’uso della parola Curatore, nell’epigrafe riferita a Silvano, patrono del Municipio Eburino, si rapportava al Magistrato dei Municipi e delle Colonie che prima di tale epoca esisteva solo in Roma con titolo di Prefetto (carica creata quando il bisogno lo richiedeva); fu Cesare Augusto che istituì il Magistrato nelle Colonie e nei Municipi.
Gli studiosi hanno dato presumibilmente l’evento nel 183 d.C. sotto l’imperatore Commodo, quando Marco Stlaccio era Console. La stele era murata nel campanile della chiesa di Santa Maria ad Intra ed era di proprietà di quella parrocchia; venne acquistata dal Comune di Eboli nel 1903, per L. 450 dal Parroco Colasante con delibera comunale n. 4535 del 18 giugno 1903, venne tolta dalla base del campanile solo nell’anno 1918 e trasportata nell’ampio salone municipale dove rimase fino al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale il Municipio subì un gravissimo bombardamento, la stele rimasta integra venne trasportata nei locali della biblioteca Augelluzzi nella scuola elementare Vincenzo Giudice deve è rimasta fino all’apertura del Museo Archeologico.(2)
Eboli è menzionata nella cronaca d’Amalfi dove sta scritto che nell’anno 339 a.C.:
“Romani dimessa Melfi ad provinciam Principatus pervenerunt usque Ebolum prope Salernum,
Et quia similiter dictus locus Ebuli non erat tutus propter continua praelia, certamina, rapinas, violentias et tirannias quas, et quae committebantur per praefatos principes barbarorum in omnibus partibus Italiae, et inquietas urgebat, et quies non erat in aliqua parte ipsius, dubitantes praedicti Romani antedictam deliberaverunt quietudinem requirere, quae tunc temporis in Italiam non reperiebatur nisi in solitudine, in heremis, in asperrimis locis, et montaneis. Quidam ex eis has desiderantes evitare rapinas, et alii huc illuc discurrentes explarantes pervenerunt usque ad montaneam Camensem ubi nunc Scala dicitur.”(un cronista Amalfitano).
“Lasciata Melfi, i romani giunsero nella provincia del Principato fino a Eboli vicino a Salerno.
E poiché tale luogo di Eboli non era sicuro a causa di continui scontri, scaramucce, rapine, violenze e tirannie le quali erano messe in atto dai principi barbari in ogni parte d’Italia, e rendevano insicuri e non c’era pace in nessun luogo, preoccupati per questo, prima di tutto i romani decisero di cercare la tranquillità che in quel tempo non era possibile trovare se non vivendo in solitudine, da eremita, in luoghi irraggiungibili e fra i monti. Alcuni tra essi desiderosi di evitare rapine, ed altri esplorando di qua e di là giunsero fino alla località montana Camense che oggi è chiamata Scala.”
I Romani dimorarono molti anni ad Eboli, oggi le sole tracce romane restano il quartiere artigianale, dove si producevano ceramiche - III e II sec. a. C. -, alle spalle della chiesetta dei SS. Cosma e Damiano; la perimetrazione di una villa con parti di pavimento maiolicato in località Paterno, nella zona Fontanelle; le terme in località Spineta, ora comune di Battipaglia, venute alla luce nel 2007 e la già menzionata stele Eburina che in un completo anonimato si trova nel Museo Archeologico senza alcuna traduzione e spiegazione, dando al visitatore l’impressione di una pietra qualsiasi, invece è prova dell’importanza avuta da Eboli tanti secoli fa. I responsabili del museo e gli amministratori comunali che si sono avvicendati non hanno mai colmato questa lacuna culturale, nonostante i suggerimenti dati.
La ragione di così scarsi reperti dell’epoca romana è dovuta alla distruzione della città al passaggio dei Visigoti di Alarico nel 410 d.C. ed alle devastazioni che recarono le incursioni saracene del IX e X sec. d.C.
Si è avuto sempre difficoltà a precisare l’epoca della fondazione di Eboli, forse legata al mito eroico greco o alle prime immigrazioni dei Pelasgi nell’Italia meridionale, però la maggioranza degli studiosi convengono nell’assegnarle quell’antichità di cui possono fregiarsi poche città lambite dal mar Tirreno, Ionio ed Adriatico.
L’antica Eboli, sostengono alcuni storici, fu fondata da Obolo capitano generale dell’armata di Teseo, re di Atene, il quale, dopo aver patito tanti travagli per l’ira degli dei, sbarcato sul suolo italico si trovò sulle sponde di un fiume dove trovò la morte per annegamento il suo compagno di nome Silaro.
Obolo, ormai stanco di peregrinare per terre e mari, accortosi della bellezza del luogo e del clima mite, edificò una città imponendole il nome di Ebalo e chiamò Silaro, l’odierno Sele, il fiume, fino allora senza nome, in onore dell’amico morto. Così ebbe origine Eboli.
Un’altra leggenda vuole che la nostra città sia stata fondata da Ebalo, figlio della ninfa Sebetide e di Telone, re di Capri, di cui parla Virgilio nel 7° canto v. 734 dell’Eneide ove dice:
Oebale, quem generasse Telon Sebethide nympha
Fertur, Teleboum Capreas cum teneret,
Iam senior;…
Ebalo, che Telone generò dalla ninfa Sebetide,
quando, dicono, Capri, regno di Teleboi, governava
ormai Vecchio;…
Anche una poesia di autore ignoto recita:
Ebalo al Rè di Capri unico figlio,
Perché l’alto valor gli scalda il petto,
In alte imprese per natura eletto,
Novi Regni acquistar prende consiglio.
Così lasciando i Monti de l’Esiglio,
Et i Regni paterni al Rè già detto,
Vien tra Campani, e sassi à se soggetto
Quanto dal Sarno al Silare m’appiglio.
Deposte l’arme al fin, con pace lieta,
Trà Silare, e Tusciano in mezzo à punto,
Trà più bei campi non pasco Dameta.
Fa del suo nome una Città ch’aggiunto
Ha per scudo gli elementi e vieta
Ai popoli vicin di star congiunto.
Altri suppongono che alla nostra città sia stato imposto il nome greco Ebolos, che vuol dire buona gleba o buon boccone, perché circondata da terreno fertilissimo. Questa ipotesi è accolta da Enrico Bacco, scrittore viaggiatore ed erudito, che nel visitarla agli inizi del XVII sec. cosi la descrive nella sua opera Il Regno di Napoli diviso in dodici Provincie pp. 65 / 73 Napoli anno1620:
“Posta ai piedi di una collina, cinta al di sopra da dilettevoli colli, e fertili monti, e da tutti i lati ornata da vaghissime colline, valli, e piani abbondantissimi di vigne, d’oliveti, di lentischi, e d’odoriferi mirti, d’alloro e di edere, rose, gelsomini, e fiori di specie diverse e di altre piante simili, che rendano mirabile di soavità, i bellissimi giardini, d’aranci, cedri, e limoni soavissimi; di fontane con chiare, dolci, e fresche acque, di fruttiferi alberi, che ne fanno sembrare una perpetua primavera; la cui vista sommamente affascina chiunque vi soggiorna. Ha un territorio vastissimo e diviso da una parte verso l’Oriente dal fiume Sele che dista dalla città appena quattro miglia, e che divide la Campania dalla Lucania, detto da Virgilio nel 3° canto della Georgica, Silare: “Est Lucos Silare…”. Nell’antichità si raccontava che i legni ed altri oggetti che cadevano nelle sue acque rimanendoci dopo un po si pietrificavano, lo testimonia Plinio nel 2° lib. p. 103 in“Historia Naturalis”…. a quattro miglia come il Sele vi è il Tusciano, Eboli appena fuori le sue mura è bagnata dalle acque di un torrente che si chiama Telegro citato nelle Georgiche nel 3° Canto ove dice: “Sicci ripa Telegri,…”. In pianura nel suo vastissimo territorio abbondano grano, oli, vini e frutti di tutte le maniere, vi si trovano ombrosi boschi, e verdeggianti pascoli con molte acque per le greggi e armenti di capre, pecore, bufale, vacche, buoi e tanti altri animali. Per patrimonio possiede dodicimila ducati di entrata l’anno; questa terra nobile si glorifica perchè ha usato fin dalla sua edificazione nell’emblema delle sue armi i quattro elementi come distintivo, il suo motto è: “Arme stupende, e da pregiar non poco, la terra, l’acqua infine, l’aria, e ‘l foco.” Marino Freccia nel Libro De Subfendis, de provincijs, e civitatibus Regni dopo aver annoverato altre città parlando della magnificenza di Eboli verso la fine soggiunse: “…hae sunt in Regno civitates, secundum usum hodiernum à dominatione Episcoporum: Sunt etiam praeclara oppia, quae pontificiam dignitatem promerentur,ut in Lucania Ebulum, e in Apulia Barolum….”.
“…d’altra parte, secondo l’uso odierno, vi sono nel regno delle città sotto il dominio dei vescovi: ci sono anche famose fortezze in cui si estende l’autorità pontificia come Eboli in Lucania e Barletta in Puglia…”
Fra Filippo Ferraro Alessandrino nel Martirologio Romano a pag. 44 dice: Ebolum oppidum Picentinorum in Principatu citeriore, Salerno Proximata apud Silarum flumen inter regionis oppia da primaria non infimum, ac urbibus multis praeferendum. E benchè a Eboli non vi è sede vescovile vi è una onorata chiesa Madre, denominata Santa Maria della Pietà, colleggiata, istituita da papa Clemente VII con due dignità, la prima di “Primicerio” la seconda di “Cantore” con dodici canonici con i loro “Armucci” di seta paonazza che di continuo officiano sia per i cittadini, e sia per i forestieri. Aveva questa mobilissima Terra sotto di se trenta casali, o paghi i quali per calamità dei tempi sono ormai tutti scomparsi, vi erano cinque Monasteri di Monache che per la stessa ragione sono ridotti ad uno sotto il nome di Sant’Antonio abate. Ha sette Chiese Parrocchiali, vi sono sette Monasteri di Frati Cappuccini, Conventuali, dove si studia Teologia, Zoccolanti, Domenicani, Celestini, Paolotti di San Francesco da Paola, e di Montevergine che per bellezza stanno alla pari con i più belli delle principali città del Regno. Vi erano due Ospedali, l’uno chiamato Santa Maria, per i poveri sia cittadini che forestieri, l’altro detto San Giacomo della famiglia Fulgioni al servizio dei pellegrini che andavano a San Jacopo di Campostela in Galizia. Vi erano due monti di Pietà uno istituito da Dionora d’Alliegro nobile Ebolitana, l’altro da Maria Saravia nobile Spagnola. Eboli ha un monastero fondato da Roberto il Guiscardo nel 1156 sotto il Regno di Re Guglielmo col titolo di San Pietro Apostolo (ora San Pietro alli Marmi) in esso vi sono le ossa di San Berniero (pellegrino Spagnolo). Fuori Eboli nella piana nei pressi del Sele vi è la Chiesa di San Vito dove si dice riposasse il suo Santo Corpo insieme a quelli della nutrice Crescenza e del tutore Modesto.
Eboli custodiva nelle sue chiese altre sante reliquie e sempre Enrico Bacco ne dà notizia nel suo libro:
“…nella Chiesa di San Francesco dei Padri Conventuali dentro una carafa di vetro vi era il grasso di San Lorenzo Martire, che per tutto l’anno si manteneva duro liquefandosi, come olio color d’oro nella sua festività annuale, vi si conservava il dito di San Lorenzo, una mascella di San Leone Papa con i suoi guanti, e un osso di San Romano. Nella Chiesa di San Eustachio (San Biagio una delle sette parrocchie ora abbinata a San Nicola di Schola Greca) vi si conservavano due spine della santissima Corona di N.S. Gesù Cristo e il dito del Santo Vescovo. Nella Chiesa con annesso monastero di San Pietro a Maiella (ora non più esistente) si venerava il corpo del Beato Fra Benedetto Giuliani appartenente all’ordine dei Celestini di nobile casato ebolitano discendente della famosa famiglia romana Julia, che per la sua fama di santità e taumaturgo nel XVI° sec. fu trasferito nel monastero del suo ordine a Napoli dove le sue spoglie andarono arse per un incendio che distrusse quasi interamente quel sacro edificio.
Ad Eboli i Greci dopo la loro presenza in tempi antichi lì si ritrova una seconda volta a ridosso del medioevo con la presenza Bizantina dovuta alla fondazione della chiesa di San Nicola detta di Schola Graecae e di un quartiere ancora oggi chiamato “Magnagrecia”
Sul bollettino dell’Istituto Nazionale d’Archeologia dell’anno 1832 i corrispondenti sigg. Matta e Romano, nostri concittadini, pubblicano le scoperte fatte nell’antico sito di Eboli, sul Montedoro, in località Santa Tecchia: “Eboli dopo la sua distruzione avvenuta per mano di Alarico re dei Visigoti gli abitanti scampati a quell’eccidio la ricostruirono mantenendole l’antico nome continuando come sempre ad essere fedelissima di Roma e tenendo sotto di se i trenta villaggi o paghi disseminati a sé intorno, parte in collina e parte sulla vasta pianura nelle vicinanze del mare. Gli abitanti di questi villaggi per evitare i frequenti saccheggi pirateschi vennero a mancare a mano a mano andando ad abitare nell’antica Eburi che era ben fortificata con mura altissime e torri che ancora si potevano immaginare dalle tracce lasciate sul suolo. Dopo aver tracciato una pianta dell’antica Eburi con grande stupore scoprimmo che il suo antico castello era fatto tutto da sodi e grossi marmi messi uno sull’altro a meraviglia senza calce, come le sue antiche mura, era di struttura ellittica e comunicava con un tunnel sotterraneo col castello d’Eboli esistente sopra S. Sofia di proprietà del principe d’Angri”.
Inoltre, narrano di aver appreso da persone anziane che “quelle salde mura rimasero fino al 1640, quando furono di là tolte per lastricare la nuova città costruita mille metri più a valle. Negli scavi del sito da loro effettuati trovarono sepolcri Romani costruiti sopra fossa Greci, e sotto un cumulo di pietre trovarono un idolo di bronzo, alto circa mezzo palmo, rappresentante Ercole imberbe, coperto della pelle di leone nel momento di brandire la clava con la mano destra.
Gli abitanti dei paghi sparsi a macchia sul territorio per sentirsi al sicuro, alcuni si ritirarono entro le mura di Eboli altri si addentrarono all’interno nel montagnoso territorio alle loro spalle fondando altri nuclei abitativi. Questi villaggi pur scomparsi da molti secoli possiamo intuirne l’antica ubicazione per le tombe venute alla luce dagli svariati sepolcri sparsi a macchia nel territorio pedemontano e della pianura sottostante. Le sepolture tovate in svariate località sparse sul vasto territorio, forse portono il nome degli antichi paghi”.
I villaggi o “Paghi” portano i seguenti nomi: Arenosola, Albascende, Battipaglia, Fontaone, Cozzolino, Paradiso, Olive delle Corte, Paterno, Borgo, San Giovanni, Abadia San Pietro, Santa Sofia, Crispi, Boscariello, Filette, Madonna del Castello, Monteaureo, Madonna del Carmine, Fanfarone, o Ferrafavone, Pezza delle Monache, Pescara, San Mattia, Santa Cecilia, Serracapilli, Le Fiocche, Licignano, Vuccariello, Costa del Campo, Coda di Volpe, Tempone e Olibano.
Un documento dell’anno 869 parla per la prima volta dell’Eboli attuale: è il Codice Cavense da cui si apprendono i nomi dei componenti di una famiglia longobarda ebolitana: “Gariperga, è moglie d’Ermenardo servo di Palazzo, è figlia di Gariperto che fu anch’egli servo di Palazzo a Eboli, Gariperga passa al servizio di Landelaica moglie del principe salernitano Guaiferio insieme a quattro figli maschi e tre femmine”.
Nel 1047 fu conte ad Eboli Lamberto, figlio di Adalberto, che sposò Urania, figlia del conte Ademario, dalla quale ebbe quattro figli: Ebulo, Pietro, Adalberto e Landoario.
Dal 1070 al 1075 fu signore di Eboli Guglielmo d’Altavilla (normanno).
Fu signora d’Eboli dal 1082 al 1090 Emma de Ala, figlia di Gioffredo de Ala, moglie di Raone Tricanotte. Alla morte del marito Emma sposò in seconde nozze Gismondo dei Mulisi, armigero di Guglielmo I d’Altavilla, figlio di Tancredi, che per la fedeltà dimostrata concesse altre terre limitrofe ad Eboli.
Nel 1100 fu feudo di Roberto, normanno, marito di Mabilia che alla morte del marito nell’anno 1119 venne chiamata signora di Eboli.
Nel 1130 fu signore di Eboli Guglielmo, gli succede il figlio Nicola.
Nell’anno 1161 ne venne in possesso Enrico di Navarra, cognato del defunto re normanno Guglielmo I d’Altavilla e fratello della regina Margherita.
Nel 1167 fu signore di Eboli Nicola de Principato.
Guglielmo I d’Altavilla fece Eboli capitale di uno stato con confini che si estendevano nel cuore della Lucania antica comprendendo le terre di San Fele, Murolucano, Satriano, Brienza e Marsiconuovo.
Il passaggio del regno dai Normanni agli Svevi procurò altri benefici alla città per merito del nostro concittadino Pietro da Eboli, poeta alla corte d’Enrico VI, a cui dedicò un poema storico in versi elegiaci nel quale narra le guerre per la conquista del regno dall’anno 1189 al 1195. Con la salita al trono di Federico II, Eboli nel 1219 diventò città imperiale entrando a far parte del demanio dell’imperatore ed ebbe come premio per la fedeltà alla casa Sveva privilegi ed onori. Da un documento datato 11 gennaio 1239 si evince che Eboli apparteneva alla Regia Curia Imperiale. Alla morte di Federico II, avvenuta nel 1250, suo figlio Manfredi diede Eboli come feudo a Giordano Lancia figlio di Galvano.
Con gli Angioini, Eboli ritornò nuovamente sotto il Regio Demanio. Re Carlo I d’Angiò la diede a suo genero Roberto, conte di Fiandra con altre terre.
Nel 1270 passò in feudo a Filippo Tuzziaco.
Eboli fu eretta contea nel 1290 ed ebbe il prestigio di essere sede del generale Parlamento del Regno presieduto da Carlo Martello che durò cinque giorni dal 10 al 15 Settembre del 1290 e terminò con la stesura dei “Capitula et Statuta super vergimine regni”.
Nel 1306 re Carlo II d’Angiò nominò conte suo figlio Pietro detto “Tempesta”. Alla morte di re Carlo divenne re suo figlio primogenito Roberto, il quale infeudò suo fratello Filippo principe di Taranto come dalle Costituzioni del Regno nel lib. III di Bartolomeo di Capua:
“…de dotariis costituendis, muliera; dotarium,in rub et dum quondam bonae memoriae Dominus Petrus, natus clarae memoriae Domini Regis Caroli II. Comes Ebuli,…”
“…in merito ai costituendi beni dotali alle spose, nel presente e in avvenire per la buona memoria del Signore Pietro, designato conte di Eboli per volontà regia di Carlo II. …”.
Nel 1315 passò al Regio dominio sotto la regina Giovanna I.
Nel 1343 fu data al conte Roberto Cabanno, gran siniscalco del regno, come attesta il Summonte nell’Istoria di Napoli al lib. III p. 425 che il conte Roberto, imputato della morte del re Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I, fu giustiziato per aver partecipato all’assassinio commesso nella cospirazione del 1346 ed Eboli ritornò feudo della regina fino alla sua morte.
La “Storia Universale di Gianvillani Fiorentino” nel lib. 12 cap. 5° attesta: “…Eboli ritornato alla Corona Reale, la nuova Regina Giovanna II mandò a governare Eboli Francesco Mormile Cavaliere Napoletano”.
Nel 1419 nell’opera su citata il Summonte nel lib. IV p. 582 scrive: “…Eboli fu dato col Principato di Salerno in dominio ad Antonio Colonna nipote di papa Martino V° nell’anno 1427”. Nel 1431 per la rovinosa caduta in disgrazia della potente famiglia Colonna il feudatario dovette lasciare tutti i suoi averi al Regio Demanio.
Nel 1434 fu sindaco e procuratore della terra di Eboli Antonello de Buttalaporta, sotto questa reggenza viene commissionata ai maestri di fabbrica Giovanni di Serre e Stefano Paganetta di Eboli la costruzione di sedici torri intorno alle mura.
Nel 1435 la regina Giovanna II concesse ad Eboli il privilegio di avere una propria giurisdizione emanando il seguente proclama:
“….Joanna….significamus quod nos moti justis supplicationibus effusis pro parte universitatis et hominum terrae Ebuli, fidelium nostros dilectos, statuimus, ut habeant propriam jurisdictionem.
“…Regina Giovanna…dichiariamo che, sensibile alle suppliche espresse sia da parte dell’università che delle persone della terra di Eboli, nostri diletti fedeli, deliberiamo che abbiano giurisdizione propria.
Al tempo degli Aragonesi Eboli perse i suoi privilegi, la terra d’Eboli tornò feudo e re Alfonso ne fece signore Baldassarre della Ratta, conte di Caserta.
Nel 1467 gli successe il figlio Francesco, che non avendo figli, passò il feudo alla sorella Caterina, moglie di Cesare d’Aragona, figlio naturale di Re Ferrante I; ella, rimasta vedova, sposò (1509) Cesare Acquaviva, duca d’Atri. Nel 1522 il duca d’Atri vendette il feudo a Ferrante Sanseverino, principe di Salerno e Duca di Villaformosa, che a causa della congiura ordita dai Baroni del Regno ai danni del re Ferrante I nel castello di Teggiano, perdette tutti i suoi beni e, di conseguenza, Eboli ritornò di nuovo in possesso della corona. Filippo II, divenuto re, la cedette il 17 marzo del 1556 a Rodrigo Gomez de Sylva conte di Milito, portoghese, e suo Cameriere Maggiore che con la moglie Anna Mendoza y la Cerda si fecero chiamare principe e principessa di Eboli, duca e ducessa della città spagnola di Pastrana.
Passò nelle mani del genovese Niccolò Grimaldi, detto il Monarca, per la somma di 140.000 ducati, si diceva che ne venne in possesso con gli altri feudi perché creditore di grosse somme di denaro prestato al re Filippo II di Spagna per sovvenzionare le guerre. Enrico Bacco nella sua opera stampata a Napoli nel 1570 “Il Regno di Napoli Diviso in dodici Provincie” a pag. 71 rigo17 dice:
“…onde Duca d’Eboli oggi è un suo nipote anco nominato Nicolò, signore di bellissimo aspetto, e di gran valore. In detta terra prima risedeva la Regia Audienza, e precedeva dopo Salerno à tutta la Provincia, si come fù al tempo del marchese di Pescara, che in nome della Maestà del Re Filippo II prese il possesso del Regno di Napoli, per la rifiuta dell’Imperatore Carlo V suo padre nell’anno 1554 quando le diede per moglie Maria Regina d’Inghilterra, e se le giurò fedeltà dai Sindaci delle Città, e Terre del Regno, e avendo giurato in mano del Presidente della Provincia di Principato Citra primieramente il Sindaco di Salerno, dopo il quale seguì il Sindaco d’Eboli Gio Battista Favale, fratello del più famoso Capitan Sebastiano Favale, gentiluomo di valore, che fù Capitano dei 300 soldati archibugieri della guardia di papa Paolo V Carafa, da cui esso Capitano Sebastiano era amatissimo e favorito”.
Alla morte di Nicolò Grimaldi (1591), ricordato come un tiranno, fu feudatario suo figlio Agostino al quale succedette come reggente e signora della terra di Eboli sua moglie Isabella della Tolfa, fino alla maggiore età del figlio Nicola Grimaldi, il quale nel 1606 già risulta signore di Eboli; alla sua morte il feudo venne fatto apprezzare dal tavolario de Marino e valutato in 149.000 ducati. Il feudo venne acquistato da un’altra potente famiglia genovese: i Doria di Angri, e Nicola Doria lo detenne dal 1640 al 1685, poi passò al figlio Marcantonio e fu proprietà della famiglia fino al 1820, con la signora e duchessa Donna Cecilia Colonna Doria, principessa di Stigliano.
Eboli, ha dato i natali a tanti uomini illustri: pittori, architetti, poeti, scrittori, umanisti, storici, giuristi, missionari, vescovi e abati come: Pietro da Eboli, poeta alla corte sveva. Marino da Eboli, (capitano generale di Federico II). Fra Roberto Novella, cappuccino, teologo e predicatore eccellentissimo, schiavo dei turchi a Tripoli, eroico condottiero sugli spalti di castel S. Elmo a Malta nel 1565. Fra Agostino de Cupiti, poeta, teologo e oratore. Givanni Antonio Clario, poeta e umanista del XVI sec. traduttore e correttore di testi letterari, Agostino e Prospero Carovita, giuristi, Tommaso da Eboli, abate, srittore, Orazio Mirto, vescovo, Cherubino, vescovo, Cirillo Fulgione, giurista, Bernardo Silvano, cartografo e umanista. Sebastiano Favale, capitano delle guardie del Papa Paolo V., Camillo Favale, scrittore, Fra Antonio da Eboli, beato, Benedetto Giuliani, monaco celestino beato, Antonio Romano, beato, Matteo Ripa, servo di Dio missionario in Cina e fondatore dell’Orientale di Napoli, Mattia Ripa, vescovo. Fra Gherardo degli Angioli, paolotto poeta e oratore, Lodovico Lodovici, vescovo, e generale delle truppe del cardinale Ruffo, Francesco la Francesca, procuratore generale del Regno e genero del gen. Avezzana, Guglielmo Vacca, giurista-scrittore, senatore del Regno, Genovese Antonio, architetto alla corte borbonica, Giacinto Romano, storico, prof. universitario e rettore dell’Ateneo di Pavia, Pietro Maglione, vescovo, Francescopaolo Cestaro, storico e scrittore, Enrico Perito, poeta e scrittore, Giovanni Aromatisi, gesuita, predicatore ed educatore, Felice Cuomo, poeta, Giuseppe Augelluzzi, medico Archeologo, Giovan Battista Umbriani, scrittore e abate di S. Pietro Apostolo Aprutino di Penne sec. XII., Urso Giovan Battista, gesuita, scrittore, Antonio di Porta, francescano scrittore, Pompa Raffaele, teologo, scrittore, Fra Pietro da Eboli, superiore Generale dei Celestini 1523, Francesco Malacarne, capitano Generale al servizio di Ladislavo d’Angiò.
Note:
1). Le lettere in grassetto-corsivo nelle parentesi tonde sono quelle che, mancavano nella stele perché corrose.
2). “Eboli municipio romano in una iscrizione del II secolo”. Bollettino Istituto Archeologico di Roma nr. 1, primo semestre 1836.
MARIANO PASTORE
La città di Eboli, dal suolo fertile e dal clima dolce e temperato, in tempi remoti di volta in volta è stata chiamata Eburi, Eburum, Ebulum, Ebolus o Evoli.
“….Est prope dulce solum, nobis satis utile sempre
Ebolus, aspirans quod petit urbis honor. ….”
“….Vi è presso il dolce suolo, a noi sempre abbastanza utile,
Eboli che aspira a quello che richiede l’onore della città. ….”
Dolce suolo cosi è declamata da Pietro da Eboli nella sua opera: Liber ad Honorem Augusti…, nella Particola XV, dal v. 404 al v. 405 dedicata all’Imperatore di Germania Enrico VI di Svevia.
Antica: perché la sua origine si perde nella notte dei tempi. Ne è testimonianza il ritrovamento di resti umani in quattro fosse tutte del tipo a forno, caratteristico della cultura del Gaudo, scavate nel 1968 nella località Madonna della Catena dal prof. Bruno d’Agostino. I reperti ossei furono datati, studiati dagli archeologi prof. Gianni Bailo Modesti (“Eboli, Necropoli Eneolitica”, 1969-70), e dai proff. Cleto Corrain, Mariantonia Capitanio e Gabriella Erpamer (I resti scheletrici della necropoli Eneolitica di “Madonna della catena” Eboli, estratto dagli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti anno acc. 1972-73, Tomo CXXXI). Le sepolture contenevano frammenti di vasi, brocche, orci, punte di frecce e pugnali tutti dell’età del rame. L’analisi degli scheletri delle quattro tombe rivelò la presenza in esse di almeno centotre individui: ottantacinque in età adulta (quarantasei maschi e trentanove femmine) e diciotto in età giovanile e questo conferma che già nell’età del rame in prossimità delle tombe il sito fosse abitato da un numero ragguardevole di persone.
Nobile: lo sostiene Virgilio, difatti nell’Eneide al lib. I verso 551 dice:
“….Terra antiqua, potens armis atque ubere glebae,….”
“….Terra antica, d’armi potente e feconda di zolla,….”
Il suolo ebolitano per l’ubertosità e la ricchezza donatole da una natura benevole è stato abitato da antiche popolazioni a cominciare dai Pelasgi, dagli Osci, dai Lucani, dagli Etruschi dai Greci e dai Romani. Infatti, in località Montedoro fino al secolo scorso si potevano ammirare costruzioni poligonali regolari e massi, detti pelasgici o ciclopici, che con la loro presenza confermano l’ubicazione dell’antica Eburum, già esistente prima dell’arrivo dei Lucani alla destra del Sele.
Il nome viene modificato in Ebulum da Tolomeo come ci fa sapere Leandro Alberti nella sua descrizione: “L’Italia nei Picentini”, di Eburum ne parla Plinio nella sua monumentale opera Historia Naturale nel V. capitolo del libro II, come città abitata dal popolo degli Eburini: “Lucanorum autem Atenates, Bantini, Eburini…”. In epoca romana la stele, trovata incassata nel campanile di Santa Maria d’Intra nel XVII secolo, reca l’incisione che il popolo Eburino si governava con proprie leggi essendo Municipio Romano con a capo Tito Flavio Silvano della prestigiosa famiglia Flavia.
La scritta sulla stele venne definitivamente decifrata dal celebre storico tedesco Teodoro Mammusen che risolse il dilemma delle sillabe e delle parole che mancavano studiando la pietra sul posto.
Sulla lapide si legge:
L. D. D. D.
T. FL. T. F. FAB. SILVANO. PATR. MVN.
EBVR. II. VIR. II. QQ. QVEST. ARK. CVR.
REI. FRVMENT. HVIC. COLL. DEND
ROPHORR. OB. EXIMIAM. ERGA.
SE. BENIVOLENTIAM. ET. SPEM. PER
PETVAM. STATVAM. DIGNISSIMO.
PATRONO. POSVERVNT. CIVIS. STA
TVAE. HONORE. CONTENTVS. OB
TVLIT. COLL. SS. HS. VIII. M. N. VT. QVOTANNIS.
NATALI. EIVS. DIE. III. IDVVM. DECEMBR.
CON. FREQVENTENT. (EIVS) STATVAE. DE
DICATIONEM. CON. (II. VIR. I. D. SING.) HS. XX. N.
QQ. II. VIR. AEDILIC. S(ING. HS. XX. N.) ET. CETE.
RIS. CON. DEC. SING. HS: (XV. N. VI. VIR)IS. AVGVS
TALIB. HS. XII. N: COLL. DENDROPHORR. ET.
FAB. SING. HS. MILLE. N. ET. EPVLVM.
PLEBEIS. SING. HS. XII. N. ET. VISCERATIONEM.
DEDICATA. IV. KAL. APRIL.
….. MARC. STLACCIO. V. A.
….. STEIAN. (1)
Traduzione:
A Tito Flavio Silvano, figlio di Tito della tribù Fabia, Patrono del Municipio degli Eburini, Duunviro, e indi per la seconda volta Quinquennale Questore della pubblica Cassa, e Curatore dell’Annona. A costui il Collegio dei Dendrofori, per la grande benevolenza e perpetua speranza verso di sé, eresse una statua qual degnissimo Patrono. Egli, contento dell’onore fattogli, offrì al Collegio suddetto ottomila sesterzi. Affinché poi, ogni anno ai tre degli Idi di dicembre, giorno di sua nascita, in radunanza, si celebrasse la dedicazione della di lui statua, assegnò a ciascun Duumviro di Giustizia sesterzi venti, e altrettanti sesterzi a ciascuno dei Duumviri quinquennali con la potestà edilizia. Ed agli altri in tal guisa: assegnò a ciascuno dei Decurioni sesterzi quindici, ai Sestumviri Augustali sesterzi dodici, al Collegio dei Dendrofori e dei Fabri sesterzi mille ciascuno ed un banchetto. A ciascuno dei plebei sesterzi dodici ed una eviscerazione. Dedicata ai quattro delle Calende di Aprile, essendo Consoli Marco Stlaccio e Vezio Albino.
Ai tempi di Eburum i locali dell’Annona dove si conservava il grano erano situati nel rione Borgo, (chiamato a quei tempi borgo dei romani alle fornaci) il loro sito andava dalla chiesa dello Spirito Santo alla cappella di Santa Maria di Costantinopoli. Fino alla metà del XIX secolo si potevano ancora ammirare i locali adibiti a magazzini con le loro porte, furono demoliti nel 1870.
La statua di Tito Flavio Silvano fu eretta davanti all’edificio dei Dendrofori esattamente al posto della chiesa di Santa Maria ad Intra, infatti nel restauro della parrocchia avvenuto nel XIX secolo erano ancora visibili parti del porticato dell’entrata, mentre nel soffitto era visibile l’ossatura della volta costruita a mattoni alla maniera romana.
Non si conosce l’anno in cui la statua fu eretta, né la pietra indica una data. La stele appartiene all’epoca imperiale, perché l’uso della parola Curatore, nell’epigrafe riferita a Silvano, patrono del Municipio Eburino, si rapportava al Magistrato dei Municipi e delle Colonie che prima di tale epoca esisteva solo in Roma con titolo di Prefetto (carica creata quando il bisogno lo richiedeva); fu Cesare Augusto che istituì il Magistrato nelle Colonie e nei Municipi.
Gli studiosi hanno dato presumibilmente l’evento nel 183 d.C. sotto l’imperatore Commodo, quando Marco Stlaccio era Console. La stele era murata nel campanile della chiesa di Santa Maria ad Intra ed era di proprietà di quella parrocchia; venne acquistata dal Comune di Eboli nel 1903, per L. 450 dal Parroco Colasante con delibera comunale n. 4535 del 18 giugno 1903, venne tolta dalla base del campanile solo nell’anno 1918 e trasportata nell’ampio salone municipale dove rimase fino al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale il Municipio subì un gravissimo bombardamento, la stele rimasta integra venne trasportata nei locali della biblioteca Augelluzzi nella scuola elementare Vincenzo Giudice deve è rimasta fino all’apertura del Museo Archeologico.(2)
Eboli è menzionata nella cronaca d’Amalfi dove sta scritto che nell’anno 339 a.C.:
“Romani dimessa Melfi ad provinciam Principatus pervenerunt usque Ebolum prope Salernum,
Et quia similiter dictus locus Ebuli non erat tutus propter continua praelia, certamina, rapinas, violentias et tirannias quas, et quae committebantur per praefatos principes barbarorum in omnibus partibus Italiae, et inquietas urgebat, et quies non erat in aliqua parte ipsius, dubitantes praedicti Romani antedictam deliberaverunt quietudinem requirere, quae tunc temporis in Italiam non reperiebatur nisi in solitudine, in heremis, in asperrimis locis, et montaneis. Quidam ex eis has desiderantes evitare rapinas, et alii huc illuc discurrentes explarantes pervenerunt usque ad montaneam Camensem ubi nunc Scala dicitur.”(un cronista Amalfitano).
“Lasciata Melfi, i romani giunsero nella provincia del Principato fino a Eboli vicino a Salerno.
E poiché tale luogo di Eboli non era sicuro a causa di continui scontri, scaramucce, rapine, violenze e tirannie le quali erano messe in atto dai principi barbari in ogni parte d’Italia, e rendevano insicuri e non c’era pace in nessun luogo, preoccupati per questo, prima di tutto i romani decisero di cercare la tranquillità che in quel tempo non era possibile trovare se non vivendo in solitudine, da eremita, in luoghi irraggiungibili e fra i monti. Alcuni tra essi desiderosi di evitare rapine, ed altri esplorando di qua e di là giunsero fino alla località montana Camense che oggi è chiamata Scala.”
I Romani dimorarono molti anni ad Eboli, oggi le sole tracce romane restano il quartiere artigianale, dove si producevano ceramiche - III e II sec. a. C. -, alle spalle della chiesetta dei SS. Cosma e Damiano; la perimetrazione di una villa con parti di pavimento maiolicato in località Paterno, nella zona Fontanelle; le terme in località Spineta, ora comune di Battipaglia, venute alla luce nel 2007 e la già menzionata stele Eburina che in un completo anonimato si trova nel Museo Archeologico senza alcuna traduzione e spiegazione, dando al visitatore l’impressione di una pietra qualsiasi, invece è prova dell’importanza avuta da Eboli tanti secoli fa. I responsabili del museo e gli amministratori comunali che si sono avvicendati non hanno mai colmato questa lacuna culturale, nonostante i suggerimenti dati.
La ragione di così scarsi reperti dell’epoca romana è dovuta alla distruzione della città al passaggio dei Visigoti di Alarico nel 410 d.C. ed alle devastazioni che recarono le incursioni saracene del IX e X sec. d.C.
Si è avuto sempre difficoltà a precisare l’epoca della fondazione di Eboli, forse legata al mito eroico greco o alle prime immigrazioni dei Pelasgi nell’Italia meridionale, però la maggioranza degli studiosi convengono nell’assegnarle quell’antichità di cui possono fregiarsi poche città lambite dal mar Tirreno, Ionio ed Adriatico.
L’antica Eboli, sostengono alcuni storici, fu fondata da Obolo capitano generale dell’armata di Teseo, re di Atene, il quale, dopo aver patito tanti travagli per l’ira degli dei, sbarcato sul suolo italico si trovò sulle sponde di un fiume dove trovò la morte per annegamento il suo compagno di nome Silaro.
Obolo, ormai stanco di peregrinare per terre e mari, accortosi della bellezza del luogo e del clima mite, edificò una città imponendole il nome di Ebalo e chiamò Silaro, l’odierno Sele, il fiume, fino allora senza nome, in onore dell’amico morto. Così ebbe origine Eboli.
Un’altra leggenda vuole che la nostra città sia stata fondata da Ebalo, figlio della ninfa Sebetide e di Telone, re di Capri, di cui parla Virgilio nel 7° canto v. 734 dell’Eneide ove dice:
Oebale, quem generasse Telon Sebethide nympha
Fertur, Teleboum Capreas cum teneret,
Iam senior;…
Ebalo, che Telone generò dalla ninfa Sebetide,
quando, dicono, Capri, regno di Teleboi, governava
ormai Vecchio;…
Anche una poesia di autore ignoto recita:
Ebalo al Rè di Capri unico figlio,
Perché l’alto valor gli scalda il petto,
In alte imprese per natura eletto,
Novi Regni acquistar prende consiglio.
Così lasciando i Monti de l’Esiglio,
Et i Regni paterni al Rè già detto,
Vien tra Campani, e sassi à se soggetto
Quanto dal Sarno al Silare m’appiglio.
Deposte l’arme al fin, con pace lieta,
Trà Silare, e Tusciano in mezzo à punto,
Trà più bei campi non pasco Dameta.
Fa del suo nome una Città ch’aggiunto
Ha per scudo gli elementi e vieta
Ai popoli vicin di star congiunto.
Altri suppongono che alla nostra città sia stato imposto il nome greco Ebolos, che vuol dire buona gleba o buon boccone, perché circondata da terreno fertilissimo. Questa ipotesi è accolta da Enrico Bacco, scrittore viaggiatore ed erudito, che nel visitarla agli inizi del XVII sec. cosi la descrive nella sua opera Il Regno di Napoli diviso in dodici Provincie pp. 65 / 73 Napoli anno1620:
“Posta ai piedi di una collina, cinta al di sopra da dilettevoli colli, e fertili monti, e da tutti i lati ornata da vaghissime colline, valli, e piani abbondantissimi di vigne, d’oliveti, di lentischi, e d’odoriferi mirti, d’alloro e di edere, rose, gelsomini, e fiori di specie diverse e di altre piante simili, che rendano mirabile di soavità, i bellissimi giardini, d’aranci, cedri, e limoni soavissimi; di fontane con chiare, dolci, e fresche acque, di fruttiferi alberi, che ne fanno sembrare una perpetua primavera; la cui vista sommamente affascina chiunque vi soggiorna. Ha un territorio vastissimo e diviso da una parte verso l’Oriente dal fiume Sele che dista dalla città appena quattro miglia, e che divide la Campania dalla Lucania, detto da Virgilio nel 3° canto della Georgica, Silare: “Est Lucos Silare…”. Nell’antichità si raccontava che i legni ed altri oggetti che cadevano nelle sue acque rimanendoci dopo un po si pietrificavano, lo testimonia Plinio nel 2° lib. p. 103 in“Historia Naturalis”…. a quattro miglia come il Sele vi è il Tusciano, Eboli appena fuori le sue mura è bagnata dalle acque di un torrente che si chiama Telegro citato nelle Georgiche nel 3° Canto ove dice: “Sicci ripa Telegri,…”. In pianura nel suo vastissimo territorio abbondano grano, oli, vini e frutti di tutte le maniere, vi si trovano ombrosi boschi, e verdeggianti pascoli con molte acque per le greggi e armenti di capre, pecore, bufale, vacche, buoi e tanti altri animali. Per patrimonio possiede dodicimila ducati di entrata l’anno; questa terra nobile si glorifica perchè ha usato fin dalla sua edificazione nell’emblema delle sue armi i quattro elementi come distintivo, il suo motto è: “Arme stupende, e da pregiar non poco, la terra, l’acqua infine, l’aria, e ‘l foco.” Marino Freccia nel Libro De Subfendis, de provincijs, e civitatibus Regni dopo aver annoverato altre città parlando della magnificenza di Eboli verso la fine soggiunse: “…hae sunt in Regno civitates, secundum usum hodiernum à dominatione Episcoporum: Sunt etiam praeclara oppia, quae pontificiam dignitatem promerentur,ut in Lucania Ebulum, e in Apulia Barolum….”.
“…d’altra parte, secondo l’uso odierno, vi sono nel regno delle città sotto il dominio dei vescovi: ci sono anche famose fortezze in cui si estende l’autorità pontificia come Eboli in Lucania e Barletta in Puglia…”
Fra Filippo Ferraro Alessandrino nel Martirologio Romano a pag. 44 dice: Ebolum oppidum Picentinorum in Principatu citeriore, Salerno Proximata apud Silarum flumen inter regionis oppia da primaria non infimum, ac urbibus multis praeferendum. E benchè a Eboli non vi è sede vescovile vi è una onorata chiesa Madre, denominata Santa Maria della Pietà, colleggiata, istituita da papa Clemente VII con due dignità, la prima di “Primicerio” la seconda di “Cantore” con dodici canonici con i loro “Armucci” di seta paonazza che di continuo officiano sia per i cittadini, e sia per i forestieri. Aveva questa mobilissima Terra sotto di se trenta casali, o paghi i quali per calamità dei tempi sono ormai tutti scomparsi, vi erano cinque Monasteri di Monache che per la stessa ragione sono ridotti ad uno sotto il nome di Sant’Antonio abate. Ha sette Chiese Parrocchiali, vi sono sette Monasteri di Frati Cappuccini, Conventuali, dove si studia Teologia, Zoccolanti, Domenicani, Celestini, Paolotti di San Francesco da Paola, e di Montevergine che per bellezza stanno alla pari con i più belli delle principali città del Regno. Vi erano due Ospedali, l’uno chiamato Santa Maria, per i poveri sia cittadini che forestieri, l’altro detto San Giacomo della famiglia Fulgioni al servizio dei pellegrini che andavano a San Jacopo di Campostela in Galizia. Vi erano due monti di Pietà uno istituito da Dionora d’Alliegro nobile Ebolitana, l’altro da Maria Saravia nobile Spagnola. Eboli ha un monastero fondato da Roberto il Guiscardo nel 1156 sotto il Regno di Re Guglielmo col titolo di San Pietro Apostolo (ora San Pietro alli Marmi) in esso vi sono le ossa di San Berniero (pellegrino Spagnolo). Fuori Eboli nella piana nei pressi del Sele vi è la Chiesa di San Vito dove si dice riposasse il suo Santo Corpo insieme a quelli della nutrice Crescenza e del tutore Modesto.
Eboli custodiva nelle sue chiese altre sante reliquie e sempre Enrico Bacco ne dà notizia nel suo libro:
“…nella Chiesa di San Francesco dei Padri Conventuali dentro una carafa di vetro vi era il grasso di San Lorenzo Martire, che per tutto l’anno si manteneva duro liquefandosi, come olio color d’oro nella sua festività annuale, vi si conservava il dito di San Lorenzo, una mascella di San Leone Papa con i suoi guanti, e un osso di San Romano. Nella Chiesa di San Eustachio (San Biagio una delle sette parrocchie ora abbinata a San Nicola di Schola Greca) vi si conservavano due spine della santissima Corona di N.S. Gesù Cristo e il dito del Santo Vescovo. Nella Chiesa con annesso monastero di San Pietro a Maiella (ora non più esistente) si venerava il corpo del Beato Fra Benedetto Giuliani appartenente all’ordine dei Celestini di nobile casato ebolitano discendente della famosa famiglia romana Julia, che per la sua fama di santità e taumaturgo nel XVI° sec. fu trasferito nel monastero del suo ordine a Napoli dove le sue spoglie andarono arse per un incendio che distrusse quasi interamente quel sacro edificio.
Ad Eboli i Greci dopo la loro presenza in tempi antichi lì si ritrova una seconda volta a ridosso del medioevo con la presenza Bizantina dovuta alla fondazione della chiesa di San Nicola detta di Schola Graecae e di un quartiere ancora oggi chiamato “Magnagrecia”
Sul bollettino dell’Istituto Nazionale d’Archeologia dell’anno 1832 i corrispondenti sigg. Matta e Romano, nostri concittadini, pubblicano le scoperte fatte nell’antico sito di Eboli, sul Montedoro, in località Santa Tecchia: “Eboli dopo la sua distruzione avvenuta per mano di Alarico re dei Visigoti gli abitanti scampati a quell’eccidio la ricostruirono mantenendole l’antico nome continuando come sempre ad essere fedelissima di Roma e tenendo sotto di se i trenta villaggi o paghi disseminati a sé intorno, parte in collina e parte sulla vasta pianura nelle vicinanze del mare. Gli abitanti di questi villaggi per evitare i frequenti saccheggi pirateschi vennero a mancare a mano a mano andando ad abitare nell’antica Eburi che era ben fortificata con mura altissime e torri che ancora si potevano immaginare dalle tracce lasciate sul suolo. Dopo aver tracciato una pianta dell’antica Eburi con grande stupore scoprimmo che il suo antico castello era fatto tutto da sodi e grossi marmi messi uno sull’altro a meraviglia senza calce, come le sue antiche mura, era di struttura ellittica e comunicava con un tunnel sotterraneo col castello d’Eboli esistente sopra S. Sofia di proprietà del principe d’Angri”.
Inoltre, narrano di aver appreso da persone anziane che “quelle salde mura rimasero fino al 1640, quando furono di là tolte per lastricare la nuova città costruita mille metri più a valle. Negli scavi del sito da loro effettuati trovarono sepolcri Romani costruiti sopra fossa Greci, e sotto un cumulo di pietre trovarono un idolo di bronzo, alto circa mezzo palmo, rappresentante Ercole imberbe, coperto della pelle di leone nel momento di brandire la clava con la mano destra.
Gli abitanti dei paghi sparsi a macchia sul territorio per sentirsi al sicuro, alcuni si ritirarono entro le mura di Eboli altri si addentrarono all’interno nel montagnoso territorio alle loro spalle fondando altri nuclei abitativi. Questi villaggi pur scomparsi da molti secoli possiamo intuirne l’antica ubicazione per le tombe venute alla luce dagli svariati sepolcri sparsi a macchia nel territorio pedemontano e della pianura sottostante. Le sepolture tovate in svariate località sparse sul vasto territorio, forse portono il nome degli antichi paghi”.
I villaggi o “Paghi” portano i seguenti nomi: Arenosola, Albascende, Battipaglia, Fontaone, Cozzolino, Paradiso, Olive delle Corte, Paterno, Borgo, San Giovanni, Abadia San Pietro, Santa Sofia, Crispi, Boscariello, Filette, Madonna del Castello, Monteaureo, Madonna del Carmine, Fanfarone, o Ferrafavone, Pezza delle Monache, Pescara, San Mattia, Santa Cecilia, Serracapilli, Le Fiocche, Licignano, Vuccariello, Costa del Campo, Coda di Volpe, Tempone e Olibano.
Un documento dell’anno 869 parla per la prima volta dell’Eboli attuale: è il Codice Cavense da cui si apprendono i nomi dei componenti di una famiglia longobarda ebolitana: “Gariperga, è moglie d’Ermenardo servo di Palazzo, è figlia di Gariperto che fu anch’egli servo di Palazzo a Eboli, Gariperga passa al servizio di Landelaica moglie del principe salernitano Guaiferio insieme a quattro figli maschi e tre femmine”.
Nel 1047 fu conte ad Eboli Lamberto, figlio di Adalberto, che sposò Urania, figlia del conte Ademario, dalla quale ebbe quattro figli: Ebulo, Pietro, Adalberto e Landoario.
Dal 1070 al 1075 fu signore di Eboli Guglielmo d’Altavilla (normanno).
Fu signora d’Eboli dal 1082 al 1090 Emma de Ala, figlia di Gioffredo de Ala, moglie di Raone Tricanotte. Alla morte del marito Emma sposò in seconde nozze Gismondo dei Mulisi, armigero di Guglielmo I d’Altavilla, figlio di Tancredi, che per la fedeltà dimostrata concesse altre terre limitrofe ad Eboli.
Nel 1100 fu feudo di Roberto, normanno, marito di Mabilia che alla morte del marito nell’anno 1119 venne chiamata signora di Eboli.
Nel 1130 fu signore di Eboli Guglielmo, gli succede il figlio Nicola.
Nell’anno 1161 ne venne in possesso Enrico di Navarra, cognato del defunto re normanno Guglielmo I d’Altavilla e fratello della regina Margherita.
Nel 1167 fu signore di Eboli Nicola de Principato.
Guglielmo I d’Altavilla fece Eboli capitale di uno stato con confini che si estendevano nel cuore della Lucania antica comprendendo le terre di San Fele, Murolucano, Satriano, Brienza e Marsiconuovo.
Il passaggio del regno dai Normanni agli Svevi procurò altri benefici alla città per merito del nostro concittadino Pietro da Eboli, poeta alla corte d’Enrico VI, a cui dedicò un poema storico in versi elegiaci nel quale narra le guerre per la conquista del regno dall’anno 1189 al 1195. Con la salita al trono di Federico II, Eboli nel 1219 diventò città imperiale entrando a far parte del demanio dell’imperatore ed ebbe come premio per la fedeltà alla casa Sveva privilegi ed onori. Da un documento datato 11 gennaio 1239 si evince che Eboli apparteneva alla Regia Curia Imperiale. Alla morte di Federico II, avvenuta nel 1250, suo figlio Manfredi diede Eboli come feudo a Giordano Lancia figlio di Galvano.
Con gli Angioini, Eboli ritornò nuovamente sotto il Regio Demanio. Re Carlo I d’Angiò la diede a suo genero Roberto, conte di Fiandra con altre terre.
Nel 1270 passò in feudo a Filippo Tuzziaco.
Eboli fu eretta contea nel 1290 ed ebbe il prestigio di essere sede del generale Parlamento del Regno presieduto da Carlo Martello che durò cinque giorni dal 10 al 15 Settembre del 1290 e terminò con la stesura dei “Capitula et Statuta super vergimine regni”.
Nel 1306 re Carlo II d’Angiò nominò conte suo figlio Pietro detto “Tempesta”. Alla morte di re Carlo divenne re suo figlio primogenito Roberto, il quale infeudò suo fratello Filippo principe di Taranto come dalle Costituzioni del Regno nel lib. III di Bartolomeo di Capua:
“…de dotariis costituendis, muliera; dotarium,in rub et dum quondam bonae memoriae Dominus Petrus, natus clarae memoriae Domini Regis Caroli II. Comes Ebuli,…”
“…in merito ai costituendi beni dotali alle spose, nel presente e in avvenire per la buona memoria del Signore Pietro, designato conte di Eboli per volontà regia di Carlo II. …”.
Nel 1315 passò al Regio dominio sotto la regina Giovanna I.
Nel 1343 fu data al conte Roberto Cabanno, gran siniscalco del regno, come attesta il Summonte nell’Istoria di Napoli al lib. III p. 425 che il conte Roberto, imputato della morte del re Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I, fu giustiziato per aver partecipato all’assassinio commesso nella cospirazione del 1346 ed Eboli ritornò feudo della regina fino alla sua morte.
La “Storia Universale di Gianvillani Fiorentino” nel lib. 12 cap. 5° attesta: “…Eboli ritornato alla Corona Reale, la nuova Regina Giovanna II mandò a governare Eboli Francesco Mormile Cavaliere Napoletano”.
Nel 1419 nell’opera su citata il Summonte nel lib. IV p. 582 scrive: “…Eboli fu dato col Principato di Salerno in dominio ad Antonio Colonna nipote di papa Martino V° nell’anno 1427”. Nel 1431 per la rovinosa caduta in disgrazia della potente famiglia Colonna il feudatario dovette lasciare tutti i suoi averi al Regio Demanio.
Nel 1434 fu sindaco e procuratore della terra di Eboli Antonello de Buttalaporta, sotto questa reggenza viene commissionata ai maestri di fabbrica Giovanni di Serre e Stefano Paganetta di Eboli la costruzione di sedici torri intorno alle mura.
Nel 1435 la regina Giovanna II concesse ad Eboli il privilegio di avere una propria giurisdizione emanando il seguente proclama:
“….Joanna….significamus quod nos moti justis supplicationibus effusis pro parte universitatis et hominum terrae Ebuli, fidelium nostros dilectos, statuimus, ut habeant propriam jurisdictionem.
“…Regina Giovanna…dichiariamo che, sensibile alle suppliche espresse sia da parte dell’università che delle persone della terra di Eboli, nostri diletti fedeli, deliberiamo che abbiano giurisdizione propria.
Al tempo degli Aragonesi Eboli perse i suoi privilegi, la terra d’Eboli tornò feudo e re Alfonso ne fece signore Baldassarre della Ratta, conte di Caserta.
Nel 1467 gli successe il figlio Francesco, che non avendo figli, passò il feudo alla sorella Caterina, moglie di Cesare d’Aragona, figlio naturale di Re Ferrante I; ella, rimasta vedova, sposò (1509) Cesare Acquaviva, duca d’Atri. Nel 1522 il duca d’Atri vendette il feudo a Ferrante Sanseverino, principe di Salerno e Duca di Villaformosa, che a causa della congiura ordita dai Baroni del Regno ai danni del re Ferrante I nel castello di Teggiano, perdette tutti i suoi beni e, di conseguenza, Eboli ritornò di nuovo in possesso della corona. Filippo II, divenuto re, la cedette il 17 marzo del 1556 a Rodrigo Gomez de Sylva conte di Milito, portoghese, e suo Cameriere Maggiore che con la moglie Anna Mendoza y la Cerda si fecero chiamare principe e principessa di Eboli, duca e ducessa della città spagnola di Pastrana.
Passò nelle mani del genovese Niccolò Grimaldi, detto il Monarca, per la somma di 140.000 ducati, si diceva che ne venne in possesso con gli altri feudi perché creditore di grosse somme di denaro prestato al re Filippo II di Spagna per sovvenzionare le guerre. Enrico Bacco nella sua opera stampata a Napoli nel 1570 “Il Regno di Napoli Diviso in dodici Provincie” a pag. 71 rigo17 dice:
“…onde Duca d’Eboli oggi è un suo nipote anco nominato Nicolò, signore di bellissimo aspetto, e di gran valore. In detta terra prima risedeva la Regia Audienza, e precedeva dopo Salerno à tutta la Provincia, si come fù al tempo del marchese di Pescara, che in nome della Maestà del Re Filippo II prese il possesso del Regno di Napoli, per la rifiuta dell’Imperatore Carlo V suo padre nell’anno 1554 quando le diede per moglie Maria Regina d’Inghilterra, e se le giurò fedeltà dai Sindaci delle Città, e Terre del Regno, e avendo giurato in mano del Presidente della Provincia di Principato Citra primieramente il Sindaco di Salerno, dopo il quale seguì il Sindaco d’Eboli Gio Battista Favale, fratello del più famoso Capitan Sebastiano Favale, gentiluomo di valore, che fù Capitano dei 300 soldati archibugieri della guardia di papa Paolo V Carafa, da cui esso Capitano Sebastiano era amatissimo e favorito”.
Alla morte di Nicolò Grimaldi (1591), ricordato come un tiranno, fu feudatario suo figlio Agostino al quale succedette come reggente e signora della terra di Eboli sua moglie Isabella della Tolfa, fino alla maggiore età del figlio Nicola Grimaldi, il quale nel 1606 già risulta signore di Eboli; alla sua morte il feudo venne fatto apprezzare dal tavolario de Marino e valutato in 149.000 ducati. Il feudo venne acquistato da un’altra potente famiglia genovese: i Doria di Angri, e Nicola Doria lo detenne dal 1640 al 1685, poi passò al figlio Marcantonio e fu proprietà della famiglia fino al 1820, con la signora e duchessa Donna Cecilia Colonna Doria, principessa di Stigliano.
Eboli, ha dato i natali a tanti uomini illustri: pittori, architetti, poeti, scrittori, umanisti, storici, giuristi, missionari, vescovi e abati come: Pietro da Eboli, poeta alla corte sveva. Marino da Eboli, (capitano generale di Federico II). Fra Roberto Novella, cappuccino, teologo e predicatore eccellentissimo, schiavo dei turchi a Tripoli, eroico condottiero sugli spalti di castel S. Elmo a Malta nel 1565. Fra Agostino de Cupiti, poeta, teologo e oratore. Givanni Antonio Clario, poeta e umanista del XVI sec. traduttore e correttore di testi letterari, Agostino e Prospero Carovita, giuristi, Tommaso da Eboli, abate, srittore, Orazio Mirto, vescovo, Cherubino, vescovo, Cirillo Fulgione, giurista, Bernardo Silvano, cartografo e umanista. Sebastiano Favale, capitano delle guardie del Papa Paolo V., Camillo Favale, scrittore, Fra Antonio da Eboli, beato, Benedetto Giuliani, monaco celestino beato, Antonio Romano, beato, Matteo Ripa, servo di Dio missionario in Cina e fondatore dell’Orientale di Napoli, Mattia Ripa, vescovo. Fra Gherardo degli Angioli, paolotto poeta e oratore, Lodovico Lodovici, vescovo, e generale delle truppe del cardinale Ruffo, Francesco la Francesca, procuratore generale del Regno e genero del gen. Avezzana, Guglielmo Vacca, giurista-scrittore, senatore del Regno, Genovese Antonio, architetto alla corte borbonica, Giacinto Romano, storico, prof. universitario e rettore dell’Ateneo di Pavia, Pietro Maglione, vescovo, Francescopaolo Cestaro, storico e scrittore, Enrico Perito, poeta e scrittore, Giovanni Aromatisi, gesuita, predicatore ed educatore, Felice Cuomo, poeta, Giuseppe Augelluzzi, medico Archeologo, Giovan Battista Umbriani, scrittore e abate di S. Pietro Apostolo Aprutino di Penne sec. XII., Urso Giovan Battista, gesuita, scrittore, Antonio di Porta, francescano scrittore, Pompa Raffaele, teologo, scrittore, Fra Pietro da Eboli, superiore Generale dei Celestini 1523, Francesco Malacarne, capitano Generale al servizio di Ladislavo d’Angiò.
Note:
1). Le lettere in grassetto-corsivo nelle parentesi tonde sono quelle che, mancavano nella stele perché corrose.
2). “Eboli municipio romano in una iscrizione del II secolo”. Bollettino Istituto Archeologico di Roma nr. 1, primo semestre 1836.
MARIANO PASTORE
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