sabato 20 febbraio 2010

B. LIBERA TUTTI


Il premier annuncia misure anticorruzione.

A vararle dovrebbero essere gli stessi nei guai con la giustizia

di Sara Nicoli

Benvenuti in questo mondo di "birbantelli". Sono sempre loro, qualche tempo fa "piccole volpi", ai tempi di Bettino Craxi "mariuoli isolati", personaggi come Mario Chiesa "scheggia impazzita" dell'altrimenti integro Partito socialista, miccia dello scoppio di Mani Pulite.

In politica - come altrove, d'altra parte - bisogna sempre negare l'evidenza. E tra il Craxi di allora e il Berlusconi di oggi che nega che le inchieste delle ultime settimane siano le vedette di una nuova Tangentopoli, la differenza davvero non c'è.

Impressionanti le assonanze, così come le bugie pietose che vogliono i partiti oggi al di sopra di ogni sospetto perchè oggi non ci sarebbe più bisogno di rubare. Chi lo fa, come libera volpe in libero pollaio, è solo un "birbante che approfitta della propria posizione per interesse personale".

Berlusconi dixit. Ma ora si cambia. Con il consueto annuncio spot a seguito di una notte ridanciana, allietata dal pianoforte di Apicella (imperdibile, a quanto si apprende, la performance canora di tale Filomena della Nena e il suo brano sulla condizione delle donne) ieri Berlusconi ha solennemente dichiarato che chi "sbaglia e commette reati sarà messo fuori dal partito e non potrà pretendere di stare in nessun movimento politico". E quindi lui, il premier, che farà?

All'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi si annunciano misure anti-corruzione di severità draconiana. Varate da un governo dove i ministri che hanno avuto a che fare con la giustizia, com'è noto, non sono affatto pochi. Sempre escludendo lo stesso Berlusconi la cui lunga carriera da imputato - è bene ricordarlo - è cominciata nel '90 quando la Corte d'Appello di Venezia ritenne falsa la sua testimonianza a proposito della sua iscrizione alla P2, ma dichiarò il reato coperto da amnistia appena varata dal Parlamento.

Da quel momento, per Berlusconi si è aperto un trionfo di imputazioni a cui, tuttavia (per il momento) non è seguita alcuna condanna. Dunque, il pluri-imputato, pluri-prescritto e pluri-autoassolto Silvio Berlusconi è pure circondato da pregiudicati anche nel partito.

Senza scomodare ancora il fuoriuscito avvocato Cesare Previti, il suo ex braccio destro, ma tuttora influentissimo Marcello Dell'Utri ha collezionato una dozzina di processi, approdati a una condanna definitiva a Torino (2 anni e 3 mesi patteggiati in Cassazione per le false fatture e le frodi fiscali di Publitalia), a una prescrizione che segue però una condanna a Milano in primo e secondo grado per tentata estorsione mafiosa (2 anni di reclusione in condominio con il boss di Trapani, Vincenzo Virga) più la condanna più grave, sempre in primo grado, a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ma si sa, son "birbantelli". Certo, sarà difficile varare norme contro la corruzione davanti alla faccia di Bossi, il ministro per le Riforme che vanta una condanna in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla maxitangente Enimont. Il senatur è anche condannato in via definitiva per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera. Mica male. Così come Castelli, condannato dalla Corte dei Conti per 500 mila euro di danno erariale causato dalle consulenze “facili” elargite al ministero della Giustizia. Per le medesime vicende, Castelli è stato salvato dalla giunta per le autorizzazioni a procedere e poi dall’aula del Senato, che nel dicembre 2007 gli hanno regalato l’immunità totale.

È interessante notare che in quella vicenda è stato condannato anche il suo capo di gabinetto di allora, Settembrino Nebbioso, ora tornato a fare il pm a Roma. Ovviamente Nebbioso è citato anche nelle intercettazioni dell’ultimo scandalo dell’indagine di Firenze. Che dire poi di Raffaele Fitto, ministro dei Rapporti con il Parlamento, rinviato a giudizio per concorso in turbativa d’asta e interesse privato nel procedimento Cedis. Fitto è a processo anche per corruzione. Secondo i magistrati baresi, il re delle cliniche private romane e pugliesi Giampaolo Angelucci gli avrebbe allungato 500 mila euro per la sua lista alle elezioni regionali del 2005. Non possiamo tralasciare poi Roberto Maroni, un ministro dell'Interno condannato definitivamente per oltraggio a pubblico ufficiale, anche se in fondo, rispetto al resto, è quasi poca cosa.

Anche un altro ministro ha avuto problemi in passato con i pm. Altero Matteoli (citato anche lui nelle intercettazioni del caso Bertolaso) è stato indagato a Livorno per una questione legata ad abusi edilizi all'isola d'Elba. Ma poi la Camera lo ha salvato non concedendo l’autorizzazione a procedere.

Con questa squadra, il nuovo corso della legalità di Berlusconi non fa paura a nessuno. E intanto ieri i vertici del Pdl si sono riuniti a Palazzo Grazioli. Con loro anche Alfano e Ghedini.

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