martedì 23 febbraio 2010

"Associazione a delinquere"


23/2/2010

Appalti, l'accusa si aggrava

FRANCESCO GRIGNETTI

Pausa di riflessione, a Perugia, per i nuovi giudici chiamati a investigare sugli appalti della Protezione civile. Dopo che i colleghi fiorentini si sono spogliati dell’inchiesta, c’è un gruppo di pubblici ministeri (Federico Centrone, Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani) che nel capoluogo umbro hanno cominciato a studiare le carte e c’è un gip, Paolo Micheli, che deve decidere nel giro di qualche giorno della sorte degli arrestati. Cambiata la mano, probabilmente cambia anche l’ottica con cui esaminare i fatti. E a giudicare da una prima impressione, i magistrati perugini sembrano essere molto più severi dei loro colleghi fiorentini.

Per Achille Toro, l’ex procuratore aggiunto di Roma sospettato di essere la «talpa» che informava gli indagati degli sviluppi dell’indagine, si è passati da un reato generico ai ben più gravi favoreggiamento personale, rivelazione di segreto d’ufficio e concorso in corruzione. Lui ne ha preso atto e s’è dimesso dalla magistratura. Ma per l’intero gruppo degli indagati si profila una contestazione molto più pesante: l’associazione a delinquere.

A parità di atti, la procura di Perugia s’è convinta che la «cricca» che s’era riunita attorno ad Angelo Balducci lavorasse in maniera illegale da tempo e su molti fronti. Hanno perciò chiesto al gip Micheli di fissare la competenza perugina non soltanto sull’inchiesta relativa agli appalti della Maddalena e a quelli per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma anche per i Mondiali di Nuoto di Roma. Con il che un’inchiesta che finora era stata condotta egregiamente dalla procura di Roma finirebbe anch’essa a Perugia, solo perché c’entra lo zampino di Achille Toro. Di qui il gran malumore dei procuratori d Roma e le fibrillazioni che hanno attraversato i vari palazzi di Giustizia nelle ultime ore.

I Toro, padre e figlio, secondo questa nuova lettura, sarebbero stati parte integrante della «cricca», anche se non partecipavano al gran banchetto dei soldi pubblici. Nel caso di Achille Toro, infatti, la corruzione sarebbe avvenuta attraverso la contropartita di un contratto per suo figlio Camillo. Dagli atti della magistratura si scopre in effetti che, parallelamente alle telefonate per «monitorare» quanto accade sia al palazzo di Giustizia di Firenze, sia a quello di Roma, gli indagati esercitano tutta la loro influenza per assicurare a Camillo Toro un adeguato posto di lavoro all’Acea, la Municipalizzata di Roma che si occupa di acqua e energia (dove peraltro Camillo Toro lavora da tempo e sembra volesse lasciare per finire al ministero delle Infrastrutture).

Nell’ordinanza del gip di Firenze è riportata un’emblematica intercettazione telefonica tra Camillo Toro e l’avvocato Edgardo Azzopardi. Quest’ultimo, il primo febbraio scorso, chiede al figlio del magistrato se la sua attività di «controllo» è sempre in corso: «Tu stai sempre monitorando?». E poi scrive il gip Rosario Lupo: «Toro lo rassicura: “Per forza... sempre compatibilmente con le mie possibilità... cioè quelle fisiche”. Azzopardi da parte sua si impegna a incontrarsi con Biagio (Eramo, ndr) dell’Acea per la questione lavorativa del suo interlocutore».

Ora, sentiti il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, e i due pm che indagavano sulle piscine d’oro di Roma, i pm perugini si sono convinti che Toro facesse il doppio gioco: da una parte si mostrava come il solerte procuratore aggiunto che non faceva mancare il sostegno ai giovani sostituti, dall’altra s’informava per aiutare i suoi amici nei guai. E si pensa che Toro abbia «spifferato» a Balducci che a Firenze era stato chiesto il suo arresto appena poche ore dopo che il procuratore Ferrara, lo aveva messo al corrente.

Ciò avveniva il 29 gennaio scorso. Il giorno dopo, al termine di una riunione carbonara a casa dell’avvocato Azzopardi, Balducci si attaccava al telefono per parlare con il suo avvocato e il suo medico curante. Sarebbe quest’ultimo, il professor Renato Lauro, del Policlinico di Tor Vergata, familiarmente chiamato «zio» da Balducci. Lo conferma il primario stesso: «L’ho in cura da tempo. Lo “zio” sono io».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma se iniziano i magistrati, figuriamoci gli altri!!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SI TRATTA DI UN MAGISTRATO, PER ORA SOLO IMPUTATO, CHE SI E' DIMESSO. RENATO SQUILLANTEE, CAPO DEI G.I.P. DEL TRIBUNALE DI ROMA NON MI PARE L'ABBIA FATTO.
PERO' IL FATTO CHE CI SIA UN MAGISTRATO NON GIUSTIFICA NE' ASSOLVE I CORROTTI.